Richard Stephens | Parolacce https://www.parolacce.org L'unico blog italiano di studi sul turpiloquio, dal 2006 - The world famous blog on italian swearing, since 2006 Wed, 07 Jun 2017 13:39:38 +0000 it-IT hourly 1 https://www.parolacce.org/wp-content/uploads/2015/06/cropped-logoParolacceLR-32x32.png Richard Stephens | Parolacce https://www.parolacce.org 32 32 Le parolacce ci rendono più forti https://www.parolacce.org/2017/05/06/effetti-fisici-turpiloquio/ https://www.parolacce.org/2017/05/06/effetti-fisici-turpiloquio/#comments Sat, 06 May 2017 21:06:12 +0000 https://www.parolacce.org/?p=12236 Non servono solo a sfogarci. Le parolacce ci fanno sentire più forti, anche nel corpo. E non è solo un’illusione: potenziano davvero la forza muscolare, fino all’8% in più. Un effetto modesto ma sensibile. La scoperta arriva dall’università di Keele, nel… Continue Reading

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(elaborazione foto Shutterstock).

Non servono solo a sfogarci. Le parolacce ci fanno sentire più forti, anche nel corpo. E non è solo un’illusione: potenziano davvero la forza muscolare, fino all’8% in più. Un effetto modesto ma sensibile.
La scoperta arriva dall’università di Keele, nel Regno Unito, dove hanno misurato le prestazioni sportive di un’ottantina di persone: quando imprecavano, erano migliori rispetto a quando pronunciavano parole qualunqueInsomma, il turpiloquio è una sorta di doping naturale. Anche se la ricerca inglese lascia aperti molti interrogativi.

L’autore dell’esperimento è una nostra conoscenza: il professor Richard Stephens, ricercatore capo al laboratorio di psicobiologia della Keele University. Di lui avevo già parlato in questo articolo nel 2009, perché aveva fatto un’altra scoperta sulle parolacce: aiutano a sopportare il dolore. Sono un analgesico, insomma. Per dimostrarlo, aveva fatto immergere ad alcune persone una mano in un secchio d’acqua gelata: chi si sfogava con un’imprecazione riusciva a resistere per più tempo.
In questo nuovo esperimento, presentato alla conferenza annuale della Società britannica di psicologia, Stephens ha utilizzato invece due attrezzi sportivi: una cyclette e una pinza a molla.

CYCLETTE

(foto Shutterstock).

Nel primo esperimento, Stephens ha reclutato 29 giovani (età media 21 anni, 18 donne e 11 uomini), facendoli pedalare su una cyclette per 30 secondi in due cicli diversi. Una prima volta, mentre pedalavano, dovevano ripetere una parolaccia; una seconda volta una parola neutra (tavolo, fiore…).
Nel frattempo, gli veniva misurato anche il battito cardiaco.
Risultato: il picco di potenza aumentava in media di 24 watt (+4%) quando gli atleti dicevano la parolaccia.
Ma era l’unico effetto fisico registrato: il battito cardiaco degli atleti restava uguale in ambo i casi.

PINZA

Al secondo esperimento hanno partecipato 52 persone (età media 19 anni, 38 donne e 14 uomini). Dovevano stringere una pinza a molla, sempre dicendo una parolaccia e poi un’altra parola qualunque. Nel frattempo, oltre al battito cardiaco, veniva misurata anche la conduttività elettrica della pelle (di cui ho già parlato in un altro esperimento).

Risultato: dicendo una volgarità, le persone riuscivano a incrementare la forza di 2,1 kg (+ 8%). Il battito cardiaco restava uguale anche in questo caso; l’unica altra differenza fisica era che chi diceva una parolaccia aveva una maggiore conduttività elettrica sulla pelle. Ma questo è un effetto che si verifica sempre quando diciamo, ascoltiamo o leggiamo una parolaccia.

La ricerca è suggestiva, ma lascia aperta una perplessità e molti interrogativi.

I risultati dei 2 esperimenti di Stephens (clic per ingrandire).

La perplessità riguarda il modo in cui è stato condotto l’esperimento: le persone non dovevano sfogarsi imprecando (cazzo! merda!), ma dovevano semplicemente pronunciare la parolaccia (e anche la parola neutra) senza urlare, con tono uniforme. Probabilmente gli sperimentatori non volevano inserire una variabile in più, quella dell’urlo.
Ma questo ha reso l’esperimento meno realistico: forse valeva la pena far urlare sia la volgarità che la parola neutra, per ottenere uno scenario più vicino alla realtà.
Le differenze di prestazioni, però, ci sono state lo stesso. E questo è plausibile, dato che le parolacce, anche se dette con tono uniforme, sono pur sempre parole vietate: dirle comporta infrangere una regola, e questo è uno stress.

