rompere le palle | Parolacce https://www.parolacce.org L'unico blog italiano di studi sul turpiloquio, dal 2006 - The world famous blog on italian swearing, since 2006 - By Vito tartamella Thu, 05 Dec 2024 18:12:19 +0000 it-IT hourly 1 https://www.parolacce.org/wp-content/uploads/2015/06/cropped-logoParolacceLR-32x32.png rompere le palle | Parolacce https://www.parolacce.org 32 32 Perché le parolacce non possono diventare egualitarie https://www.parolacce.org/2021/05/09/turpiloquio-inclusivo/ https://www.parolacce.org/2021/05/09/turpiloquio-inclusivo/#comments Sun, 09 May 2021 17:54:04 +0000 https://www.parolacce.org/?p=18659 Possiamo cancellare il sessismo dalle parolacce? La provocazione è stata lanciata l’8 marzo per la festa della donna. Un’agenzia pubblicitaria, la M&C Saatchi di Milano, ha fatto una campagna, “Sw(h)er words”, per “femminilizzare” alcune espressioni volgari italiane. Se una donna… Continue Reading

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Uno dei poster della campagna Sw(h)er words di M&C Saatchi.

Possiamo cancellare il sessismo dalle parolacce? La provocazione è stata lanciata l’8 marzo per la festa della donna. Un’agenzia pubblicitaria, la M&C Saatchi di Milano, ha fatto una campagna, “Sw(h)er words”, per “femminilizzare” alcune espressioni volgari italiane. Se una donna volesse respingere uno scocciatore, non dovrebbe dirgli “Mi hai rotto le palle”, poiché non ha i testicoli. Sarebbe più corretto, anzi, egualitario se dicesse “Mi hai rotto le tube”. 

Insomma, dopo aver inserito la versione femminile di molte professioni (“sindaca”, “rettrice”, “architetta”), ora dovremmo fare la stessa operazione anche con le parolacce. E perché? L’iniziativa non è una provocazione fine a se stessa. Si rifà a un movimento, il “linguaggio inclusivo” avviato nel 1977 in Francia, dalla scrittrice femminista Benoîte Groult: nel libro “So be it” lanciò una battaglia per femminilizzare i nomi delle professioni, alo scopo di rimarcare che non erano appannaggio esclusivo degli uomini.  Cambiare la lingua ci costringe, insomma, a cambiare la nostra mentalità

Questo principio si può applicare al turpiloquio? La risposta è in larga misura no. Sarebbe un’operazione fallimentare in partenza, perché non tiene conto delle specificità delle parole volgari.

Le parolacce sono parole emotive

Film commedia del 2005 di Mike Bigelow.

Rendere inclusivo il turpiloquio è un’operazione molto più complessa rispetto a femminilizzare i nomi delle professioni. Per queste ultime basta per lo più cambiare il suffisso, cioè la vocale finale delle parole, che in italiano indica il genere (-o, -i per il maschile, -a -e per il femminiie). Il “sindaco” diventa facilmente “sindaca”. E, in effetti, alcuni insulti sono diventati inclusivi nel corso della storia: da qualche tempo, ad esempio, “puttana” ha il corrispettivo maschile “puttano” per designare gli uomini che si prostituiscono, fisicamente o moralmente: persone senza scrupoli e inclini a compromessi. 

Ma l’operazione è ben più difficile, se non impossibile per le imprecazioni: se pestiamo il mignolo del piede contro uno spigolo, urleremo “Porca puttana!” e non ci sarà verso di correggerlo in un “Porco puttano!”, nemmeno se siamo profondamente convinti del suo egualitarismo. Perché in quei casi, cioè quando sono in gioco emozioni forti (rabbia, dolore, sorpresa) le parolacce funzionano come un riflesso neurologico e non sono controllabili dal pensiero razionale.
Queste espressioni sono sedimentate nella nostra cultura da secoli e sono registrate nelle aree emotive del nostro cervello (come raccontavo in questo
articolo) perciò sono difficilmente modificabili: non bastano le buone intenzioni razionali, occorrerebbero mesi di allenamento quotidiano per condizionarsi a usare nuovi modi di dire. Ecco perché anche la femminista più convinta, di fronte a una persona che le fa perdere la pazienza, esploderebbe in un “Che rompicoglioni!” piuttosto che “rompitube”.

