significato | Parolacce https://www.parolacce.org L'unico blog italiano di studi sul turpiloquio, dal 2006 - The world famous blog on italian swearing, since 2006 - By Vito tartamella Fri, 29 Nov 2024 12:23:57 +0000 it-IT hourly 1 https://www.parolacce.org/wp-content/uploads/2015/06/cropped-logoParolacceLR-32x32.png significato | Parolacce https://www.parolacce.org 32 32 La mamma è sempre la mamma (anche negli insulti) https://www.parolacce.org/2024/05/09/lista-insulti-alla-madre/ https://www.parolacce.org/2024/05/09/lista-insulti-alla-madre/#comments Thu, 09 May 2024 18:00:25 +0000 https://www.parolacce.org/?p=20478 E’ una delle offese più potenti che esistano. Perché colpisce la persona più importante del nostro mondo affettivo: la mamma. E non solo in Italia, nota per essere una cultura di mammoni: questo genere d’offesa è diffusa nelle altre lingue… Continue Reading

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Striscione offensivo dei tifosi del Pescara contro quelli dell’Ascoli

E’ una delle offese più potenti che esistano. Perché colpisce la persona più importante del nostro mondo affettivo: la mamma. E non solo in Italia, nota per essere una cultura di mammoni: questo genere d’offesa è diffusa nelle altre lingue romanze (francese, spagnolo, portoghese, rumeno), in inglese e nelle lingue dell’est, dal russo al cinese, oltre all’arabo e diverse altre.
In italiano gli insulti alla madre sono una quarantina ed esprimono una fantasia molto malevola. Perché sviliscono, con immagini ripugnanti o sessuali, la figura più sacra: la persona che ci ha trasmesso la vita. Un colpo dinanzi al quale nessuno può restare indifferente: come ha ricordato papa Francesco (paragonando il sentimento religioso con l’attaccamento alla madre), «Se il dottor Gasbarri, un grande amico, dice una parolaccia contro la mia mamma, lo aspetta un pugno. E’ normale». Come diceva il comico toscano Francesco Nuti «Te la mi’ mamma tu la lasci stare, va bene?».

Questo genere di insulti ha influenzato non soltanto i modi di dire, ma anche le culture: le battaglie rap consistono spesso nell’improvvisare rime offensive sulla madre di un’altra persona (“yo mama…“, “tua madre…“), in una sfida che rappresenta non solo un duello linguistico e simbolico, ma è anche un rito di affiliazione fra giovani, come racconterò più avanti. Pensate che in russo il gergo volgare si chiama proprio “Mat”, termine che deriva dalla stessa radice di “madre” (dall’espressione “yob tvoyu mat”, «fotti tua madre»).

Battaglia rap a suon di insulti alla madre: è uno show in Australia

Nella nostra lingua gli insulti alla madre sono più numerosi nei dialetti, per lo più del Sud: in italiano ci sono 5 espressioni, contro le 36 fra: napoletano (11), veneto e friulano (8), sardo (6), toscano (3),  pugliese (3),  siciliano e calabrese (2) e lombardo (1). Un’ulteriore prova che si tratta di offese molto antiche: infatti le dicevano anche Cicerone e Shakespeare. Degno di nota il fatto che prevalgono le espressioni di tipo incestuoso: rappresentano metà delle locuzioni censite.

Gli insulti alla madre sono uno dei 4 temi universali (cioè diffusi in ogni cultura) delle parolacce insieme agli insulti fisici, alle espressioni oscene e ai termini escrementizi. E sono offese del tutto particolari perché colpiscono una persona non direttamente, ma offendendone un’altra: una sorta di vendetta trasversale. Una strategia molto efficace, visto il rapporto così intimo e profondo con la figura materna. Insomma, la mamma è anche…. la madre degli insulti.
Come nasce questa usanza? E come si manifesta, in italiano e in altre lingue?

Figlio di… 

Locandina di Eleazaro Rossi, comico.

