scienza | Parolacce https://www.parolacce.org L'unico blog italiano di studi sul turpiloquio, dal 2006 - The world famous blog on italian swearing, since 2006 - By Vito tartamella Mon, 03 Feb 2025 13:21:09 +0000 it-IT hourly 1 https://www.parolacce.org/wp-content/uploads/2015/06/cropped-logoParolacceLR-32x32.png scienza | Parolacce https://www.parolacce.org 32 32 PIRLA project, CACCA club e altre (vere) sigle divertenti https://www.parolacce.org/2018/02/27/acronimi-volgari/ https://www.parolacce.org/2018/02/27/acronimi-volgari/#comments Tue, 27 Feb 2018 09:00:30 +0000 https://www.parolacce.org/?p=13846 Da bambino, quando leggevo Topolino, mi divertivano gli acronimi delle ditte dietro cui i Bassotti mascheravano le loro attività criminose. Tipo la Federazione Unitaria Rigattieri Trovarobe Organizzati (FURTO). Mi faceva ridere il fatto che le iniziali dei nomi dessero vita… Continue Reading

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La pagina Web del club fotografico CACCA: guarda caso è a… Chicago

Da bambino, quando leggevo Topolino, mi divertivano gli acronimi delle ditte dietro cui i Bassotti mascheravano le loro attività criminose. Tipo la Federazione Unitaria Rigattieri Trovarobe Organizzati (FURTO). Mi faceva ridere il fatto che le iniziali dei nomi dessero vita a parole di senso compiuto, a differenza delle sigle del mondo reale (tipo Cgil, Cisl e Uil) che sono solo sequenze di lettere.
In questi giorni ho scoperto altri acronimi divertenti. Ma con 3 differenze rispetto a quelle dei Bassotti: sono sigle vere, e sono in inglese. E danno vita non a parole, ma a parolacce italiane.
Non sono, però, il frutto della fantasia goliardica di qualcuno, ma indicano enti governativi, invenzioni tecnologiche, associazioni, serissimi progetti di ricerca scientifici e anche una blasonata squadra di calcio. Tranne qualche eccezione, sono per lo più assonanze dovute al caso. La malizia, dunque, sta nell’occhio di chi le legge (e si diverte)...
Ecco la raccolta delle 22 sigle più pazze del mondo, che arrivano dagli Usa ma anche dalla Francia, da Haiti e, solo in un paio di casi, sono stati creati da italiani (fate clic sulle foto per ingrandirle).

PIRLA

In Lombardia è uno degli insulti (bonari) più usati. Per un ridicolo caso del destino, PIRLA designa anche un serio progetto scientifico: il Paleoecological Investigation of Recent Lake Acidification, per gli amici “PIRLA project”. E’ lo studio paleo-ecologico (cioè antico) della recente acidificazione dei laghi. Mica cose da PIRLA.

VAFFA

Non tutti gli acronimi volgari nascono per caso. A volte possono verificarsi un po’ per caso e un po’ per malizia, se gli autori sono italiani. Nel 2011, infatti, alcuni ricercatori dell’Infn e dell’Università di Torino avevano presentato un Prin (Progetto di ricerca di rilevante interesse nazionale) su un sistema di analisi virtuale per l’Lhc, l’acceleratore di particelle al Cern di Ginevra. L’acronimo del sistema era VAFFA: Virtual Analysis Facility For the Alice experiment. Con un “vaffa” le particelle vanno più veloci.


CACCA

L’acronimo sta per Chicago Area Camera Club Association: in pratica, è un club che riunisce gli appassionati di fotografia, organizzando corsi e concorsi. Con una sigla così, era inevitabile che il club Cacca avesse sede a…. Chicago.
Una sigla simile – CAC – designa il centro di informatica avanzata (Center for advanced computing) dell’università Cornell. E l’ignobile acronimo CACAR indica invece il Rapporto di valutazione dei contaminanti artici canadesi (Canadian Arctic Contaminants Assessment Report).

CULO

Il laboratorio di ornitologia della Cornell University (Cornell University Lab of Ornithology) dà origine a un acronimo ridicolo: CULO. Forse, dopo qualche tempo, devono essersi resi conto dell’assonanza imbarazzante, e usano più frequentemente il nome Cornell Lab of Ornithology (CLO). Peccato: sarebbe stato bello leggere uno studio sul cuculo fatto dal… CULO.

FICA e FIGA

Ad Haiti, c’è una squadra di calcio che si crede più brava delle altre. Tanto che, sulla propria casacca, ha cucito il logo FICA. Ma non è presunzione: è l’acronimo di Football Inter Club Association. Per un Paese dove si parlano francese e creolo, un nome inglese è stato una scelta un po’ snob. La FICA, fondata nel 1972, milita nella massima categoria e ha vinto 7 scudetti. Qui in Italia avrebbe molti tifosi pronti a fare un cambio di casacca per lei.

Ma se la squadra FICA è frutto di un’assonanza incidentale, non è il caso della stessa sigla, FICA, che designa invece un particolare tipo di antenna per telefoni cellulari: la Folded Inverted Conformal Antenna (Antenna conforme invertita piegata). Dietro questo malizioso acronimo, infatti, si cela lo zampino di due ingegneri italiani, Carlo Di Nallo e Antonio Faraone, che l’hanno inventata nel 2005, quando lavoravano nei laboratori di ricerca delle Motorola, negli Usa.

Ma non è tutto: FICA è anche la sigla di:

E non poteva mancare anche la variante con la “g”. L’acronimo FIGA designa:

MERDA

All’American Museum of Natural History di New York hanno inventato, per ricostruire i fossili incompleti, una Analisi dei dati di sostituzione delle voci mancanti. La sua sigla, in inglese, suona Missing Entry Replacement Data Analysis: MERDA. Questa procedura, illustrata nel 2003 sul Journal of Vertebrate Paleontology, non ha però un nome casuale, come ho potuto verificare intervistando uno degli autori, Ward C. Wheeler, della divisione di zoologia degli invertebrati al Museo.«Abbiamo scelto quella sigla di proposito, sappiamo cosa vuol dire quella parola in catalano (come in italiano, ndr). Era un acronimo divertente: l’abbiamo scelta per sottolineare la scarsa qualità dei gruppi incompleti di dati. La procedura è tuttora usata per l’analisi di campioni incompleti di fossili».

MONA & SEGA

Questa strana coppia designa due apparati di rilevazione alla Michigan State University: il Modular Neutron Array (MoNA), un rilevatore di neutroni, e il Segmented Germanium Array (SeGA) che invece individua il germanoAnche nel mondo atomico, quando c’è una (MONA) non c’è l’altra (SEGA)?  O forse sono usati in simultanea: ovvero, tecnicamente parlando, in accoppiamento (coupling).
Ma gli acronimi equivoci non riguardano solo il mondo della fisica delle particelle: in medicina, l’acronimo Mona sta per Morphine, Oxygen, Nitriglycerin, Aspirin, ovvero i trattamenti da somministrare in caso di sospetto attacco di cuore (ma i recenti progressi medici hanno corretto questo approccio: ossigeno e morfina rischiano di fare danni).
Va aggiunto, a corredo di questo caso, che SEGA indica anche il Serbia Economic Growth Activity, un ente di monitoraggio fiscale degli Usa in Serbia.

OSTIA

No: non è una sigla veneta blasfema. Ostia sta per “The Ocean’S role in miTIgating climAte change“, ovvero il ruolo dell’oceano nel mitigare il cambiamento climatico: è un progetto dell’Istituto di ricerca Geomar Helmholtz per la ricerca oceanica di Kiel (Germania). Gli scienziati si propongono di indagare che cosa succede nel lungo termine alle emissioni e al calore che l’oceano ha immagazzinato dall’inizio dell’industrializzazione. 

PIPPA

La poco nobile sigla PIPPA sta per Pressurized Pile Producing Power and Plutonium (cumulo pressurizzato che produce energia e plutonio): ovvero, in parole povere, una centrale nucleare britannica, quella di Calder Hall, chiusa nel 2003. L’esatto contrario di una PIPPA.

SCOPA

Il sesso, a dispetto delle apparenze, non c’entra. Lo Standing Committee on Public Accounts (SCOPA) ovvero il Comitato permanente sui conti pubblici è un austero organo di controllo delle spese parlamentari in Sud Africa.
Questo ente pubblico monitora, insomma, il buon uso dei fondi dello Stato: se qualcuno li spreca, se c’è un sospetto di corruzione, interviene la SCOPA. Per vedere se qualcuno si è… fottuto i soldi dei contribuenti. Il comitato è composto da 16 – ehm – membri.

PRONACUL

Sembra la marca di una supposta. Invece “Pronacul” è un acronimo che sta per PROmozione del patrimonio NAturale e CULturale: è un progetto, finanziato dall’Unione Europea, che ha come obiettivo la conservazione e la promozione del patrimonio naturale e culturale nell’area adriatico-ionica. Al progetto partecipano infatti, oltre all’Italia, anche  Slovenia, Croazia, Grecia, Bosnia Erzegovina e Serbia. 

Vi è piaciuta questa lista? Su questo sito trovate anche:

• le città del mondo con un nome volgare,

• le parole straniere che sono identiche a parolacce italiane,

• E in questa pagina trovate altri acronimi fra i prodotti stranieri che diventano imbarazzanti in italiano: dalla bevanda Frocho al software Inkulator.

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Scoperta: anche le scimmie possono insultare https://www.parolacce.org/2017/12/05/gesti-volgari-parolacce-animali/ https://www.parolacce.org/2017/12/05/gesti-volgari-parolacce-animali/#respond Tue, 05 Dec 2017 09:00:00 +0000 https://www.parolacce.org/?p=13364 In questo articolo vi racconto una scoperta affascinante: durante un originale esperimento scientifico, durato vari decenni, alcuni scimpanzé hanno imparato la lingua dei segni, quella dei sordomuti. E in breve tempo l’hanno usata per inventare dei gesti insultanti. Le scimmie, dunque, possono imparare… Continue Reading

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Un gorilla fa il dito medio: è solo una coincidenza o un’imitazione, senza lo scopo di insultare (Shutterstock).