Molte espressioni hanno origine anatomica, non discriminatoria

In un mio passato articolo ho mostrato che in molte lingue (inglese, francese, spagnolo, portoghese) esiste un equivalente di “rompere le palle”. Sono tutte culture maschiliste? Può anche darsi, ma questa espressione nasce per motivi fisici: i genitali maschili sono esterni, a differenza di quelli femminili, interni. E’ un dato di fatto anatomico, non culturale, che un calcio sui testicoli produca molto più dolore di uno sulla vulva. I genitali maschili sono molto più vulnerabili e delicati di quelli femminili, dunque ben si prestano a indicare una zona anatomica sensibile. Perciò sono usati come metafore per esprimere il dolore, il fastidio in molte espressioni: “rompere il cazzo”, “rompere i coglioni”, “stare sulle palle”, “stare sul cazzo” eccetera. 

Altro slogan della campagna di M&C Saatchi.

Anche “far girare le palle” ha una base fisica: la torsione testicolare, una patologia in cui il funicolo spermatico (il cordone che collega il testicolo all’inguine) ruota intorno al proprio asse, causando dolori lancinanti. Lo stesso dicasi per l’espressione “avere le palle piene” (= essere stufo): la sua origine si riconduce alla fastidiosa saturazione dei testicoli dovuta a prolungata astinenza sessuale. E “avere due palle così” (= noia) si potrebbe ricollegare all‘orchite, l’ingrossamento patologico dei testicoli. A differenza degli insulti, che nascono per descrivere in modo distorto un’altra persona (allo scopo di svilirla), i termini osceni sono descrittivi: per questo, in buona parte, le parolacce sono il linguaggio della spontaneità, della sincerità per quanto cruda. Diverse ricerche (ne parlo in questo articolo) hanno dimostrato che chi dice parolacce è spesso più sincero.
Qualcuno ha tentato di applicare il linguaggio inclusivo anche all’atto sessuale: come ricordavo in questo articolo, gran parte dei verbi che descrivono l’atto sessuale sono transitivi (“ho scopato Maria“), e indicano un atto di sopraffazione. Il sesso è un atto di forza promosso da un maschio attivo che ricade su una femmina passiva, sfruttandola o danneggiandola. Perciò alcuni hanno proposto invece di corregere questa prospettiva usando verbi intransitivi (fare sesso, fare l’amore, andare a letto insieme, avere un rapporto): in quest’ottica il sesso diventa
un’attività, non meglio specificata, cui si dedicano insieme due partner su un piano di uguaglianza. Ma sono tentativi culturali di prendere le distanze dal nostro lato animalesco.

Non sempre, comunque, l’anatomia del turpiloquio è scientificamente corretta: il pene è diventato simbolo di forza e vigore, ma a ben vedere è ben più forte (o meglio, resiliente) la vagina, capace di tollerare gli sforzi del parto. Ma l’espressione “a figa dura” (proposta dalla campagna pubblicitaria) non riesce a descrivere questo aspetto, anzi suona innaturale se non ridicola.

E anche se il clitoride è il corrispettivo anatomico del pene, dire “non rompermi il clitoride” (anche’essa proposta dalla campagna) suona artificioso perché è difficile – nella realtà – ledere questo organo. “Rompere le tube” ha lo stesso problema, oltre a essere anatomicamente errata: l’equivalente dei testicoli (gonadi maschili), nelle donne, sono le ovaie (gonadi femminili): “non rompermi le ovaie” sarebbe dunque un’espressione più corretta. Anche se è molto più realistico riuscire a “rompere” (ledere) i testicoli che le ovaie: per il primo risultato basta un calcio ben assestato, mentre per rompere le ovaie occorrerebbe un intervento chirurgico.
Difficile, invece, valutare la versione femminile di “uomo con le palle”, cioè coraggioso, deciso, forte. E’ vero che l’espressione si declina anche al femminile (“è una donna con le palle”), ma suona artificiosa, sia anatomicamente che culturalmente: non è detto che il coraggio o il decisionismo siano attributi esclusivamente maschili. Si potrebbe dire “donna con le ovaie”, ma resta il fatto che la capacità di generare è simbolicamente meno collegata alla forza di quanto lo sia quella di fecondare: ma potrebbe essere un limite della nostra cultura moderna, dato che nell’antichità era molto diffuso il culto di divinità femminili legate alla generazione.
E’ invece adeguato dire “Mi cadono le tette” come equivalente femminile di “Mi cadono le palle”. Infatti,  durante la vecchiaia, il seno diventa cadente tanto quanto i testicoli.