Ma la maggior forza prodotta dalle scurrilità resta tutta da spiegare: i ricercatori pensavano che le parolacce stimolino il sistema nervoso simpatico, quello che si attiva facendo battere più veloce il cuore in caso di pericolo. Ma in nessuno dei due test le parolacce hanno fatto salire i battiti cardiaci.
Forse, ipotizza il ricercatore, imprecare è una “distrazione cognitiva”: fa sentire meno il dolore e quindi ci fa sopportare meglio gli sforzi fisici, liberando le nostre energie. Dunque le parolacce sono analgesiche e dopanti. Come ci riescano concretamente, ovvero attraverso quali meccanismi fisiologici, resta tutto da indagare.

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originalLa notizia ha fatto il giro del mondo, e non poteva essere altrimenti: alcuni ricercatori britannici hanno scoperto che dire le parolacce aiuta a sopportare il dolore.
La ricerca – svolta da psicologi dell’università di Keele – è stata pubblicata ai primi di agosto su “Neuroreport” ed è stata accolta come uno studio rivoluzionario o – peggio – come una curiosità stravagante… Tanto da aver guadagnato l’IgNobel Prize per la pace (la parodia dei premi Nobel riservati alle ricerche improbabili) nell’edizione 2010.
In realtà, pur nascendo da un’intuizione geniale, la ricerca ha perso un’occasione preziosa per far progredire gli studi psiconeurologici sul turpiloquio. Come faccio a dirlo? Beh, ho letto il testo integrale della ricerca che mi ha inviato uno degli autori, Richard Stephens. Vediamo cosa dice.

Innanzitutto, la ricerca nasce per verificare una – discutibile – ipotesi lanciata nel 2001 da uno psicologo canadese, Michael Sullivan dell’università McGill di Montreal (Canada). In uno studio, sosteneva che le imprecazioni (ossia le esclamazioni volgari come “Merda!” “Porca troia!”) sono un tentativo malriuscito di adattamento al dolore, che ci porta a sopportare pensieri negativi e inutili.
Ma se è così, perché allora le parolacce sono una risposta così frequente quando proviamo un dolore?
Se imprecare fosse davvero una forma di disadattamento, invece di aiutarci a sopportare il dolore dovrebbe amplificarlo, hanno obiettato i ricercatori inglesi.
E hanno  organizzato un esperimento tanto semplice quanto efficace per verificare se fosse davvero così.
E qui sta la parte meritoria della ricerca: ai partecipanti (67 giovani tra i 19 e i 22 anni) è stato chiesto di indicare le 5 imprecazioni più usate quando si martellano un dito per sbaglio, e di scegliere la prima della lista (le più popolari: Merda! Fanculo!).
Ricordate la celebre scena del film “Fantozzi” (1975) in cui il nostro eroe tenta di montare una tenda col collega Filini in un campeggio durante la notte? Per non disturbare gli intolleranti campeggiatori tedeschi, Fantozzi corre a sfogarsi a km di distanza…

L’olandese Wim Hof, capace di stare immerso nel ghiaccio per 1h 13’ e 48’’: un Guinness. Il merito? Non le parolacce, ma una tecnica yoga di meditazione tibetana, il tummo.

L’olandese Wim Hof, capace di stare nel ghiaccio per 1h 13’ e 48’’: un Guinness. Grazie a una tecnica yoga di meditazione tibetana, il tummo.

Ma torniamo all’esperimento. I partecipanti erano invitati a immergere una mano (la non dominante: la destra per i mancini e viceversa) in una bacinella d’acqua a temperatura ambiente (25 °C) per 3 minuti, dopo i quali si misurava la frequenza cardiaca, per avere un punto di paragone uguale per tutti. Poi dovevano immergere la stessa mano in una bacinella piena d’acqua fredda (5 °C) finché riuscivano a resistere, mentre ripetevano la parolaccia scelta oppure una parola neutra.
Il tempo di immersione sarebbe stato la misura della tolleranza al dolore. In più, dopo ogni tentativo, si misurava la frequenza cardiaca (battiti al minuto) e il dolore percepito (misurato da 1 a 10 con la scala inventata dallo psicologo svedese Gunnar Borg in relazione alla personalità dei soggetti: paura del dolore, ansietà…).
Ed ecco i risultati principali:

Maschi Femmine
Imprecanti Non imprecanti Imprecanti Non imprecanti
Resistenza (secondi) 190,63 146,71 120,29 91,07
Dolore percepito (scala di Borg) 3,89 4,87 3,79 5,62
Frequenza cardiaca (bpm) 90,05 85,26 100,28 91,07

Dunque, chi  ha smadonnato è riuscito a resistere più tempo (in media il 30% in più) con la mano in acqua fredda, proprio perché questa azione l’ha aiutato a sentire meno dolore.
Insomma, lungi dall’essere un disadattamento, l’imprecazione produce un effetto ipoalgesico (riduce la sensibilità agli stimoli dolorosi). E non basta urlare pronunciando una parola qualunque: solo sfogandosi con una parolaccia si riesce a sopportare il dolore per più tempo (+ 43,92 secondi gli uomini, + 29,22 secondi le donne).
Come spiegano questi risultati i ricercatori? Qui la ricerca mostra i suoi limiti: “imprecare serve ad alzare i livelli di aggressività, adottando un modello di risposta virile (e quindi più resistente al dolore) in caso di pericolo e stress. Il battito cardiaco aumenta perché si tratta di una reazione di lotta o fuga”.
In altre parole, imprecare è un riflesso difensivo: serve a intimidire una persona (o anche un oggetto) che ci attacca.
L’effetto è più marcato nelle donne, forse perché imprecano meno spesso degli uomini.

Il sergente Maggiore Hartman nel film "Full metal jacket" (1987): un esempio dell'uso di parolacce come sfogo per affrontare il dolore dell'addestramentio militare.

Il sergente Maggiore Hartman nel film “Full metal jacket” (1987):  le parolacce nell’addestramento militare.

Per chi ignora le ricerche sul turpiloquio, potrebbe sembrare una scoperta notevole. In realtà, è da più di 50 anni che vengono svolte ricerche sugli effetti fisici del turpiloquio: come ho scritto in Parolacce, è stato già accertato che dire parolacce aumenta la conduttività elettrica della pelle (vedi gli esperimenti che ho raccontato in questo post), fa dilatare le pupille e modifica la pressione.
Il motivo? Lo spiega, da 15 anni a questa parte, la neurobiologia: gli stati di coscienza sono dovuti a precise modificazioni biochimiche.  In pratica, le emozioni (rabbia, gioia, paura, tristezza, disgusto, sorpresa…) sono legate all’entrata in circolo, nel sangue, di sostanze prodotte dal nostro corpo (ormoni e neurotrasmettitori: adrenalina, serotonina, etc etc): queste sostanze – prodotte dal cervello e dall’apparato endocrino – attivano una serie di reazioni fisiche, dall’aumento del battito cardiaco alla sudorazione, dall’eccitazione alla sonnolenza eccetera.
Ora, le parolacce sono un linguaggio specializzato nell’esprimere le emozioni. E, guarda caso, sono controllate per lo più dal sistema limbico, un’area cerebrale che controlla le emozioni tramite la produzione di particolari ormoni e neurotrasmettitori.

Il sistema limbico (Shutterstock).

Dunque, sarebbe stato ancora più rivoluzionario scoprire quali sono le sostanze biochimiche che il nostro corpo produce quando imprechiamo. Bastava un prelievo di sangue – prima e dopo l’esperimento – per verificare se, com’è probabile, imprecare induce il nostro corpo a produrre più adrenalina (ormone e neurotrasmettitore), che, infatti, aumenta il livello di reattività dell’organismo. E con una risonanza magnetica funzionale si sarebbero potute fotografare le aree del cervello attivate.
E magari si sarebbe potuta verificare un’ipotesi suggestiva: dato che altre aree cerebrali (gangli della base e lobo frontale) funzionano come un censore, come una sorta di “freno a mano” che blocca l’articolazione delle parolacce, si può ipotizzare che l’organismo, disinnescando questo freno inibitorio, liberi delle energie che vengono usate per sopportare il dolore?
Non sono un neurobiologo, e non so rispondere. Perciò lancio un appello ai ricercatori italiani: perché non fate una ricerca che sveli finalmente quali sono i mediatori biochimici delle parolacce? Avrebbe sicuramente un riscontro internazionale, perché aiuterebbe a conoscere meglio un meccanismo di adattamento (e di sopravvivenza) fondamentale. Tanto più che il metodo escogitato dai ricercatori inglesi (imprecare tenendo una mano in acqua fredda) è facilmente ripetibile ed efficace. Qualcuno vuole raccogliere il testimone?

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