In questo articolo vi racconto una scoperta affascinante: durante un originale esperimento scientifico, durato vari decenni, alcuni scimpanzé hanno imparato la lingua dei segni, quella dei sordomuti. E in breve tempo l’hanno usata per inventare dei gesti insultanti.
Le scimmie, dunque, possono imparare le parolacce? In effetti sul Web circolano le foto di macachi, oranghi e scimpanzé ritratti in vari zoo mentre esibiscono il dito medio davanti al fotografo. Ma non fatevi abbindolare: sono gesti del tutto casuali, finiti davanti a un obiettivo per pura coincidenza. Solo in alcuni casi si tratta di animali che hanno appreso quel gesto per imitazione, e lo ripetono perché sono premiati con cibo o attenzione quando lo fanno. Nessuna consapevolezza comunicativa, insomma: come potrebbero sapere che quel gesto significa “Vai a farti sodomizzare“?


Questi casi, però, non hanno nulla a che vedere con quanto hanno scoperto, con un esperimento senza precedenti, alcuni primatologi statunitensi che hanno insegnato il linguaggio dei segni ad alcuni scimpanzé: dopo qualche tempo, gli animali hanno combinato in modo creativo quei gesti per esprimere frasi dispregiative. Hanno creato, insomma, i primi insulti scimmieschi. Ecco come.

L’ESPERIMENTO

L’esperimento a cui mi riferisco risale a 50 anni fa. Nel 1967, due studiosi dell’Università del Nevada, Allen e Beatrice Gardner, avevano deciso di insegnare a uno scimpanzè il linguaggio  dei segni americano (ASL), quello usato dai sordomuti, per verificare se imparavano a comunicare in modo più ricco con gli uomini.
Gli scimpanzé, infatti, si esprimono per lo più a gesti perché non sono fisicamente in grado di parlare: hanno una lingua sottile e una laringe alta. E anche per questo sono piuttosto silenziosi: urlano e fanno altri versi con funzione di richiamo quando litigano, minacciano o sono spaventate.
Se si eccettua questo aspetto, però, gli scimpanzé hanno notevoli somiglianze con noi: il loro Dna è per  il 98,5% uguale al nostro, e anche loro hanno un’infanzia molto lunga, durante la quale continuano a dipendere dai genitori mentre imparano le conoscenze necessarie a sopravvivere. Questa infanzia prolungata rende gli scimpanzé più adattabili all’ambiente e capaci di assimilare nuove informazioni durante la loro lunga vita (che dura fino a 40 anni allo stato brado, e a 60 anni in cattività).
Allen e Beatrice Gardner adottarono uno scimpanzè di 10 mesi di vita, proveniente dall’Africa, e le diedero il nome di Washoe (dal nome della Contea del Nevada dov’era l’università). Con molta fatica le insegnarono a bere da una tazzina, a mangiare usando le posate, a vestirsi e soprattutto a usare il vasino: è impossibile convivere con una scimmia abituata a defecare ovunque e in ogni momento. E, poco alla volta, le insegnarono anche a usare il linguaggio dei segni per esprimere le richieste più elementari: cibo e acqua. Davanti a Washoe, nessuno scienziato doveva parlare, ma usare solo i gesti per comunicare.

Una scimmia che parla

Nel 1970, all’età di 5 anni, la scimmia Washoe era in grado di usare 132 parole-segni e di capirne centinaia di altre. E, cosa ancor più sorprendente, imparò a comporre frasi complesse, anche se nessuno glielo aveva insegnato. Ecco il racconto del primatologo Roger Fouts,  nel libro “La scuola delle scimmie” (Mondadori): «Washoe indicava BERE stringendo il pugno con il pollice allungato, che poi portava alla bocca. Per indicare FIORE si toccava le narici coi polpastrelli. Per ASCOLTARE si toccava l’orecchio col dito indice…
E dopo circa 10 mesi Washoe cominciò a combinare le parole in maniera spontanea: DAMMI DOLCE e VIENI APRIRE furono immediatamente seguite da frasi più lunghe come FAMMI USCIRE FRETTA. E creava un proprio vocabolario quando non conosceva un segno: chiamava il frigo APRIRE-CIBO-BEVANDA».

La gestualità di uno scimpanzé (Shutterstock).

Insomma, Washoe imparava a esprimersi proprio come fanno i bambini; prima usando singoli segni (parole), poi combinandoli a coppie e infine componendo frasi di 3 segni. Dimostrando che anche le scimmie riescono a pensare in modo astratto, scrive Fouts: «Washoe sapeva che la parola ALBERO non si riferiva solo al suo preferito, il salice piangente, ma a tutti gli alberi, indipendentemente dal loro aspetto. Usava i simboli per tenere sotto controllo il suo mondo e per esprimere i suoi sentimenti. Quando mi graffiava e poi guardava le mie ferite, mimava FATTO MALE-FATTO MALE e SCUSA-SCUSA». Insomma, Washoe capiva la relazione fra segni e oggetti, fra significante e significato.
Non solo: le scimmie di quell’esperimento iniziarono a usare il linguaggio dei segni per esprimere le loro emozioni. «Una volta quando fu detto alla scimmia Lucy che aveva fatto male alle zampe del suo gatto, si mise a cullarlo e fece il segno di FERITO FERITO. E ogni qualvolta incontrava una persona nuova, la ispezionava per vedere se aveva bende o croste, e poi diceva FERITO FERITO con molto affetto».
Le scimmie, come i bambini, erano in grado anche di fare scherzi escrementizi: Fouts racconta che una volta, mentre portava Washoe a cavalluccio , «dopo aver percorso a zigzag il cortile per un po’, sentii sbuffare sopra la mia testa. Era un suono ben definito che Washoe emetteva contraendo le narici ogni volta che faceva il segno DIVERTENTE. Per un attimo non riuscii a capire cosa ci fosse di tanto buffo. Poi sentii qualcosa di bagnato e caldo scorrermi lungo la schiena e nei pantaloni. Dopo quell’episodio non dimenticai mai il segno che usava per dire DIVERTENTE».
Fu una scoperta straordinaria. Le scimmie, dunque, possono imparare a usare le parole come strumenti. Come gli scimpanzé selvaggi modificano i loro utensili per raccogliere noci, miele o termiti, Washoe imparò da sola a modificare i suoi strumenti linguistici a seconda dei contesti e delle necessità del momento. A quell’epoca si pensava, seguendo le teorie del linguista Noam Chomsky, che solo l’uomo avrebbe nel cervello uno specifico meccanismo di acquisizione del linguaggio. Invece, il caso di Washoe dimostrava che aveva ragione Charles Darwin: il linguaggio umano deriva probabilmente dall’intelligenza delle scimmie. Del resto, nota Fouts, 6 milioni di anni (periodo in cui l’uomo si è differenziato dalla scimmia) sono troppo pochi per poter aggiungere una struttura cerebrale completamente nuova.

E “sporco” diventa un insulto

Il gesto che rappresenta “SPORCO” nel linguaggio dei segni: la mano sotto il mento con le dita che si muovono.

Ma quella non fu l’unica scoperta. Fra le invenzioni linguistiche degli scimpanzè apparvero ben presto anche le parolacce. Ecco il racconto di Fouts: «Un’altra scimmia, Lucy, cominciò a inveire contro un gatto che non le piaceva chiamandolo SPORCO GATTO. Precedentemente aveva usato il segno di SPORCO solo per le sue funzioni fisiologiche in bagno. Ma presto SPORCO divenne un termine che lei usava con intenzioni dispregiative; quando ci preparavamo per andare a passeggio, indicava il suo guinzaglio come SPORCO GUINZAGLIO.
E anche Washoe cominciò a riferirsi ai suoi nemici in termini scatologici. C’era una scimmia che non le piaceva e lei cominciò a fare il segno di SPORCA SCIMMIA. E dopo questo episodio iniziò a usare l’aggettivo SPORCO per descrivere chiunque non l’accontentasse».
Il gesto che indica SPORCO nella lingua dei gesti si fa poggiando il polso sotto il mento e muovendo le dita, come a simboleggiare una brodaglia repellente che cola dal mento. Dunque, Washoe e Lucy avevano inventato dei gesti insultanti.
«Washoe non avrebbe imparato a insultare se nessuno l’avesse educata all’uso del vasino, insegnandole che c’è un luogo e un tempo appropriati per defecare» osserva Emma Byrne, informatica britannica, nel libro “Swearing is good for you” appena pubblicato da Profile books. E’ stata lei a ripescare dagli archivi scientifici questa ricerca notevole.

L’intenso sguardo di uno scimpanzé: per puro caso, ha in bocca il dito medio (Shutterstock).

«L’educazione che Washoe ha ricevuto ha introdotto nella sua vita un tabù sulle funzioni corporali. All’inizio la parola SPORCO indicava gli escrementi, poi gli abiti sporchi e le funzioni corporali. E dopo qualche tempo la parola SPORCO era usata per intensificare il significato di altre parole, con note di rabbia o di vergogna: SPORCO SPORCO SCUSA quando voleva scusarsi, SPORCO BUONO per indicare il vasinoDefecare nel vasino era accettabile, mentre negli altri casi era sbagliato e fonte di vergogna. Dunque, SPORCO diventava un insulto: SPORCO ROGER quando lui non la lasciava uscire dalla gabbia, SPORCA SCIMMIA quando un macaco la minacciava».