Ma che bisogno c’è di inventare nuovi modi di dire egualitari artificiosi quando li abbiamo già? Se le metafore sessuali maschili o femminili vi sembrano limitanti, potete usare la metafora dei glutei: “quel tipo è un dito al culo”, “mi sta sul culo”, “è uno stracciaculo”, “mi ha fresato il culo”, eccetera. Il culo è unisex, quindi “politicamente corretto” (tranne quando si riferisce all’omosessualità). 

Le parolacce sono sessiste per natura (anche verso l’uomo)

Pretendere che le parolacce siano egualitarie è come aspettarsi che una guerra sia innocua. Le parolacce, infatti, sono sessiste (e razziste, omofobe, classiste) per natura: sono colpi sotto la cintura, perché servono ad abbattere un avversario con un giudizio sommario, e come tale sempre distorto

Un romanzo uscito nel 2020 (Le Mezzelane editore).

Ma attenzione. Le parolacce non sono solo misogine, cioè sessiste verso le donne: lo sono pure verso gli uomini, sono anche misantrope. Avevo affrontato questo argomento in un altro articolo, ma qui voglio evidenziare altri aspetti più centrati sull’anatomia sessuale. 

Fateci caso. Per disprezzare una persona irresponsabile, egoista, superficiale diciamo che è un “cazzone”, un “testa di cazzo”. Se è poco intelligente, lo definiamo un “coglione”, non un “figone”: altrimenti gli faremmo un gran complimento.
L’italiano, infatti, è fallocentrico in ambo i sensi: i genitali maschili possono essere usati sia come metafore di vigore (“cazzuto”, “con le palle”, “incazzato”), ma anche come spregiativi (“testa di cazzo”, “cazzone”, “coglione”, “palloso”). I genitali femminili, invece, sono usati per esprimere attrattività e bellezza (“figo”, “figa”, “figona”, “figone”), a differenza del francese e dell’inglese, dove i genitali femminili (rispettivamente “con” e “cunt”) sono usati come insulti pesanti. L’unica eccezione in italiano è il termine “fesso” che deriva da “fessura” (vulva) in senso spregiativo.
Quindi non bisogna lasciarsi prendere da facili isterismi (o da cazzonaggine, se vi pare più equo) nel giudicare il turpiloquio come maschilista.

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Giramenti di palle (e altri detti testicolari) https://www.parolacce.org/2015/02/21/modi-di-dire-testicoli/ https://www.parolacce.org/2015/02/21/modi-di-dire-testicoli/#comments Sat, 21 Feb 2015 15:36:53 +0000 https://www.parolacce.org/?p=7064 Perché quando siamo arrabbiati diciamo che ci “girano le palle“? La domanda me l’ha posta un lettore di questo blog, Tristan Vallesi. E mi ha permesso di approfondire un fatto sorprendente, a cui spesso non facciamo caso: i testicoli hanno ispirato… Continue Reading

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Quando le palle girano, bisogna stare attenti (foto ra2studio / Shutterstock.com).

Perché quando siamo arrabbiati diciamo che ci “girano le palle“? La domanda me l’ha posta un lettore di questo blog, Tristan Vallesi. E mi ha permesso di approfondire un fatto sorprendente, a cui spesso non facciamo caso: i testicoli hanno ispirato decine di coloriti modi di dire, da “Mi stai sulle palle” a “Me ne sbatto le palle”. E questo non solo in italiano (ne ho trovati 16, ma probabilmente ne esistono altri) ma anche in spagnolo, in francese, in inglese e in portoghese, come potrete vedere nella divertente tabella comparativa che pubblico più sotto. Ma perché così tanto fervore sui marroni, che in italiano hanno un centinaio di sinonimi? E da dove derivano questi modi di dire?
Avevo raccontato qui il valore storico, culturale e simbolico dei testicoli, ma ora esaminiamo il “giramento di palle”. Sul Web, segnala il lettore, circola l’ipotesi che all’origine del detto ci sia un’usanza militare della Prima Guerra mondiale: quella di caricare le armi con le pallottole al contrario (girate), per ottenere effetti più letali. E’ davvero così? Lo escludo. In realtà, i detti sui testicoli nascono dalla vita quotidiana di tutti, non solo dei militari del ’15-’18. Perché i testicoli hanno una grande potenza simbolica (l’ho raccontato in dettaglio qui), e non potrebbe essere altrimenti: sono la fonte della virilità e della fecondità. Non averli significa essere castrati.