L’espressione “figlio di puttana”, con le sue diverse varianti, è presente in tutte le lingue: inglese (son of a bitch), francese (fils de pute, Ta mère la pute), tedesco (hurensohn), spagnolo (hijo de puta), portoghese (filho da puta), rumeno (Fiu de curvă) arabo (Ibin Sharmootah: la puttana di tua madre), russo (Сукин сын). In cinese si usa l’espressione 王八蛋wáng bā dàn) che significa letteralmente “uovo di tartaruga”: dato che la tartaruga abbandona le uova dopo averle covate, l’espressione denota un figlio di madre ignota (mignotta per l’appunto: vedi sotto), nato da una relazione extraconiugale. Ma ci sono anche due altre spiegazioni: un tempo si pensava che le tartarughe concepissero solo con il pensiero, rendendo impossibile ricostruire la paternità della prole (dunque, in questo caso, “figlio di padre ignoto”). Oppure, secondo un’altra interpretazione ancora, all’origine dell’espressione c’è la somiglianza fra la testa della tartaruga che esce dal guscio e il glande  che emerge dal prepuzio: l’espressione indica quindi una donna che ha perso la virtù.

In spagnolo esistono anche altri modi pittoreschi per dirlo: “anda la puta que te pari” (Torna dalla prostituta che ti ha partorito) e “tu puta madre en bicicleta”, ovvero “tua madre puttana in bicicletta”.

In Italiano è una delle espressioni considerate più offensive dopo le bestemmie (e a pari merito con “succhiacazzi”), secondo la mia ricerca sul volgarometro. Ed è l’offesa che raccoglie più denunce e processi, secondo uno studio.

Perché? Per motivi giuridici, sociali e psicologici.

[ per approfondire, apri la finestra cliccando sulla striscia blu qui sotto ] 

BASTARDI E ILLEGITTIMI
 

Film del 2003. L’espressione significa “avere una natura cattiva”

In passato, i figli delle prostitute (e in generale quelli nati fuori dal matrimonio) erano disprezzati: la struttura sociale si basava sulle coppie matrimoniali ufficiali, nelle quali – fino all’avvento dei test genetici – era più immediato stabilire l’appartenenza sociale e i diritti ereditari, dato che “Mater semper certa est, pater numquam” (“L'[identità della] madre è sempre certa”, quella del padre no). E proprio dall’impossibilità di accertare in modo oggettivo la paternità è nata l’ossessione per il controllo sul sesso femminile: la moralità della donna era l’unica condizione per assicurare stabilità sociale e ordine. I figli nati fuori dal matrimonio erano visti come una minaccia a questo ordine, poiché potevano complicare le questioni di eredità e le alleanze familiari.

Nel mondo antico erano considerati “bastardi” (altro termine offensivo legato alle figure genitoriali) i figli di coppie conviventi, quelli nati da una prostituta o frutto di una relazione adulterina o incestuosa. Questi figli, denominati “illegittimi”, erano penalizzati nell’ambito del diritto successorio (non potevano ereditare il patrimonio dei genitori), erano esclusi dalle cariche pubbliche, non potevano svolgere alcune professionisposare persone appartenenti ai cosiddetti mestieri onorabili. In più, per la religione, il sesso al di fuori del matrimonio era considerato immorale, e di conseguenza, i figli nati da queste unioni erano  stigmatizzati come prova visibile di un comportamento peccaminoso.

E questa prospettiva è arrivata fino ai tempi moderni: in Italia solo dal 1975 con la riforma del diritto di famiglia i figli nati fuori dal matrimonio acquisirono gli stessi diritti dei figli “ufficiali”. E solo dal 2012 è sparita, con la riforma della filiazione, la legge 219, la distinzione fra “figli legittimi” e “figli naturali”.

Questo genere di insulti sono un retaggio della cultura patriarcale? Secondo Francine Descarries, femminista e docente di sociologia all’Université du Québec à Montréal, la risposta è sì: «Le donne sono sempre state considerate proprietà degli uomini, siano esse figlie, mogli o madri. Attaccare la madre significa contaminare la proprietà dell’uomo. Quindi, quando insultiamo la madre di un uomo, attacchiamo i suoi beni, proprio come i suoi vestiti o la sua casa».

La testata di Zidane a Materazzi: l’artista algerino Adel Abdessemed ne ha fatto una statua.