Cose brutte, emozioni negative

La versione tedesca del libro di Fouts

Questo percorso merita una riflessione più approfondita. La storia di Washoe ci mostra che le parolacce nascono quando, in un gruppo sociale, si crea un sistema di valori binario: da una parte le azioni permesse e accettate, che sono giudicate buone; e dall’altra quelle vietate e rifiutate, che sono giudicate cattive.
Le azioni cattive, e le parole che le rappresentano, assorbono anche le emozioni negative: quindi si usano per esprimere queste emozioni negative. E si usano anche per trasgredire, per provocare, come faceva Washoe con il suo scherzo escrementizio che raccontavo sopra. Insomma, le parole (o i gesti) si caricano di energia: quelle che in linguistica sono chiamate “connotazioni“.
Così, grazie a queste connotazioni negative, SPORCO è diventata una metafora per esprimere tutto ciò che è sgradevole, brutto e sbagliato. Una parola-jolly come lo sono tante parolacce. Basti pensare alla parola “merda”: indica non solo gli escrementi, ma anche una persona riprovevole (sei una merda), un oggetto brutto o un evento negativo (auto di merda, giornata di merda), uno stato d’animo spiacevole (sto di merda), e via di questo passo.


Tra l’altro, questo 
non è l’unico comportamento delle scimmie che ha funzioni insultanti: come raccontavo in quest’altro articolo, le scimmie mimano atti sessuali usandoli come gesti di minaccia. Sono l’equivalente delle nostre espressioni “Stai attento, sono cazzutissimo e ti faccio un culo così“.
Insomma, la storia di Washoe – morta nel 2007 a 42 anni – mostra che, anche per gli animali più intelligenti, dire parolacce è un modo efficace per esprimere il dolore, la rabbia e la frustrazione. E, come racconto nel mio libro, diventa anche un modo per ridurre la violenza fisica: imprecando e insultando, segnaliamo agli altri che siamo arrabbiati e che potremmo attaccare, quindi è meglio che stiano lontani se vogliono evitare aggressioni. Funzioni fondamentali, che con tutta probabilità si sono sviluppate all’alba della civiltà. Come ci hanno mostrato i nostri lontani parenti primati.

Questo articolo è stato ripreso da sussidiario.net.

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Le parolacce ci rendono più forti https://www.parolacce.org/2017/05/06/effetti-fisici-turpiloquio/ https://www.parolacce.org/2017/05/06/effetti-fisici-turpiloquio/#comments Sat, 06 May 2017 21:06:12 +0000 https://www.parolacce.org/?p=12236 Non servono solo a sfogarci. Le parolacce ci fanno sentire più forti, anche nel corpo. E non è solo un’illusione: potenziano davvero la forza muscolare, fino all’8% in più. Un effetto modesto ma sensibile. La scoperta arriva dall’università di Keele, nel… Continue Reading

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(elaborazione foto Shutterstock).

Non servono solo a sfogarci. Le parolacce ci fanno sentire più forti, anche nel corpo. E non è solo un’illusione: potenziano davvero la forza muscolare, fino all’8% in più. Un effetto modesto ma sensibile.
La scoperta arriva dall’università di Keele, nel Regno Unito, dove hanno misurato le prestazioni sportive di un’ottantina di persone: quando imprecavano, erano migliori rispetto a quando pronunciavano parole qualunqueInsomma, il turpiloquio è una sorta di doping naturale. Anche se la ricerca inglese lascia aperti molti interrogativi.

L’autore dell’esperimento è una nostra conoscenza: il professor Richard Stephens, ricercatore capo al laboratorio di psicobiologia della Keele University. Di lui avevo già parlato in questo articolo nel 2009, perché aveva fatto un’altra scoperta sulle parolacce: aiutano a sopportare il dolore. Sono un analgesico, insomma. Per dimostrarlo, aveva fatto immergere ad alcune persone una mano in un secchio d’acqua gelata: chi si sfogava con un’imprecazione riusciva a resistere per più tempo.
In questo nuovo esperimento, presentato alla conferenza annuale della Società britannica di psicologia, Stephens ha utilizzato invece due attrezzi sportivi: una cyclette e una pinza a molla.

CYCLETTE

(foto Shutterstock).

Nel primo esperimento, Stephens ha reclutato 29 giovani (età media 21 anni, 18 donne e 11 uomini), facendoli pedalare su una cyclette per 30 secondi in due cicli diversi. Una prima volta, mentre pedalavano, dovevano ripetere una parolaccia; una seconda volta una parola neutra (tavolo, fiore…).
Nel frattempo, gli veniva misurato anche il battito cardiaco.
Risultato: il picco di potenza aumentava in media di 24 watt (+4%) quando gli atleti dicevano la parolaccia.
Ma era l’unico effetto fisico registrato: il battito cardiaco degli atleti restava uguale in ambo i casi.

PINZA

Al secondo esperimento hanno partecipato 52 persone (età media 19 anni, 38 donne e 14 uomini). Dovevano stringere una pinza a molla, sempre dicendo una parolaccia e poi un’altra parola qualunque. Nel frattempo, oltre al battito cardiaco, veniva misurata anche la conduttività elettrica della pelle (di cui ho già parlato in un altro esperimento).

Risultato: dicendo una volgarità, le persone riuscivano a incrementare la forza di 2,1 kg (+ 8%). Il battito cardiaco restava uguale anche in questo caso; l’unica altra differenza fisica era che chi diceva una parolaccia aveva una maggiore conduttività elettrica sulla pelle. Ma questo è un effetto che si verifica sempre quando diciamo, ascoltiamo o leggiamo una parolaccia.

La ricerca è suggestiva, ma lascia aperta una perplessità e molti interrogativi.

I risultati dei 2 esperimenti di Stephens (clic per ingrandire).

La perplessità riguarda il modo in cui è stato condotto l’esperimento: le persone non dovevano sfogarsi imprecando (cazzo! merda!), ma dovevano semplicemente pronunciare la parolaccia (e anche la parola neutra) senza urlare, con tono uniforme. Probabilmente gli sperimentatori non volevano inserire una variabile in più, quella dell’urlo.
Ma questo ha reso l’esperimento meno realistico: forse valeva la pena far urlare sia la volgarità che la parola neutra, per ottenere uno scenario più vicino alla realtà.
Le differenze di prestazioni, però, ci sono state lo stesso. E questo è plausibile, dato che le parolacce, anche se dette con tono uniforme, sono pur sempre parole vietate: dirle comporta infrangere una regola, e questo è uno stress.

Ma la maggior forza prodotta dalle scurrilità resta tutta da spiegare: i ricercatori pensavano che le parolacce stimolino il sistema nervoso simpatico, quello che si attiva facendo battere più veloce il cuore in caso di pericolo. Ma in nessuno dei due test le parolacce hanno fatto salire i battiti cardiaci.
Forse, ipotizza il ricercatore, imprecare è una “distrazione cognitiva”: fa sentire meno il dolore e quindi ci fa sopportare meglio gli sforzi fisici, liberando le nostre energie. Dunque le parolacce sono analgesiche e dopanti. Come ci riescano concretamente, ovvero attraverso quali meccanismi fisiologici, resta tutto da indagare.

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In quale lingua imprecano i bilingui? https://www.parolacce.org/2017/04/30/parolacce-e-bilinguismo/ https://www.parolacce.org/2017/04/30/parolacce-e-bilinguismo/#comments Sun, 30 Apr 2017 10:15:04 +0000 https://www.parolacce.org/?p=12188 Daniela è un’italiana che vive a Madrid da 5 anni. “Parlo in spagnolo e sogno in spagnolo. Ma quando mi arrabbio è più forte di me: comincio a imprecare in italiano. E’ qualcosa di viscerale e quindi uso la mia… Continue Reading

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(elaborazione foto Shutterstock)

Daniela è un’italiana che vive a Madrid da 5 anni. “Parlo in spagnolo e sogno in spagnolo. Ma quando mi arrabbio è più forte di me: comincio a imprecare in italiano. E’ qualcosa di viscerale e quindi uso la mia lingua. Per quanto si sappia bene un’altra lingua, è molto difficile che si riescano a usare correttamente le sue parolacce. Come ho letto in un libro: ‘Le parole sono quelle, ma manca la musica…’”.
Il racconto di Daniela pone una questione intrigante: come usano il turpiloquio le persone bilingui? E perché anche chi padroneggia un nuovo idioma continua a imprecare nella lingua madre?
Il fenomeno non è isolato, tanto che diversi studi scientifici – che vi racconto in questo articolo – ne hanno approfondito le ragioni con alcuni esperimenti. Ed è un tema d’attualità, visto che solo nel 2015 (ultimi dati Istat)  oltre 147mila italiani sono emigrati all’estero, per lo più in Regno Unito, Germania, Svizzera e Francia.
Dedico questo articolo a loro, tanto più che fra le centinaia di migliaia di navigatori di questo sito, il 28% risiede all’estero: soprattutto negli Usa, in Russia, Germania, Francia, Cina, Ucraina, Regno Unito, Svizzera, Brasile, Spagna, Paesi Bassi, Canada.

Quando si va a vivere in un nuovo Paese, spesso le parolacce sono una delle prime curiosità: come ci si manda affanculo in spagnolo? (Risposta: va a la mierda). Come si dice “culona” in inglese? (Fat ass). E così via.

Poster sulle parolacce italiane e inglesi (clic per ingrandire).

Queste domande, infatti, soddisfano una fantasia profonda: imparare le parole di un’altra lingua significa immergersi in una cultura diversa. Si può guardare il mondo da un altro punto di vista, e questo apre la mente a nuove prospettive, facendoci capire che il nostro sistema di valori non è l’unico possibile. Anche con le parole scurrili.
E oltre a stimolare la fantasia, conoscere il turpiloquio in un’altra lingua è utile. Anzi: è fondamentale.
Per vivere in un altro Paese, infatti, non basta saper chiedere un biglietto del treno in stazione o sapere se bisogna lasciare una mancia al bar. E’ altrettanto importante saper riconoscere gli insulti, per capire se qualcuno ci sta offendendo o prendendo in giro, come racconto nel mio
libro.
Dunque, anche se nessun testo scolastico le insegna, le espressioni volgari sono parte integrante della competenza linguistica, ovvero del saper parlare e capire un altro idioma.
Sfoggiare una parolaccia durante una chiacchierata con nuovi amici stranieri fa guadagnare punti e simpatia: si dà l’impressione di padroneggiare la nuova lingua, e di essere pienamente integrati. Ma è anche un azzardo: dire una parolaccia al momento sbagliato o alla persona sbagliata, fa fare pessime figure. L’abbiamo visto, per esempio, quando ho raccontato i gesti da non fare all’estero.