Ma approfondiamo il “giramento di palle”. L’aneddoto militare sulle pallottole è raccontato da uno studioso di storia, Mariano De Peron. Il testo è introvabile sul Web, ma ecco che cosa riferisce uno dei tanti siti che ne parlano: “Invece di modificare la punta delle pallottole per indurre effetti espansivi (ad esempio bucando la punta, come nelle hollow point, o segandola, come nelle classiche dum dum inglesi) i fanti più “industriosi” e meno attrezzati sfilavano le pallottole (le palle) dal bossolo e le reinserivano girate. Così ottenevano due risultati: ne avanzavano il baricentro, rendendole più stabili e precise nel tragitto verso il bersaglio, ma soprattutto le rendevano estremamente instabili e pronte a ribaltarsi al momento dell’impatto, determinando ferite estese e difficilissime da operare, anche quando non profonde”.
Spiegazione suggestiva, ma non regge. Innanzitutto, perché le munizioni erano chiamate “palle” solo in epoca napoleonica; durante la prima guerra mondiale erano chiamati bossoli, proiettili, cartucce, pallottole ma di certo non palle. A parte il fatto che – dicono alcuni esperti militari con cui ho parlato – girare le pallottole è una procedura pericolosa e difficile, se non impossibile: come staccare e reinserire la punta del proiettile al contrario? Tanto più che al di là del saggio di De Peron, non ho trovato altre testimonianze che confermassero questa origine del detto: il che è strano, visto che il modo di dire è molto popolare. Infine, un altro indizio mi fa pensare che questa ricostruzione bellica sia sbagliata: tutti i modi di dire sulle palle hanno un’origine fisica, anatomica, simbolica e a volte medica.

Il celebre album dei Sex Pistols "Never mind the bollocks" (1977), ovvero: non fate caso alle cazzate/sbattetevene le palle (foto Shutterstock).

L’album dei Sex Pistols “Never mind the bollocks” (1977), ovvero: non fate caso alle cazzate/sbattetevene le palle (foto dimitris_k/ Shutterstock.com).

Partiamo dal detto più popolare: “rompere le palle”. La spiegazione è semplice: dato che i testicoli sono una delle parti più sensibili (dei maschi), una persona che dà fastidio provoca, per iperbole, un dolore simile a un trauma ai testicoli. Un dolore insopportabile, acuto, che può durare ore. Tant’è vero che il detto è presente anche in molte lingue europee (v. tabella più sotto).
Stessa origine anatomica per il detto “aver piene le palle” (oppure “Che palle”) per indicare noia, fastidio, insofferenza: evoca la fastidiosa saturazione dei testicoli dovuta a prolungata astinenza sessuale. Stesso significato e stessa origine per il detto “Avere due palle così“, che si potrebbe ricollegare all’orchite, l’ingrossamento patologico dei testicoli. Un fastidio simile a quello di avere un peso sugli zebedei (“Stare sulle palle”).
Allora a che cosa può riferirsi il detto “avere le palle girate”? A un’altra patologia: la torsione del testicolo, che, secondo studi epidemiologici, colpisce una persona su 4.000 (sotto i 25 anni d’età). Una malattia grave e dolorosa: il testicolo (più precisamente, il funicolo spermatico, il cordone che collega il testicolo all’inguine) ruota intorno al proprio asse, causando dolori lancinanti. Per rimetterlo a posto occorre un intervento chirurgico urgente.