In effetti, ricordate perché Zinedine Zidane diede una testata a Marco Materazzi, giocandosi così la finale dei Mondiali di calcio 2006? Perché Materazzi gli aveva detto: “Non voglio la tua maglia, preferisco quella puttana di tua sorella.
L’ipotesi ha del vero: nessuno nega il peso del maschilismo nella nostra cultura. Tuttavia, in questo caso, c’è una ragione molto più immediata, come evidenzia la psicologia: la madre è l’affetto più profondo che abbiamo, la fonte delle nostre sicurezze, le nostre radici. Non solo gli uomini, ma anche le donne si sentirebbero offese se qualcuno denigrasse la loro madre. E, in ogni caso,
insultare i familiari di qualcuno è, in generale, un’offesa pesante: tant’è vero che in napoletano si offende non solo la madre (“mamm’t”), ma anche la sorella (“soreta”), il padre (“patete”), o il fratello (“frateto”).  Toccare i rapporti di sangue, quelli più stretti, fa sempre male. Del resto, non condividiamo con loro parte del nostro patrimonio genetico?

Gli insulti alla madre sono molto antichi: già Plutarco, nella “Biografia di Cicerone” ricorda la battuta di quest’ultimo a Metello Nepote che gli chiedeva “Chi è tuo padre?”. Cicerone gli rispose: “Nel tuo caso,” disse Cicerone, “tua madre ha reso la risposta a questa domanda piuttosto difficile.”

E nel “Timone d’Atene” William Shakespeare inserisce questo dialogo:

PITTORE – Sei un cane!

APEMANTO – Della mia stessa razza è tua madre: che altro potrebbe essere quella che ha fatto te, s’io sono un cane?

 

MODI DI DIRE

In questa categoria ho censito 11 espressioni:

“5 figli di cane”, film di gangster del 1969

♦ figlio della colpa: figlio nato al di fuori del matrimonio, fra conviventi o adulteri 

♦ figlio della serva: persona considerata inferiore per nascita e trattata di conseguenza, anche in modo sgarbato e villano. Usato soprattutto in senso figurato per chi viene emarginato da un gruppo, o trattato con minor considerazione rispetto agli altri.

♦ figlio di nessuno: trovatello, o figlio naturale. Era usato anche come insulto o con valore spregiativo. In senso figurato, anche bambino molto trascurato dai genitori.

♦ figlio di puttana (dal latino puta, fanciulla) / di troia (femmina del maiale, sozza fisicamente e moralmente) / di zoccola (femmina del topo di fogna, notoriamente prolifica. Ma può derivare dal fatto che nel 1700 le prostitute dei quartieri spagnoli indossavano le stesse scarpe vistose, con alti zoccoli, delle nobildonne, che li usavano per non sporcare di fango le loro vesti) / di baldracca (da Baldacco, antico nome di Baghdad. Era anche il nome di un’osteria di Firenze frequentata dalle meretrici) / di mignotta (un tempo molte madri naturali non intendevano riconoscere legalmente i propri figli, e non davano il loro nome all’anagrafe; questi bambini erano pertanto registrati come “figli di madre ignota”, che abbreviato in “M.Ignota” ha dato luogo al termine “mignotta” con valore d’insulto) / di bagascia (dal francese bagasse,  “serva” o “fanciulla”) 

♦ figlio d’un cane: l’espressione è equivalente a “figlio di puttana”, ma aggiunge una valenza spregiativa il riferimento all’animale (considerato inferiore all’uomo) considerato vile, crudele e comunque inferiore all’uomo. In inglese “son of a bitch” significa letteralmente “figlio di una cagna”: i cani sono disprezzati per il fatto di avere rapporti sessuali davanti a tutti e con partner diversi

In napoletano:

♦ figlio’ e’ ntrocchia: figlio di puttana. La parola ntrocchia deriva dal latino “antorchia”, torcia: nell’antichità le prostitute giravano di notte in strada con una torcia accesa per attirare clienti. L’equivalente di “lucciola”, insomma. L’espressione può essere usata anche in senso ammirativo (vedi prossimo riquadro)

♦ chella puttan ‘e mamm’t: quella puttana di tua madre

In veneto, friulano:

♦ tu mare putana: tua madre puttana

♦ tu mare grega: “grega” significa “greca”, donna straniera: spesso le prostitute dei bordelli erano di origine straniera, e in friulano “grego” designa anche una persona infida, doppia 

In siciliano:

♦ ‘dra pulla i to matri: quella puttana di tua madre

♦ figghiu d’arrusa / buttanazza: figlio di puttana

DA INSULTI A COMPLIMENTI

L’attore Samuel L. Jackson fa spesso il motherfucker, un tipo tosto.