E lo stesso avviene quando si usano espressioni gergali. Ne sa qualcosa Emanuela, una milanese che vive a Dallas (Usa) dal 2006. Ecco che cosa le è successo durante un party estivo.

GAFFE
“Dopo un bel bicchiere di bianco a stomaco vuoto, ho detto a mr Johnson, il giapponese: “You’re a bad ass!”. Mr. Johnson mi ha guardato con aria interrogativa. Fra i presenti è calato il gelo. La mia amica mi ha dato una gomitata. Quell’espressione voleva dire “sei un gran figlio di puttana”; in realtà volevo dirgli che era un furbacchione (smart ass).
In totale imbarazzo ho cercato di giustificarmi: “Ma non è una brutta parola, vero? L’ho sentita usare tante volte…”.
La mia amica con lo sguardo severo mi ha detto: “Cara, non direi mai quell’espressione se sono fra persone educate”.

(elaborazione foto Shutterstock)

Ma non è tutta colpa mia! L’inglese è pieno di espressioni con ass (culo): asshole (stronzo), damn ass (coglione), asswipe (stronzo), pain in the ass (cagacazzi), sweat your ass off (farsi il culo), make an ass of yourself (fare la parte del cretino), kiss my ass (baciami il culo), ass head (testa di cazzo), ecc. E orientarsi è difficile: in un’altra lingua occorre tempo per distinguere un’espressione colorita e divertente da una considerata volgare e offensiva. Per questo si finisce a volte per usare espressioni che non si direbbero mai nella propria. E c’è un ulteriore problema: la stessa parola, se si vuole usare uno stile confidenziale e informale, detta da un madrelingua e da uno straniero può acquistare significati molto diversi, anche se è pronunciata correttamente”. 

Le parolacce, infatti, sono parole emotivamente cariche: e come è difficile tradurre le emozioni a parole, così è difficile tradurre tutte le sfumature di una parola volgare da una lingua all’altra (ne parlavo qui a proposito delle traduzioni, spesso inaccurate, dei film).
Dunque, padroneggiare le parolacce in un’altra lingua è davvero difficile, perché sono parole ricche di sfumature di significato, le connotazioni. E’ per questo, allora, che quando sono infuriati, gli emigrati imprecano nella loro lingua madre? Un esperimento ha dimostrato che non è tanto una questione di conoscenza linguistica: è soprattutto una questione emotiva.
Gli scienziati l’hanno accertato con un esperimento interessante: sono riusciti infatti a quantificare la carica emotiva delle parolacce nelle persone bilingui. In che modo? Misurando la loro… carica elettrica.
Le parolacce, infatti, oltre ad essere controllate dalle aree del cervello che elaborano le emozioni (vedi il mio articolo sull’anatomia del turpiloquio) hanno anche un effetto fisico: quando le si ascolta, nel giro di 1 secondo fanno aumentare la sudorazione della pelle, facendo salire per 2-6 secondi la sua conduttività elettrica, che si può misurare con alcuni elettrodi applicati alle dita della mano. Leggere o dire una parolaccia, infatti, significa rompere un tabù e questo è uno stress per il nostro corpo, oltre che per la nostra mente.

Un esperimento elettrico

Apparecchio per misurare la conduttanza della pelle.

Così due ricercatrici inglesi, Tina Eilola e Jelena Havelka, psicologa dell’università di Leeds (Uk) hanno deciso di sfruttare questo effetto per misurare, nei bilingui, le risposte emotive alle parolacce nella lingua madre (L1) e nella seconda lingua appresa (L2)Per fare questo studio hanno reclutato 72 volontari: 39 madre lingua inglese e 33 bilingui (greco e inglese).
A tutti hanno applicato alcuni elettrodi a due dita delle mano (v. foto): servivano a misurare la risposta galvanica (Galvanic skin response, la conduttività elettrica) della pelle mentre leggevano liste di parole (neutre, positive, negative e parolacce) in ambo le lingue. Queste parole erano stampate in diversi colori: i volontari, guardandole, dovevano dire ad alta voce il loro colore.
In  una riga, per esempio, poteva essere scritta una sequenza del genere:

ciao     merda     miele     incidente     auto

Il test sfruttava l’effetto Stroop, noto da decenni in psicologia: quando svolgono un compito del genere, le persone hanno un momento di esitazione (tempo di latenza), soprattutto se il colore di una parola è diverso dal suo significato (per esempio, se la parola blu è scritta in un altro colore, per esempio in rosso).

Questa esitazione avviene anche quando bisogna indicare il colore di parole forti, che fanno aumentare la conduttività della pelle.
Il risultato dell’esperimento è stato inequivocabile: sia i parlanti monolingua che i bilingui avevano le esitazioni più lunghe e i picchi più alti di corrente quando dovevano leggere parole negative o scurrili.
Nei bilingui, però, i valori elettrici erano più alti con le parolacce scritte nella lingua madre (L1) invece che in quella appresa poi (L2): segno inequivocabile che la seconda lingua è emotivamente meno carica.

Perché avviene questo? Secondo una ricerca di Jean-Marc Dewaele, linguista dell’Università di Londra, molto dipende dall’età e dal contesto in cui si impara una lingua: se la si apprende da bambini (entro i 12 anni di età), si assorbono anche i colori emotivi associati alle espressioni.

Uno dei pochi dizionari di parolacce in inglese.

Tanto più se si impara una lingua nei contesti naturali, attraverso le interazioni con altre persone: i significati di una parola non sono trasmessi solo da dizionari e regole grammaticali, ma soprattutto dai toni di voce e dalle espressioni facciali di chi le pronuncia. Uno psicologo statunitense, Albert Mehrabian, ha scoperto infatti che solo il 7% della comunicazione è espressa dalle parole; la maggior parte dei contenuti passano soprattutto attraverso i movimenti del corpo e la mimica facciale (55%) e da volume, tono, ritmo e di voce (38%). La comunicazione non-verbale trasmette più informazioni di quella verbale.
Ecco perché, in caso di tempesta emotiva, chi diventa bilingue in età adulta impreca nella propria lingua d’origine.
Ma questa differenza emotiva non è solo uno svantaggio: chi vive all’estero spesso racconta che nella nuova lingua – inglese, spagnolo o francese che sia – riesce a parlare meglio di argomenti spinosi o a prendere decisioni difficili. Una lingua meno “calda”, quindi, aiuta a guardare le cose con più distacco e lucidità.
Insomma, come diceva re Carlo V D’Asburgo e di Spagna (1500-1558) “parlo in spagnolo a Dio, in italiano alle donne, in francese agli uomini, e in tedesco al mio cavallo.”

TESTIMONIANZE

Avviene così anche per voi, se vivete fuori dall’Italia? E i vostri figli come dicono le parolacce? Nella lingua del Paese in cui vivete, o in italiano? E se avete un marito/moglie straniero, vostro figlio in quale lingua impreca?
Raccontate le vostre esperienze nei commenti a questo post. E’ un campo tutto da indagare.
Tra l’altro, proprio in questi giorni la Stampa ha parlato del successo di Gabriele Benni, un bolognese trapiantato in Cile. Ha un grande successo come comico perché usa con nonchalance un sacco di parolacce che – se fossero dette da un cileno – farebbero scandalo; lui invece, da straniero, le dice con innocente e incosciente leggerezza, anche se conosce benissimo il loro significato: e questo genera un effetto ridicolo irresistibile….

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Più sei volgare, più sei sincero https://www.parolacce.org/2017/01/20/piu-sei-volgare-piu-sei-sincero/ https://www.parolacce.org/2017/01/20/piu-sei-volgare-piu-sei-sincero/#respond Fri, 20 Jan 2017 15:17:16 +0000 https://www.parolacce.org/?p=11593 Chi è volgare è anche più sincero? Una ricerca internazionale, svolta da ricercatori delle università di Maastricht (Nl), Stanford (Usa), Cambridge (Uk) e Hong Kong, ha cercato per la prima volta di rispondere a questa domanda intrigante. Le parolacce, infatti,… Continue Reading

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Le parole volgari sono il modo più diretto per esprimere disappunto (elaborazione foto Shutterstock).

Chi è volgare è anche più sincero? Una ricerca internazionale, svolta da ricercatori delle università di Maastricht (Nl), Stanford (Usa), Cambridge (Uk) e Hong Kong, ha cercato per la prima volta di rispondere a questa domanda intrigante.
Le parolacce, infatti, non sono solo il linguaggio dell’odio (hate speech) ma anche quello della schiettezza e della confidenza: si usano per esprimere senza filtro le proprie emozioni (lo raccontavo anche qui a proposito dei dialetti) e anche fra amici, per dire “pane al pane e vino al vino” (“Lo sai che hai fatto una cazzata?”).
Ora, per la prima volta, questo aspetto del turpiloquio è stato indagato in modo scientifico, con una ricerca guidata dallo psicologo sociale olandese Gilad Feldmanha studiato il comportamento di oltre 73mila persone. Lo studio sarà pubblicato sulla rivista “Social psychological and personality science”.
Il risultato della ricerca? Le parolacce sono usate maggiormente dalle persone sincere. Il che è anche una sorpresa, dato che, di per sè, dire volgarità comporta violare una norma sociale: quella che ci impone di usare un linguaggio pulito

TRE ESPERIMENTI

Per misurare la correlazione fra sincerità e parolacce, i ricercatori hanno fatto 3 test.

  1. Il primo è stato un questionario rivolto a 276 persone (età media: 40 anni): i ricercatori hanno chiesto loro quante parolacce dicessero, quali erano le più usate, e hanno misurato il loro grado di sincerità con il test di Eysenck sulla personalità.  Risultato: chi era più onesto diceva anche più parolacce. E le diceva per lo più per esprimere le proprie emozioni in modo genuino, più che per offendere altri o violare le regole sociali.
  2. Il secondo esperimento ha allargato il numero di partecipanti, seppur in modo virtuale: i ricercatori infatti hanno reclutato 73.789 utenti di Facebook (età media, 25 anni) che avevano autorizzato un’applicazione, MyPersonality, a indagare i loro profili, i dati demografici e gli aggiornamenti di status per scopi di studio. Per analizzare questo sterminato gruppo di persone, gli scienziati hanno usato un software automatico di riconoscimento di testo, Liwc (Linguistic Inquiry and Word Count). Avevo già citato questo software quando avevo raccontato una ricerca sul turpiloquio in Twitter.