Non stupisce quindi, che molte di queste situazioni abbiano ispirato modi di dire in varie lingue europee, spesso con una corrispondenza perfetta. Unica eccezione il tedesco, nel quale esiste solo l’equivalente di “stare sulle palle” (das geht mir auf die Eier, letteralmente: mi stai sulle uova).
Ho riunito i modi dire in 3 grandi categorie: fastidio, rabbia, noia, dolore; coraggio e forza; disvalore. Ma come si spiega che i preziosi testicoli siano diventati sinonimo anche di “cosa da nulla”? E’ l’effetto dello gnosticismo, un antico movimento filosofico-religioso che disprezzava il corpo e la sessualità, come ho raccontato più diffusamente in questo articolo.

Fra i tanti detti, segnalo un paio di curiosità dalla Francia. I nostri cugini francesi, quando dicono che hanno  “le palle piene” (avoir les boules), spesso accompagnano  il detto con un gesto espressivo: mimano le palle con le mani poste sotto il mento. E per descrivere qualcuno che si è arricchito a dismisura, dicono che “si è fatto le palle in oro“: spesso i ricchi, per vanità, scialacquano i soldi in acquisti faraonici quanto inutili.

Avete altri detti da segnalare? Fatelo nei commenti qui sotto!
Ringrazio tutti gli amici a cui “ho rotto le palle” per ricostruire questa tabella: Frida Morrone, Vitalina Frosi, Roland Jentsch, Nello Avella, Giovanni Casalegno, Giorgio Albertini.

ITALIANO INGLESE SPAGNOLO FRANCESE PORTOGHESE

Fastidio, rabbia, noia, dolore

Avere i coglioni gonfi/pieni [Essere stufo, annoiato di qualcosa] to be bollocksed Estar hasta los cojones/huevos/pelotas de…/ hinchar las bolas / pelotas En avoir plein les couilles / Avoir les boules [Ma vuol dire anche aver paura]/ Faire bouffer ses couilles à qualqu’un Estar de saco cheio/ Não me enches o saco
Rompere i coglioni [Infastidire] To break the (one’s) balls / ballsache Joder, tocar, romper los cojones Casser les couilles Puxar o saco
Che palle/Due palle/Farsi due palle così [Che noia] Bollocks/Talking bollocks/bollockspeak [Ma vuol dire anche “insensato”] Mes couilles/des couilles
Avere/stare sui coglioni [Avere in antipatia] Ser um pé no saco [Essere un piede nelle palle]
Levarsi, togliersi dai coglioni [Andarsene]
Mi girano i coglioni [Arrabbiarsi]
Grattarsi le palle [Non fare nulla, perdere tempo] Tocarse los cojones Ficar coçando o saco
Far cadere le palle

[ deprimere, demotivare, deludere]
 
Bollocking / chew someon’s bollocks off [Cazziatone]
A kick in the bollocks [un calcio nelle palle = un grande dolore ]
Estar en pelota/ coger a uno en pelota [Essere nudo/rovinato/preso di sorpresa]

Coraggio, forza

Avere i coglioni/avere due palle così/avere le palle quadrate o d’acciaio [Essere forte, coraggioso] The bollocks/to have steel balls/ ballsiness/ballsy Tener huevos/un par de cojones/tener los cojones cuadrados/tener cojones Avoir de couilles Colhao roxo, colhudo/ Ser um saco/ Ter o saco roxo [Avere le palle viola, cioè, essere un maschione]
Tirar fuori le palle [Agire con coraggio e determinazione] / Mettere i coglioni sul tavolo Poner los cojones encima de la mesa Les couilles sur la table 
Mangiarsi le palle [Arrabbiarsi con se stessi] Se manger les couilles
Palle mosce [Debole, codardo, indeciso] Couille molle
Scoglionato, smarronato [Senza grinta, annoiato]
Toccarsi le palle [Gesto scaramantico]
Tenere qualcuno per le palle [Avere in potere qualcuno] Tener a alguien agarrado de los huevos
Balls-out/balls to the wall [A tutta manetta, a più non posso]

Disvalore

Sbattersene i coglioni [Fregarsene] Bollocks to that Importarle un huevo/importar tres cojones [Non me ne frega niente] Je m’en bats les coquilles/ Mes couilles
Un paio di palle [Per niente]
dei miei coglioni

[ di nessun valore ]
A bollocks/balls-up [disastro, fallimento]/to drop a bollock [Malfunzionamento, guasto] Des mes couilles/C’est de la couille [non funziona] Une grosse couille [Un grande problema] Mes couilles! [per niente ]
Go to bollocks [Andare in malora]
Talking bollocks [ dire cazzate ]