L’espressione “figlio di puttana”, oltre a indicare i figli delle prostitute, designa anche una persona spregevole e priva di scrupoli che compie azioni disoneste: i figli delle prostitute, del resto, crescevano per strada, o senza un’educazione, e spesso vivevano di espedienti per riuscire a cavarsela.
Al punto che l’espressione “figlio di puttana” (e in napoletano “figl ‘e ndrocchia” e “figl ‘e bucchino”) può essere usata, in modo scherzoso, anche come complimento: indica chi riesce a cavarsela nelle situazioni difficili grazie a un’abilità spregiudicata. E questo vale anche per l’espressione spagnola de puta madre”, di madre puttana, che però è usata come rafforzativo enfatico: equivale al nostro “della Madonna”, “cazzuto”, “molto figo”, “da paura”: come dire, figlio di una madre spregiudicata e tosta. Anche l’espressione inglese “motherfucker” (letteralmente: uno che si fotte la madre, ovvero “uno capace di fottere sua madre”) significa
“persona meschina, spregevole o malvagia” o si può riferire a una situazione particolarmente difficile o frustrante. Ma può essere usato anche in senso positivo, come termine di ammirazione, come nell’espressione badass motherfucker (acronimo: BAMF), che significa ”persona tosta, impavida e sicura di sé”.

Arma letale: le espressioni incestuose

In spagnolo la “concha” è la conchiglia, ma qui significa vulva.

Gli insulti alla figura materna possono utilizzare una variante se possibile ancora più offensiva: quella che evoca la sessualità della madre. Giocano, cioè, sul tabù dell’incesto, il più forte e antico: evocando la sessualità della propria madre costringono il destinatario dell’insulto a un pensiero altamente sgradevole, ripugnante e imbarazzante. Un “incantesimo” verbale pesantissimo, innescato evocando i suoi genitali, gli atti sessuali o una vita sessuale dissoluta. Il sesso evoca sempre la nostra natura animalesca, dalla quale cerchiamo sempre di prendere le distanze: a maggior ragione nei rapporti affettivi che non hanno (e non devono avere) risvolti erotici.
Dunque, abbinare pensieri osceni alla figura materna è un’arma linguistica micidiale, ed è presente in molte lingue:
oltre al già ricordato russo  “Ёб твою мать” (“yob tvoyu mat”, scopa tua madre, all’origine del “mat”, il gergo volgare), c’è l’albaneseqifsha nënën” (mi fotto tua madre) o “Mamaderr” (Tua mamma è una maiala) e l’araboKos immak” (La figa di tua madre) e Nikomak (scopa tua madre). E anche il rumenoDute-n pizda matii“, torna nella figa di tua madre, e il cinese ha due espressioni per “scopa tua madre”屌你老母 (diu ni lao mu, cantonese) e  操你妈 (cao ni ma, mandarino). E il persiano: Kiram tu kose nanat, ovvero “il mio cazzo nella figa di tua madre”, Madar kooni “tua madre è lesbica”, Kos é nanat khaly khoob hast “La figa di tua madre è buona”, Sag nanato kard “Un cane ha scopato tua madre”, Pedarbozorget nanato kard “Tuo nonno ha scopato tua madre”, Nanat sag suk mizaneh “Tua madre fa pompini ai cani”, Molla nanato kard “Un mullah (teologo) ha scopato tua madre”, Madareto kardam “Mi sono scopato tua madre”, Kiram to koone nanat “il mio cazzo nel culo di tua madre”.

In francese c’è “nique ta mère” (scopa tua madre) e “Ta salope de mère” (quella maiala di tua madre), in spagnolo(vete a) la concha de tu madre” (vai nella figa di tua madre), “Chinga tu madre” (“Scopa tua madre”), “Tu madre culo” (“Il culo di tua madre”). E in finlandese c’è l’espressione  “Äitisi nai poroja” che significa “Tua madre scopa con una renna”: ogni cultura adatta gli insulti al proprio contesto.