    Il quotidiano “Il tempo” critica la prestazione dell’Italia ai Mondiali senza giri di parole.

    Questo software è in grado di rilevare chi dice bugie analizzando la loro grammatica: i mentitori usano meno pronomi in prima e terza persona (io, me, lei, lui), e più parole ansiose (preoccupato, pauroso). Il motivo è che le persone insincere tendono inconsciamente a prendere le distanze dalle menzogne (e quindi da se stessi), ed esprimono più sentimenti negativi. Questo algoritmo si è rivelato abbastanza affidabile, o almeno più di noi uomini: riesce a smascherare il 67% dei bugiardi (noi solo il 52%). 
    E cosa è emerso applicando questo software agli utenti di Facebook? Prima di rispondere a questa domanda, i ricercatori hanno misurato quante parolacce scrivevano questi 73mila utenti, per vedere se c’era una correlazione fra la sincerità e l’uso delle parolacce. Risultato: volgarità e onestà sono risultati correlati in modo significativo: chi scriveva più parolacce era anche più onesto nel presentarsi nei propri aggiornamenti di status su Facebook.

  3. Il terzo esperimento ha cercato di indagare il legame fra sincerità e parolacce su scala sociale. I ricercatori hanno estrapolato gli statunitensi dal gruppo precedente, quello di Facebook, ottenendo un campione di 29.701 partecipanti, e suddividendoli per Stato di residenza. Poi hanno verificato la percentuale d’uso delle parolacce per ognuno dei 50 Stati, dall’Alabama al Wyoming. Poi, da un altro studio, la State integrity investigation, hanno ricavato i dati sull’onestà di ciascuno dei 50 Stati americani. E anche in questi casi i risultati hanno mostrato una relazione fra tasso di onestà e tasso di parolacce.
    Questo punto, però, mi pare il più debole di tutta la ricerca: innanzitutto perché la State Integrity investigation esamina non tanto la sincerità generale delle persone, quanto la loro corruzione: dunque, un aspetto circoscritto, con rilevanza penale, e per di più rilevato attraverso sondaggi a migliaia di esperti (vedi la loro 
    metodologia).
    Insomma, qui si mescolano dati oggettivi (il tasso di parolacce) e percezioni soggettive, e per di più con un’accezione diversa di sincerità: un conto è mentire per truffare e far soldi nella vita reale, un conto è mentire su Facebook per darsi un tono. E infatti anche i risultati della ricerca sono traballanti (clicca sul grafico sopra per ingrandirlo): è vero che Connecticut e New Jersey hanno un alto tasso di parolacce e di onestà, ma è anche vero che Mississippi e Tennessee, altri 2 Stati “onesti”, hanno un basso tasso di turpiloquio.

CONCLUDENDO

Storica copertina di “Cuore”, settimanale satirico.

Gli autori della ricerca, comunque, sono i primi a rendersi conto dei limiti della loro ricerca: “abbiamo trovato una correlazione fra onestà e uso di parolacce, ma questo non deve indurci a pensare che ci sia un legame di causa-effetto fra questi due fattori”. In pratica, affermare che “più dici parolacce, più sei sincero” (o viceversa) è un azzardo. In più, la sincerità delle prime 2 ricerche riguarda, come osservavo anch’io, più l’autopromozione della propria immagine che un comportamento immorale o disonesto.
In più, gli studi precedenti sul tema hanno dato risultati contrastanti: un’altra interessante ricerca aveva appurato che le persone accusate ingiustamente di aver commesso un delitto tendono a dire più parolacce rispetto ai sospetti colpevoli nel contestare le imputazioni che gli vengono attribuite. Ma è anche vero che uno studio del 2012 aveva appurato che  i mentitori usano di proposito le parolacce per apparire più sinceri. Il che ci appare evidente guardando l’uso che ne fanno i politici per apparire più genuini e vicini al popolo (come raccontavo qui).
Dunque come stanno le cose? In realtà, bisogna ricordare che le parolacce sono uno strumento linguistico che può essere usato per gli scopi più diversi: quindi, sia per mentire che per dire la verità. Anche se, concludono i ricercatori (e anch’io) di per sè il turpiloquio  è usato più spesso per esprimere schiettamente le nostre emozioni più forti. Anzi, sono nate proprio per questo.

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Le parolacce fanno guadagnare voti? https://www.parolacce.org/2016/10/28/ricerche-turpiloquio-politica/ https://www.parolacce.org/2016/10/28/ricerche-turpiloquio-politica/#respond Fri, 28 Oct 2016 08:49:34 +0000 https://www.parolacce.org/?p=11064 Funziona la volgarità in politica? Ovvero: usare un linguaggio senza censure porta davvero più voti? Se pensiamo alla carriera di Beppe Grillo, che ha lanciato il Movimento 5 stelle con un “Vaffa day”, o al successo di Matteo Salvini e di Vittorio Sgarbi, sembra di sì.… Continue Reading

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shutterstock_386628055Funziona la volgarità in politica? Ovvero: usare un linguaggio senza censure porta davvero più voti? Se pensiamo alla carriera di Beppe Grillo, che ha lanciato il Movimento 5 stelle con un “Vaffa day”, o al successo di Matteo Salvini e di Vittorio Sgarbi, sembra di sì. E comunque non è un fenomeno solo italiano: basti pensare al presidente delle Filippine, Rodrigo Duterte, che ha insultato le autorità di mezzo mondo (ne ho parlato qui), o alla campagna elettorale di Donald Trump (nella foto Shutterstock), che ha portato il Bossi-style negli Usa conquistando i riflettori delle cronache.

Secondo l’attore Clint Eastwood, questo avviene perché la gente ormai è stanca della “correttezza politica” (politically correct), dei leccaculo e dei fighetti: nella nostra epoca, insomma, si apprezza chi dice “pane al pane e vino al vino“. E’ davvero così?
La questione è più che mai d’attualità: mancano pochi giorni alle presidenziali americane, dopo una campagna elettorale che Trump ha basato sistematicamente sugli insulti contro tutti gli avversari.
Ma cosa dice la scienza su questo stile comunicativo? Davvero il politicamente scorretto riesce a spostare i consensi in politica?
Un’originale ricerca scientifica italiana – uscita sul Journal of Language and Social Psychology – ha accertato che le parolacce funzionano davvero, ma in modo invisibile: condizionano gli elettori in modo indiretto e inconsapevole, perché attirano l’attenzione e danno un’impressione di schiettezza e confidenza.
Ma attenzione: le parolacce non funzionano sempre e comunque. Per i candidati uomini, in particolare, il linguaggio triviale rischia di trasformarsi in un boomerang, ovvero di risultare meno persuasivo rispetto a un ragionamento più compassato. Soprattutto se le volgarità sono usate per attaccare gli avversari e non le loro idee. Dunque, Trump è destinato a perdere?

sondaggio

Una schermata del test fatto dall’Università di Modena (le sottolineature sono mie).

Prima di rispondere, vediamo più in dettaglio che cosa hanno scoperto le ricerche scientifiche. L’idea è venuta a due psicologhe dell’Università di Modena-Reggio Emilia, Nicoletta Cavazza e Margherita Guidetti, che per misurare l’impatto delle parolacce hanno fatto un esperimento interessante. Hanno presentato via Internet a 110 adulti (da 20 a 68 anni d’età) il blog di due candidati inventati: Mario e Maria Gambettini. In un caso il loro testo conteneva volgarità, in un altro no.
Le frasi volgari erano due: “Un milione di famiglie non può contare su un reddito mensile: una situazione che ha fatto incazzare tutti” e “A peggiorare le circostanze, la cura di sole tasse al paziente Italia, che ora più che mai si trova nella merda” (vedi immagine: clic per ingrandire).
Dunque, la ricerca non ha valutato l’uso di insulti (non si offendeva nessuno in particolare), bensì l’uso di un linguaggio volgare enfatico: si esprimevano posizioni politiche usando il linguaggio della strada per rafforzare i concetti, dare un colore emotivo e attirare l’attenzione.
In questo modo, le ricercatrici potevano valutare l’efficacia delle parolacce sia per un candidato maschile che per uno femminile, senza tenere conto di tutti gli altri possibili fattori che nella campagna elettorale hanno peraltro un peso notevole: il volto, l’età, la provenienza geografica e sociale, il livello di istruzione, la militanza ideologica (destra-sinistra-centro)…

I risultati della ricerca

v-day_bologna_02

Il “V-day” (V sta per vaffanculo) che ha segnato il debutto politico del Movimento 5 stelle.