Valore, divertimento

The dog’s bollocks [Incredibile, ammirevole] Cojones! [Esclamazione di sorpresa]
Se faire desss couilles en or [Farsi i coglioni in oro, diventare ricchissimo]
Valìa un cojòn [Valeva molto]
Descojonado [ morto dalle risate ]
Mil pares de cojones [Numero incalcolabile]
Me saliò de cojones [E’ stato un successo]
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Che palle!!! Come i santissimi diventarono coglioni https://www.parolacce.org/2008/06/21/che-palle-come-i-santissimi-diventarono-coglioni/ https://www.parolacce.org/2008/06/21/che-palle-come-i-santissimi-diventarono-coglioni/#respond Sat, 21 Jun 2008 16:28:00 +0000 https://www.parolacce.org/?p=39 Solo in italiano hanno 101 sinonimi: da ammennicoli a zebedei. Hanno ispirato poesie, insulti, polemiche politiche, modi di dire. Siete stupiti che due ghiandole pendenti possano avere tutta questa importanza? Fatevene una ragione: sono organi importantissimi. Producono gli spermatozoi e l’ormone… Continue Reading

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Campagna pubblicitaria Ikea 2005: fu censurata. Solo in italiano hanno 101 sinonimi: da ammennicoli a zebedei. Hanno ispirato poesie, insulti, polemiche politiche, modi di dire. Siete stupiti che due ghiandole pendenti possano avere tutta questa importanza? Fatevene una ragione: sono organi importantissimi. Producono gli spermatozoi e l’ormone testosterone, e perciò sono responsabili della capacità riproduttiva dell’uomo, oltre che della comparsa dei caratteri secondari maschili (peli, voce, massa muscolare). E scusate se è poco!!!
La loro importanza fu intuita fin dagli antichi, che li considerarono un attributo sacro: un atteggiamento molto più saggio di quanto facciamo oggi, quando usiamo il termine “coglionata” per qualificare una stupidaggine o una cosa senza valore. Ma come si è passati da una prospettiva così alta a una così riduttiva? E come fanno i testicoli a essere un jolly linguistico tanto ricco ed efficace?

Attributi divini

Partiamo dalle origini. Nelle civiltà più antiche, come quella babilonese ed egizia, gli attribuiti sessuali erano considerati sacri, un attributo divino. Come dar loro torto? Grazie agli organi genitali l’uomo può assicurarsi una discendenza, trasmettendo i propri geni e assicurandosi, in un certo senso, l’immortalità. Ecco perché erano tenuti nel massimo rispetto, tanto che i giuramenti solenni si facevano ponendo le mani su di loro. Potete trovare una traccia di questa usanza anche nella Bibbia, in Genesi 24:2, quando Abramo impone al suo servo più fidato di non far sposare suo figlio a una Cananea, chiedendoli di giurare “ponendo una mano sotto la sua coscia”: nella Bibbia, coscia è un eufemismo per i testicoli, che non a caso significano “piccoli testimoni” (di un giuramento). Da questa prospettiva sacrale si può capire perché queste ghiandole siano chiamate santissimi, gioielli di famiglia, zebedei (dall’ebraico, “dono di Jahveh”, cioè di Dio).

Antica Grecia: statua per culti fallici.

Antica Grecia: statua per culti fallici.

Non deve stupire, quindi, se ancora nel 1500 il poeta Antonfrancesco Grazzini dedicò loro un sonetto:  “In lode dei Coglioni idest Granelli”:

Questi nostri poeti cicaloni
possono andare a lor posta al bordello,
poi ch’a me tocca lodare i coglioni. (…)
Orsù, coglioni miei, fatevi avanti,
ché di lodarvi ho più spasso e piacere
ch’al sol di verno lung’Arno i furfanti.

(Il testo integrale è qui).

La loro importanza, comunque, è testimoniata da diversi modi di dire non religiosi: “avere le palle”, “avere due palle così”, “avere i coglioni quadrati”, “tenere qualcuno per le palle” (espressione nota già ai Latini: la usò Gaio Petronio nel “Satyricon”). Come fonte di forza e potenza, i testicoli hanno anche una funzione apotropaica: toccandoli, si scacciano gli influssi maligni (“mi tocco le balle”). Al contrario, una persona senza iniziativa e vitalità è detto “scoglionato”; e chi si frega con le proprie mani si “taglia i coglioni”.