 

MODI DI DIRE

E’ la categoria più numerosa, con 20 espressioni:

In veneto:

“A fess d mamt”, un brano disco degli Impazzination (2012).

♦ quea stracciafiletti de to mare: quella strappa frenuli (del prepuzio) di tua madre

♦ va in figa de to mare / va in mona: vai nella figa di tua madre, ovvero: torna da dove sei venuto. E’ usato anche in modo bonario, come sinonimo di “Ma và a quel paese”

♦ quea sfondrada de to mare: quella sfondata di tua madre

♦ chea rotinboca de to mare: quella rottinbocca di tua madre 

♦ va in cùeo da to mare: và nel culo a tua madre.

In mantovano:

♦ cla vaca at ta fàt: quella vacca che ti ha fatto

In toscano:

♦ la tu mamma maiala / la maiala di tu mà: tua madre maiala

In napoletano:

♦ a fess d mam’t: la figa di tua madre (usato anche come esclamazione di disappunto, o per mandare qualcuno a quel paese)

♦ bucchin e mamt: la bocchinara di tua madre

♦ mocc a mamm’t / vafammocc a mamm’t: in bocca a tua madre / vai a farti fare un rapporto orale da tua madre

♦ ‘ncul a mamm’t: in culo a tua madre

♦ figl’e bucchino (figlio di un rapporto orale): persona scaltra e senza scrupoli capace di cavarsela in ogni situazione

In pugliese:

La birra “De puta madre”, una Ipa tosta.

♦ lu piccioni spunnatu di mammata: la figa sfondata di tua madre

♦ a fissa i mammeta : la figa di tua madre

In calabrese:

♦ Fiss’i mammata: la figa di tua madre

♦ In culu a memmata e a tutta a razza da tua: In culo a tua madre e a tutta la tua famiglia

In sardo:

♦ mi coddu cussa brutta bagass’e mamma: Mi fotto quella brutta puttana di tua madre

♦ t’inci fazzu torrai in su cunnu: Ti faccio tornare nell’apparato riproduttivo di tua madre

♦ su cunnu e mamma rua: La figa di tua madre

♦ su cunnu chi ta cuddau a sorri tua baggassa impestara luride e’merda: La figa che ti ha partorito a te e a tua sorella impestata lurida di merda 

♦ su cunnu chi ti ndà cagau: La figa che ti ha cagato

♦ sugunnemamarua bagassa, babbu ruu curruru e caghineri coddau in culu e in paneri de su figllu de su panettieri: La figa di tua mamma bagascia e tuo padre finocchio inculato dal figlio del panettiere

 Offese generiche (e da rapper)

“Yo mama”, film del 2023 su un gruppo di mamme che si mettono a rappare.

Le offese alla madre non sono soltanto di tipo sessuale. Esistono anche insulti generici usati per ferire la persona infangando l’immagine della madre. Un atteggiamento piuttosto comune nell’infanzia e nell’adolescenza, con frasi del tipo “tua madre è brutta”, “tua madre è cicciona”. E questa abitudine sta anche alle origini del rap: la battaglia rap, in particolare, è un duello verbale in rima nei quali gli avversari si fronteggiano improvvisando insulti sempre più spinti sulla madre dell’avversario con la formula “Yo mama” (“your mama”, tua madre). Questa tradizione deriva dalle “dozzine”, duelli d’insulti di origine africana, ma diffusi anche in diverse altre culture. Ma le “dozzine” non sono soltanto un duello verbale nel quale i partecipanti devono mostrare la propria abilità linguistica cercando di sconfiggere l’avversario con insulti sempre più creativi e pesanti. Secondo gli antropologi Millicent R. Ayoub e Stephen A. Barnett, le dozzine erano anche un rituale per rafforzare i legami fra i coetanei. Una sorta di rito di affiliazione: partecipando, il giovane è disposto a lasciare che altri insultino sua madre senza ritorsioni, in cambio di una più stretta integrazione nel suo gruppo di amici. Solo un rapporto molto intimo fra i partecipanti rende possibile gli insulti reciproci alle madri senza passare alle mani. Secondo il sociologo Harry Lefever, questo gioco potrebbe essere anche uno strumento per preparare i giovani afroamericani ad affrontare gli abusi verbali senza arrabbiarsi. Una sorta di allenamento a sopportare le provocazioni: un possibile effetto secondario rispetto alla sfida di sfidarsi con offese che fanno girare la testa.