Ecco quali sono stati i risultati dell’esperimento:

  1. INFORMALITA’: un linguaggio volgare è percepito come più diretto, confidenziale e colloquiale. Un effetto intuibile, dato che le parolacce sono il linguaggio della schiettezza popolare. La ricerca ha appurato che, dicendo parolacce, ci guadagnano più gli uomini che le donne: i valori di informalità dei politici volgari hanno ottenuto punteggi più alti di quasi il triplo rispetto a quelli delle donne sboccate. Perché? «Perché la politica è tradizionalmente un ambito più maschile che femminile» risponde Cavazza. «Dato che la politica è percepita come astratta e lontana, un uomo che usa un linguaggio triviale è percepito come più innovativo e fuori dal coro rispetto a una donna. Le donne hanno meno bisogno di questo stile perché la loro stessa presenza nell’agone politico è un fatto nuovo e originale, e quindi meno formale già in partenza».
    Insomma, in politica siamo passati da un linguaggio astruso, per addetti ai lavori (“convergenze parallele”, “compromesso storico”, “neutralità costruttiva”) a un linguaggio da bar sport, usato sia a destra che a sinistra (anzi: oggi soprattutto a destra, come raccontavo qui). Insomma, siamo passati da un eccesso all’altro, ma l’informalità (parla come mangi) avrebbe almeno il vantaggio di avvicinare i politici alla gente comune. Che poi questo stile sia spesso un paravento per nascondere la propria mancanza di idee, è altrettanto vero: ma la colpa non è delle parolacce, bensì di chi le usa.
  2. INTENSITA’: un intervento volgare è percepito come più entusiasmante, incoraggiante, gradevole? Non sono state registrate tendenze significative: in pratica, le parolacce non sembrano influenzare questo parametro. In questo caso, però, potrebbe aver avuto un effetto il fatto che gli slogan fossero scritti: nei comizi o in tv, dire parolacce scalda sicuramente gli spettatori.
  3. IMPRESSIONE DELLA FONTE: un candidato che dice parolacce è percepito come più sincero, affidabilecompetente? Sì, ma questo vale solo per i candidati uomini, che guadagnano un 51% di punti in più in questo ambito rispetto a chi usa un linguaggio pulito. Forse per lo stesso motivo di cui al punto 1.
  4. PERSUASIVITA’ PERCEPITA: un messaggio volgare convince di più rispetto a uno neutro? I risultati sono sorprendenti: gli elettori pensano che un messaggio volgare sia meno efficace (del 21%) rispetto a uno più neutro, almeno per i candidati maschi. Il che è contraddittorio, visto che i partecipanti all’esperimento avevano giudicato positivamente un approccio più colloquiale: ecco perché le ricercatrici hanno dedotto che l’influenza delle parolacce sia per lo più indiretta e inconsapevole.
  5. PROBABILITA’ DI VOTO: l’uso di parolacce non risulta però avere effetti diretti sulle intenzioni di voto.

Le conclusioni

parolpoliticaQuali conclusioni trarre da questi risultati? «Se la informalità è percepita come una sorpresa positiva, dire parolacce è un modo efficace per aumentare il consenso» scrivono le ricercatrici. «Ma questo avviene in modo indiretto e inconsapevole: un linguaggio volgare dà un’alta impressione di informalità, avvicinando il politico alla gente e lasciando un segno che poi, in prospettiva, può tradursi in un voto (v. diagramma sopra). Ma se a un elettore si domanda esplicitamente se voterà per un candidato volgare, la risposta è no, soprattutto per un candidato uomo: forse nessuno si sente di affermare che voterà un candidato solo perché ha usato un linguaggio triviale».
La ricerca, però, ha studiato solo le parolacce enfatiche, rafforzative. Ma quali effetti ha un politico che dice insulti? «Le ricerche scientifiche distinguono fra due situazioni: gli insulti contro il programma e i contenuti politici, e gli insulti contro un’altra persona» risponde Cavazza. «Mentre i primi funzionano e spostano voti, i secondi si rivelano un boomerang. In pratica, posso dire che le idee di un avversario sono cazzate, a patto di argomentare e spiegare perché; ma se dico che il mio nemico è un cazzone, la strategia non paga: si perdono credibilità e autorevolezza, ovvero si perdono voti».

La strategia di Trump

insultitrump

Allora Trump è condannato a perdere? Ha basato la sua campagna elettorale su attacchi a 360 gradi… Tanto che il “New York Times” ha pubblicato la lista dei suoi oltre 4mila tweet contro 281 persone, Paesi o situazioni (nella foto): uno su 8 (il 12,5%) era un insulto, soprattutto contro la rivale Hillary Clinton definita ossessivamente “corrotta” (crooked).
«In effetti la tattica di Trump è sconcertante: forse è mal consigliato o non segue i consigli del suo staff di comunicazione» osserva Cavazza. «La sua campagna aggressiva si rivolge soprattutto ai disaffezionati, a chi non va a votare: il suo tono sopra le righe serve a dare l’impressione che i giochi per la Casa Bianca siano ancora aperti, e che ogni singolo voto possa fare la differenza. Trump fa leva sulle minacce potenziali (immigrati, terroristi) per spingere l’elettorato verso destra e verso una forma di governo forte. Fa leva sulle minacce, questo può servire a rendere compatto l’elettorato contro i (presunti) nemici. Ma Trump non propone nulla di rassicurante e questo spaventa molti americani: in questo modo, favorisce la Clinton, che, anche per la sua lunga esperienza politica, appare più competente e capace di gestire le minacce internazionali».
Dunque la strategia di Trump si rivelerà un boomerang? «Difficile fare previsioni: di sicuro è uno stile che non mi sento di raccomandare. E finora non mi pare che abbia pagato. Bisognerà vedere quanti elettori disaffezionati alla politica andranno poi effettivamente a votare l’8 novembre». E anche quante elettrici decideranno di punire il maschilismo del magnate nel segreto dell’urna. 

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Twitter e parolacce: 9 scoperte della scienza https://www.parolacce.org/2016/08/01/insulti-su-twitter/ https://www.parolacce.org/2016/08/01/insulti-su-twitter/#respond Mon, 01 Aug 2016 11:12:18 +0000 https://www.parolacce.org/?p=10531 Quante parolacce circolano su Twitter? Più o meno rispetto a quante si dicono di persona, faccia a faccia? Quando se ne dicono di più? Sono più volgari gli uomini o le donne? A queste e altre domande risponde una ricerca straordinaria fatta… Continue Reading

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tweetBQuante parolacce circolano su Twitter? Più o meno rispetto a quante si dicono di persona, faccia a faccia? Quando se ne dicono di più? Sono più volgari gli uomini o le donne?
A queste e altre domande risponde una ricerca straordinaria fatta da 4 scienziati della Wright State university di Dayton (Usa): straordinaria perché gli autori – un gruppo di informatici guidati da Wenbo Wang – hanno studiato una montagna di tweet: 51 milioni, scritti in un mese (dall’11 marzo al 7 aprile 2013) da 14 milioni di persone: in media 3,6 tweet a persona. Insomma, è come se avessero studiato un gruppo pari alle popolazioni di Piemonte e Lombardia messe insieme. Con la differenza, però, che gli autori dei tweet erano parlanti di lingua inglese: le scoperte dei ricercatori, quindi, hanno radici nel mondo anglosassone.
Sarebbe interessante verificare se anche in Italia c’è uno scenario simile: la nostra cultura ha elementi di somiglianza oltre che di differenza con quella anglosassone. (Foto: Gli uccellini incazzosi protagonisti del film “Angry birds”, elaborazione foto Shutterstock).

In ogni caso, la ricerca merita di essere letta anche per la mole di dati che ha interpretato. Solo 20 anni fa sarebbe stata impensabile: all’epoca, per studiare la lingua parlata ci si doveva armare di registratore, girare per le strade e infine trascrivere a mano e catalogare tutte le parole registrate. Un lavoro certosino che, nel 1994, proprio in questo modo ha generato la Banca dati dell’italiano parlato. Un database preziosissimo (è il più corposo dei 5 “corpora” di lingua parlata esistenti in italiano) che però era limitato a un campione di 1.653 parlanti, quasi un decimillesimo rispetto a quelli studiati dalla Wright State university. Oggi invece, grazie all’informatica, si possono elaborare anche milioni di dati, e per la linguistica è una vera manna.
Ecco le 9 scoperte che hanno fatto gli scienziati.

1) QUANTE PAROLACCE SI TWITTANO?

I ricercatori hanno censito la frequenza d’uso di 788 parolacce in inglese, comprese le varianti digitali (la Computer mediated communication, ovvero le parole abbreviate o camuffate tipiche dell’informatica, per intenderci: $hit, b1tch, f*ck, che in italiano diventerebbero m&rda, tro1a, fan*ulo). Ebbene, su Twitter le parolacce sono l’1,15% di tutte le parole: ve ne aspettavate molte di più? Probabile, ma sappiate che anche nella conversazione a voce le parolacce non sono poi tante: sono solo lo 0,5% delle parole, come aveva rilevato una passata ricerca. In ogni caso, su Twitter si dicono pur sempre più del doppio di parolacce rispetto a quante se ne dicono a voce.
I tweet che contengono parolacce sono il 7,73% (uno su 13), ovvero il doppio di quanto è stato rilevato nelle chat (3%) in un’altra ricerca. Dunque, su Twitter si impreca, si insulta molto (rispetto ad altri mezzi di comunicazione): il motivo? Semplice: nascosti dal display di un cellulare o dal monitor di computer (e magari anche dietro un’identità fittizia) ci si sente più liberi d’esprimersi senza censure.

2) QUALI SONO LE PIÙ TWITTATE?

Nella tabella qui sotto potete leggere le 10 parolacce più twittate in inglese. Bastano le prime 7 (con i loro derivati e varianti) a coprire oltre il 90% di tutte le parolacce. Altra osservazione interessante: la maggioranza sono a sfondo sessuale (6: fuck, ass, bitch, whore, dick, pussy), seguito da quello escrementizio (2: shit, piss), etnico (1: nigga) e religioso (1: hell). A occhio, nei tweet in italiano potremmo avere la stessa proporzione di categorie di significato, ma con un lessico diverso.

Parolaccia Frequenza
fuck (fottere, scopare, fanculo) 34,73%
shit (merda) 15,04%
ass (culo, stupido) 14,48%
bitch (cagna) 10.34%
nigga (negro) 9,68%
hell (inferno) 4,46%
whore (troia) 1,82%
dick (cazzo) 1,67%
piss (pisciare, piscia) 1,53%
pussy (passera) 1,16%

3) QUALI EMOZIONI ESPRIMONO?

Viotti

Un tweet di Daniele Viotti (europarlamentare gay del Pd), infuriato con la componente cattolica del partito su unioni civili e stepchild adoption.