Talloni d’Achille

Milano, Galleria Vittorio Emanuele. I testicoli del toro nello stemma di Torino sono consumati: ruotarvi sopra il tacco è considerato un rito porta fortuna.

Milano, Galleria Vittorio Emanuele. I testicoli del toro nello stemma di Torino sono consumati: ruotarvi sopra il tacco è considerato un rito porta fortuna.

Pur essendo simboli di forza e virilità, i testicoli sono la parte più delicata dell’uomo, il suo vero… tallone d’Achille. Ecco perché i testicoli sono usati anche per esprimere fragilità e sensibilità: “rompere i coglioni”, “levarsi dai coglioni”, “scassaballe”, “stare sulle balle”, “averne piene le palle” (riferimento al fastidio causato dalla maturazione degli spermatozoi non eiaculati), “palloso”, “mi girano le palle” (la torsione del testicolo esiste davvero ed è una patologia urologica grave e dolorosa).
In una prospettiva più banale, però, i testicoli sono stati denominati solo in base alla forma e all’aspetto (marroni, fagioli, palle, ciondoloni, contrappesi, cugini, ghiande, prugne, uova). E in una visione riduttiva e meccanicista dell’atto sessuale, sono stati qualificati anche come buffi accessori: già nel 1500 il poeta Pietro Aretino nei “Sonetti lussuriosi” scriveva: non mi tener della potta anche i coglioni, / d’ogni piacer fortuni testimoni. Così i testicoli, originariamente testimoni dei solenni giuramenti, si sono trasformati in penzolanti guardoni dell’atto sessuale, in confronto all’attività e potenza del fallo. Ovvero: cose inutili, (apparentemente) senza vita e valore.
Così “coglione” qualifica una persona stupida. Nel 1582 il filosofo Giordano Bruno scriveva questo insulto nel “Candelaio”: “
Un eteroclito babbuino, un natural coglione, un moral menchione, una bestia tropologica, un asino anagogico!”. L’italiano è l’unica lingua romanza a usare il testicolo come metafora insultante.

Ma “palla” significa anche frottola, bugia: come si è arrivati a questo significato? Probabilmente da “balla” intesa come quantità di merci messe insieme e avvolte: un’immagine per esprimere una quantità di bugie preconfezionate; oppure un riferimento a “balla” intesa come vescica sferica inconsistente, che contiene solo acqua.

Fecondità espressiva

Elezioni 2006: Silvio Berlusconi definisce "coglioni" gli elettori del centro-sinistra. Che rivendicano la loro identità senza sentirsi offesi.

Elezioni 2006: Silvio Berlusconi definisce “coglioni” gli elettori del centro-sinistra. Che rivendicano la loro identità senza sentirsi offesi.

Non stupisce quindi, che balle e coglioni siano al 9° e al 12° posto delle parolacce più usate in italiano, come raccontavo in questo articoloE che grandi poeti abbiano celebrato la ricchezza linguistica ispirata dai testicoli. Carlo Porta li ha usati nella poesia “Ricchezza del vocabolari milanes” per mostrare la loro fecondità espressiva:

Oh quanti parentell han tiraa in pee
per nominà i cojon! Gh’han ditt sonaj,
toder, granej, quattordes sold, badee,
zeri, testicol, ròsc, ball, baravaj…

(Il testo integrale è qui). 

E Gioachino Belli nel sonetto “Li penzieri libberi” ha fatto la stessa operazione in romanesco:
Sonajji, pennolini, ggiucarelli,
E ppesi, e ccontrapesi e ggenitali,
Palle, cuggini, fratelli carnali,
Janne, minchioni, zebbedei, ggemmelli. (…)
Cusì in tutte cquattordisci l’urioni, (…)
Se sò cchiamati a Rroma li cojjoni.

(Testo integrale qui).

 ... e avviso espressivo: vietato romperle!E all’estero? Gli stranieri non sono da meno. Diversi modi di dire “pallosi” li ho raccolti su “Parolacce”…. e in questo articoloVoi ne conoscete altri? In italiano, in dialetto o in una lingua straniera? Segnalatemeli e… ne riparliamo.

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