La domanda è interessante, ma viene da chiedersi come abbiano fatto i ricercatori a ricavare questa informazione leggendo 51 milioni di messaggi. Semplice: hanno usato un software automatico di riconoscimento di testo, Liwc (Linguistic Inquiry and Word Count), capace di analizzare e collegare i tweet alle 7 emozioni primarie (quelle fondamentali, presenti in ogni cultura): gioia, tristezza, rabbia, amore, paura, gratitudine e sorpresa. Dopo una fase di test su 500mila tweet, i ricercatori hanno però deciso di scartare sorpresa e paura perché il programma aveva una precisione inferiore al 65%. Pur premettendo che il software è tutt’altro che infallibile, ecco i risultati. Le parolacce nei tweet sono associate per lo più alle emozioni negative: a tristezza (21,83%) e rabbia (19,79%); per contrasto, infatti, solo l’11,31% dei tweet senza parolacce esprimevano tristezza e il 4,5% rabbia. Ma, osservano i ricercatori, non va trascurato il fatto che, comunque, il 6,59% dei tweet volgari esprimeva amore: le parolacce, infatti, si usano anche per enfatizzare emozioni positive (“che figata!”), nell’erotismo (“ti scoperei”) o per confidenza fra amici (“Non fare il pirla!”). Per quanto riguarda il tasso di frequenza di messaggi volgari all’interno di ciascuna emozione, il 23,82% dei tweet rabbiosi conteneva parolacce, contro il 13,93% di quelli tristi, il 4,16% di quelli d’’amore, il 3,26% di quelli di gratitudine e il 2,5% di quelli di gioia. In sintesi: se devo esprimere la rabbia tendo a farlo attraverso le parolacce; mentre in assoluto, la maggior percentuale di tweet volgari è figlio di un senso di tristezza.

4) QUANDO SE NE TWITTANO DI PIÙ?

quandoI momenti più “caldi” per insultare o imprecare sono fra le ore 21 e le 22. La maggior concentrazione di tweet volgari si registra dalle 22 all’1,30 di notte. Si è più volgari all‘inizio della settimana (dal lunedì al mercoledì) rispetto agli altri giorni, in cui – ipotizzano i ricercatori – si è più rilassati (cliccare sui diagrammi per ingrandirli).

5) QUALI SONO I TWEET PIÙ VOLGARI?

La più alta concentrazione di parolacce è nei retweet: i commenti senza censure sono quelli più popolari e letti. Insomma, la parolaccia fa notizia e si diffonde col passaparola.

6) DOVE SE NE DICONO DI PIÙ?

Combinando i Tweet con Foursquare, la rete sociale basata sulla geolocalizzazione degli utenti, i ricercatori hanno identificato da quali luoghi twittavano gli autori dei tweet volgari. Risultato: per lo più da casa (7,08%), seguita da università (6,45%), negozi (6,41%), locali notturni (6,37%), luoghi ricreativi (5,7%). Ovvero nei luoghi informali. Gli ambienti naturali (parchi, spiagge, montagna) sono quelli in cui si impreca di meno (4,9%): forse perché all’aperto si è più  rilassati, immaginano ancora gli scienziati. E quindi si ha di meglio da fare che stare a twittare insulti, aggiungo.

7) E CON CHI?

Incrociando le parolacce con il sesso degli utenti, i ricercatori hanno appurato che si è più sboccati soprattutto quando si sta insieme a persone del proprio sesso. E com’era facilmente prevedibile, il tasso più elevato di tweet volgari è nei discorsi fra uomini (5,48%), mentre in quelli tra donne la percentuale scende al 3,81%. Più raffinate, ma non così tanto.

8) MASCHI E FEMMINE DICONO LE STESSE?

No, prediligono insulti diversi: i maschi usano più spesso fuck (fottere, scopare, fanculo), shit (merda) e nigga (negro); le femmine, bitch e slut (troia). Gli uomini, insomma, vanno più sul pesante, ma hanno anche una maggior varietà lessicale, almeno quando si tratta di essere volgari.

9) CHI È FAMOSO NE DICE DI PIÙ O DI MENO?

Un dato curioso: il prestigio, alto o basso che sia, rende più trattenuti nel linguaggio. Infatti, dicono meno parolacce le persone col maggior numero e quelle col minor numero di followers: ovvero, quelli che devono mantenere o curare di più la propria immagine. Chi sta nel mezzo, non si preoccupa molto del proprio prestigio, forse perché ha poco da perdere. Ecco perché fa notizia quando un personaggio celebre twitta una parolaccia.

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Il logo di “parolacce” su Twitter.

Tutte scoperte interessanti, ma i risultati, avvertono i ricercatori, non valgono necessariamente anche fuori da Twitter: 14 milioni di utenti sono davvero tanti, ma non somigliano necessariamente a quelli di altri social network né tantomeno alla popolazione generale. Gli utenti di Twitter, infatti, sono solo una parte (circa il 25%) degli utenti di Internet, e sono per lo più persone abbastanza istruite, di ceto medio-alto, residenti in grandi città e di età compresa fra i 18 e i 50 anni (come ha appurato questa ricerca). Restano non censiti tutti gli altri strati sociali e anagrafici, e non sono pochi. In più, aggiungo, la comunicazione attraverso i sistemi digitali (i 140 caratteri di Twitter, per intenderci) non coincidono con gli stili di comunicazione che abbiamo quando siamo di fronte ad altre persone, senza la mediazione di schermi digitali.
Con questa doverosa avvertenza finiscono le scoperte della ricerca americana. Se volete essere aggiornati via Twitter con le ultime news sul turpiloquio, basta seguire l’account parolacce: dal 2013, più di 2mila tweet sul turpiloquio, in Italia e nel mondo.

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Quando la chimica è grezza: butanone, cacalone e altre molecole imbarazzanti https://www.parolacce.org/2016/03/13/nomi-volgari-chimica/ https://www.parolacce.org/2016/03/13/nomi-volgari-chimica/#respond Sun, 13 Mar 2016 16:37:08 +0000 https://www.parolacce.org/?p=9643 Oggi parliamo del lato osè della chimica: ho scoperto infatti che esistono diversi elementi e  molecole con un nome volgare. Com’è possibile? Per rispondere a questa domanda, bisogna sapere come nascono i nomi delle sostanze. Di solito, in uno di questi 4… Continue Reading

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shutterstock_165742730Oggi parliamo del lato osè della chimica: ho scoperto infatti che esistono diversi elementi e  molecole con un nome volgare. Com’è possibile? Per rispondere a questa domanda, bisogna sapere come nascono i nomi delle sostanze. Di solito, in uno di questi 4 modi:

1) dalla zona geografica dove sono stati scoperti o sono diffusi: il germanio fu trovato per la prima volta in Germania;
2) dalle specie vegetali o animali da cui sono isolati: l’acido acetilsalicilico, ovvero l’aspirina, deve il suo nome dalla corteccia di salice da cui era ricavato;
3) dal nome del loro scopritore o da quello di un grande scienziato: il fermio fu battezzato così in memoria del fisico Enrico Fermi, morto l’anno precedente alla scoperta dell’elemento;
4) dalle caratteristiche di una sostanza: il kripton, dal greco kryptòs, nascosto, fu chiamato così perché è molto difficile da rilevare nei gas atmosferici, dove è presente in piccolissime quantità. E il simbolo del mercurio è Hg perché la sigla deriva dal greco hydrargýros, argento d’acqua: a temperatura ambiente, infatti, questo elemento sembra argento liquido.

Con tutte queste variabili in gioco, era inevitabile che alcune sostanze ricevessero nomi insoliti: comprese le parolacce. Spesso sono frutto di semplici (ma divertenti) coincidenze e assonanze, che possono nascere anche da acronimi e abbreviazioni. Ma altre volte c’è lo zampino di qualche chimico in vena di goliardate (come quello nella foto Shutterstock): anche agli scienziati piace scherzare, come avevo raccontato nella storia del professor Stronzo Bestiale. Dunque, se pensate che la chimica sia una materia noiosa, date un’occhiata all’elenco qui sotto: cambierete idea.

BRUTTO STRONZIO!

shg_stronzio_liquid_x0Ta8oCVk9ix_mediumIn italiano è uno degli elementi che non si pronuncia senza arrossire: lo STRONZIO.  E’ un metallo tenero, argenteo, bianco o leggermente giallo. A volte lo si trova citato sulle etichette dell’acqua minerale, e scatena le inevitabili battute: “Ora capisco perché ha uno strano retrogusto…”. La parola, in realtà, deriva dal nome di una città scozzese, Strontian, nelle cui miniere, nel 1790, furono trovati i primi minerali ricchi di quell’elemento. Il nome della città non ha a che fare con gli escrementi: deriva dal gaelico Sròn an t-Sìthein, che vuol dire “naso”: l’escrescenza di una collina. 

CHE CU...

s13Perché la sigla del rame deve essere l’imbarazzante CU? Forse perché non è un metallo abbastanza pregiato? No, le ragioni sono altre: ai tempi degli antichi Romani, infatti, il rame veniva estratto per lo più dall’isola di Cipro, in latino Cuprum appunto. Di qui la sigla. La parola, a quell’epoca, designava sia l’elemento chimico che la lega di rame e stagno che noi chiamiamo bronzo (e anche qui le assonanze non sono male). 

OCCHIO AL CACALONE!

cacaloneCon un nome così, sembra la tipica molecola da maneggiare con le pinze. Ma gli schizzinosi possono stare tranquilli: il CACALONE non ha nulla a che fare con la cacca, bensì deriva il suo nome dalle piante del genere Cacalia, diffuse in Messico, dove sono usate come medicinali. La struttura di questa biomolecola è stata descritta per la prima volta in una ricerca nel 1976. Il nome deriva dal greco kakalia, che potrebbe avere la stessa origine di cacca (cosa brutta, repellente) ma anche derivare da kakalon, muro (perché cresce a ridosso dei muri?). 

BRUTTO GLUCAGONE!

Il glucagone (in rosso) visto al microscopio.

Sembra un insulto, ma in realtà il glucagone è un ormone secreto dal pancreas: serve a  controllare i livelli di glucosio nel sangue. Il suo nome, nonostante il suono, non è offensivo: significa “glucose agonist”, agonista del glucosio. Glielo diedero i suoi scopritori, C. Kimball e John R. Murlin nel 1922.  

SEI UN GRAN BASTARDANO

bastard2Come chiamare il derivato spurio di una sostanza? Stiamo parlando di nonaciclo-docosano, un derivato insolito degli alcani: di più non oso spiegare, perché è una chimica complessa. Sta di fatto che i suoi scopritori, in una ricerca del 1968, lo definirono goliardicamente un “tetramantano bastardo”, cioè insolito, anormale, inferiore. E proposero di chiamarlo, appunto, bastardane, che in italiano suonerebbe BASTARDANO, figlio illegittimo. La proposta, per quanto spiritosa, non sembra aver avuto molto seguito fra i chimici. 

MA CHE BUTANALE… O BUTANONE?

butanoneIl BUTANALE è un composto della classe degli aldeidi: un liquido incolore facilmente infiammabile. Il suo nome originario era butirraldeide, da butirro, burro. Alcuni composti, infatti, i butani, hanno preso il nome dal burro perché esso contiene un acido organico dall’odore sgradevole.
Ma resta un nome ingombrante. Soprattutto quando si precisa che il butanale è un isomero (= ha la stessa formula chimica) del BUTANONE, altro liquido  infiammabile e puzzolente della classe dei chetoni… 

CHIEDETEMI TUTTO, MA NONANALE

Nonenal-480x480NONANALE: che brutto scherzo hanno giocato a questa molecola! Il suo nome originario è nonanaldeide, ma nell’intento di abbreviarlo gli scienziati hanno fatto un pasticcio, con l’imbarazzante abbreviazione inglese nonanal. Non è propriamente una parolaccia, ma si nomina comunque con un certo imbarazzo. E’ un’aldeide alchilica, una sostanza prodotta dalla fermentazione degli zuccheri. Ha un odore fruttato e si usa per sapori e profumi, ma è anche prodotta dal corpo umano: tanto che, hanno scoperto alcuni ricercatori dell’università della California, il nonanale attira – neanche a farlo apposta – le zanzare del genere Culex.

ROBA PORN

1372973doctorIl PORN non deriva dal greco pornè, puttana. E’ semplicemente l’acronimo della poli-(DL)-ornitina, una molecola utilizzata negli esperimenti di coltura cellulare. Insomma, anche le cellule, per moltiplicarsi, possono eccitarsi con i… porn.

Abbino a questa molecola lo SCATOLO, che invece deriva da una parolaccia greca: skatolos, escremento. La molecola è stata chiamata così proprio perché puzza di feci. Si forma nei processi di marcescenza dell’intestino: per questo lo studio delle parolacce legate agli escrementi si chiama “scatologia” (da non confondere con l’escatologia che è lo studio del destino ultimo dell’uomo: che non è un destino di merda, perché escatologia non deriva da skatolos ma da éschatos, ultimo).  

FUCK!

FUCK_REG-SUMMARYFUCK è l’imbarazzante acronimo di un gene che codifica la L-fuculochinasi, un enzima che interviene nelle reazioni metaboliche con il fruttosio e il mannosio. In inglese ha un significato molto volgare (scopare, fanculo): possibile che gli scienziati non avessero un altro modo per abbreviare questa molecola (in inglese FuculoKinase)?

Due altri acronimi volgari sono contenuti in una ricerca  del 2007 sulla sintesi elettrochimica di nanotubi: BiNT (Bismuth NanoTubes, nanotubi di bismuto) e CuNT (Cu sta per rame). In inglese, bint significa donnaccia, e cunt vuol dire fica. Trattandosi di una ricerca scritta da autori cinesi, è stato quasi sicuramente un incidente. Ma ha avuto grande popolarità nei Paesi anglosassoni.

Molti altri composti con nomi che in inglese suonano volgari (arsole, dickite, crapinon…) sono elencati sul sito di Paul May, docente di chimica all’università di Bristol (Uk): a riprova che nei Paesi anglosassoni hanno meno reticenze a giocare con la scienza.

ACCOPPIAMENTI

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Quella che vedete non è un’immagine tratta da un cartoon porno. E’ lo schema di una reazione chimica, citata in una ricerca brasiliana del 2004: descrive le proprietà di un complesso di rutenio (il primo a sinistra)  in cui l’aggiunta di ciclodestrina (l’anello) porta ad una completa inclusione che rompe la matrice iniziale creando un aggregato molto… erotico. E poi dicono che la chimica non è una materia sexy. 

RmcHo parlato di questo post nella trasmissione “Max e Monica magazine” su Radio Montecarlo.
Potete ascoltare l’intervista a questo link.

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Lo strano caso dei dottori Fuck & Fuck https://www.parolacce.org/2014/10/20/fuck-fuck-bitch-ricerca/ https://www.parolacce.org/2014/10/20/fuck-fuck-bitch-ricerca/#comments Mon, 20 Oct 2014 19:37:26 +0000 https://www.parolacce.org/?p=6527 Quando Luc – un lettore di questo blog – mi ha segnalato una ricerca che conteneva le parole “fuck, fuck, bitch” (scopa, scopa,stronza), ho pensato a un altro scherzo clamoroso (ricordate il caso di Stronzo Bestiale?). Seguendo la sua indicazione,… Continue Reading

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fuckFuckQuando Luc – un lettore di questo blog – mi ha segnalato una ricerca che conteneva le parole “fuck, fuck, bitch” (scopa, scopa,stronza), ho pensato a un altro scherzo clamoroso (ricordate il caso di Stronzo Bestiale?).
Seguendo la sua indicazione, con un certo scetticismo ho digitato  le 3 parole su PubMed, il più importante database sulla ricerca biomedica mondiale. E ho avuto la prima sorpresa: la ricerca esiste davvero (clicca per ingrandire).

Si intitola “Ovarian teratoma in a bitch” ed è firmata da S. A. Headley,E. J. Fuck,E. T. Fuck, C. E. Curti. La ricerca era stata pubblicata nel 2006 su “Veterinary record“, il giornale dell’associazione medici veterinari britannici. E infatti, bitch in inglese significa originariamente cagna (femmina del cane), oltre ad avere il senso spregiativo di stronza, strega o puttana (nell’espressione “son of a bitch”, figlio di….).
La ricerca parlava dunque di un tumore alle ovaie. Ma gli autori E. J. Fuck,E. T. Fuck? Ero sicuro che fossero inventati: il titolo dello studio era stato, probabilmente, una tentazione irresistibile per il vero autore della ricerca.

C’era un’altro scherzo scientifico da raccontare? Mi sono messo sulle tracce del primo firmatario Headley, e non è stato facile rintracciarlo con le sole iniziali. Alla fine l’ho trovato: è Selwyn Arlington Headley, professore aggiunto al Dipartimento di Medicina preventiva veterinaria dell’università statale di Londrina nel Paranà, in Brasile. 
FuckFuckLa sua risposta, però, è stata l’altra sorpresa: “La ricerca non è affatto uno scherzo, e io ne sono l’autore principale. E i cognomi dei due autori, peraltro non insoliti, sono davvero Fuck e Fuck: sono proprietari di un ospedale veterinario nel Sud del Brasile”. Per la cronaca, si chiamano Egon José Fuck, e Eliane Miranda Thomaselli Fuck (clicca per ingrandire). Dunque, stavolta l’onore della scienza è salvo: nessuno ha tentato di beffare il sistema dei controlli scientifici. Ma perché non intitolare la ricerca “Teratoma ovarico in un pastore tedesco”? Lo studio avrebbe avuto un impatto meno imbarazzante… ma forse non sarebbe passato alla storia.

Che morale trarre da questa vicenda? I cognomi volgari esistono davvero: il professor Mark Liberman, linguista all’Università della Pennsylvania, segnalava il caso del professor Connard (testa di cazzo), autore di migiliaia di pubblicazioni (esiste, esiste! anzi: esistono, perché ce n’è più di uno). E Corey Bradshaw, direttore dell’Istituto ambientale di Adelaide (Australia) in un articolo ironico pubblicato sul suo blog ha elencato decine di ricerche (vere) firmate da: Bastard (bastardo), Crap (merda), Dick (cazzo), Junk (balle, pacco), Prick (cazzo)… La realtà, insomma, supera la fantasia. Anche in Italia: in questo post ho censito i cognomi volgari italiani, che sono numerosissimi e molto variegati.

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Ma a proposito di firme, c’è da fare un’altra riflessione dopo il caso di Stronzo Bestiale: il mio sito è stato visto da quasi 90mila persone e la storia ha fatto il giro del mondo, ispirando fra l’altro un finto account in Cina sul sito weibo.com (clicca per ingrandire).

Il professor Bestiale ha scatenato decine di ricercatori o appassionati di scienza, che mi hanno segnalato le ricerche più sorprendenti.
Ne ricordo due, che mi sono rimaste stampate nella mente:

 

 il gruppo di galassie HGC31, raggruppate in una clamorosa forma fallica (a pag. 17 dello studio qui: Canada-Usa, 2006, “The astronomical journal”);
recently-submitted research paper (http://lanl.arxiv.org/abs/1002.3323v1) on hickson compact group 31, a group of small galaxies gravitationally interacting with each other. the paper shows an image of the galaxies in a way i've not seen before:

Le galassie Hickson Compact Group 31

 e una reazione molecolare che sembra uscita dalla fantasia porno di un graffitaro metropolitano (qui lo studio: Brasile, 2004, “Inorganic chemistry”).
these two large molecules experience strong interactions between each other. In solution, they like to pair up and... self organise. To quote the paper (http://pubs.acs.org/doi/abs/10.1021/ic0352250) , one of these molecules requires "the presence of suitable partners.

Un’eccitante reazione chimica.

 Oltre a essermi divertito, mi sono chiesto le ragioni di tanto successo, davvero inaspettato. Credo che queste storie piacciano perché svelano il lato umano della scienza, fatta anche di scherzi, provocazioni, sviste, errori o equivoci. Anche gli scienziati si arrabbiano, si appassionano, hanno emozioni,  anche a loro piace scherzare e giocare. Proprio come a tutti noi.

 [ English version here ]

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