Di battaglie rap sulla madre abbiamo anche un celebre esempio italiano: il “Mortal kombat” tra Fabri Fibra e Kiffa nel 2001. Dopo una sequela di insulti di vario genere, Fibra (dal minuto 2:08) inizia a insultare Kiffa dicendo “Tua madre non avvisa / Quando si fa calare a gambe larghe sopra la torre di Pisa”, a cui Kiffa risponde con: “Invece tua madre è troppo brava / L’ho vista conficcarsi la Mole Antonelliana”, e così via in un crescendo sempre più osceno e crudo (siete avvisati):

Oltre che nel rap, gli insulti alla figura materna sono diffusi a ogni latitudine. In spagnolo ci sono espressioni fantasiose come Tu madre tiene  bigote” (Tua madre ha i baffi) , o “Me cago en la leche que mamaste” (cago nel latte che hai succhiato dal seno di tua madre). In giapponese c’è l’espressione Anata no okaasan wa kuso desu (Tua madre è un pezzo di merda). In persianoMadar suchte“, Tua madre è bruciata all’inferno, e Nane khar “Tua madre è un’asina”.

Lo scrittore Lu Xun.

Gli insulti sulla madre sono molto diffusi anche in Cina. Già nel 1925 lo scrittore Lu Xun (1881-1936) osservava: «Chiunque abiti in Cina sente spesso dire “tāmāde” (他妈的 = tua madre) o altre espressioni abituali del genere. Credo che questa parolaccia si è diffusa in tutte le terre dove i cinesi hanno messo piede; la sua frequenza d’utilizzo non è inferiore al più cortese nǐ hǎo (ciao). Se, come alcuni sostengono, la peonia è il “fiore nazionale” della Cina, possiamo dire, allo stesso modo, che “tāmāde” ne è il “turpiloquio nazionale”».Secondo Xun, attaccare la madre era un modo per mettere in discussione non solo la reputazione, ma anche il prestigio sociale delle classi altolocate, che basavano il loro potere e prestigio sugli antenati: annientando questi ultimi, con espressioni come “discendente di madre schiava”(而母婢也), “sporco figlio dell’eunuco” (赘阉遗丑), scompare anche il prestigio dei presenti. «Se vuoi attaccare il vecchio sistema feudale, prendere di mira i lignaggi nobiliari è davvero una strategia intelligente. La prima persona ad aver inventato l’espressione “tāmāde” può essere considerata un genio, ma è un genio spregevole».

 

MODI DI DIRE

In italiano non ho trovato frasi fatte con espressioni denigratorie sulla madre. Ce ne sono 8, invece, in alcuni dialetti:

In napoletano:

Tua madre è così grassa: è uno degli insulti contro la madre

♦ chella pereta / loffa ‘e mammeta: quella scorreggia di tua madre

♦ chella zompapereta ‘e mammeta: quella salta scorregge di tua madre: appellativo rivolto alle donne popolane e volgari, o anche alle prostitute

♦ chella latrina / cessa ‘e mammeta: quel cesso di tua madre

♦ chella cessaiola / merdaiola ‘e mammeta : quella lava gabinetti di tua madre 

In veneto:

♦ to mare omo: tua madre è un uomo

Una particolare variante degli insulti materni riguarda evocare la morte della madre oppure insultare i suoi defunti, anche in questo caso nei dialetti:

In livornese:

♦  budello cane di tu madre morta: budella da cane di tua madre morta

♦ il budello de tu ma: le budella di tua madre

In pugliese:

♦ l’ murt de mam’t: i morti di tua madre

E tu, conosci altri modi di dire con insulti alla madre? Scrivilo nei commenti e aggiornerò l’articolo.

Ringrazio Lina Zhou per la preziosa traduzione dell’articolo di Lu Xun.


Ho parlato di questa ricerca a Radio Deejay, ospite della trasmissione “Il terzo incomodo” condotta da Francesco Lancia e Chiara Galeazzi. Qui sotto l’audio dell’intervento:

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Gli innumerevoli significati del lato B https://www.parolacce.org/2021/07/20/modi-di-dire-sedere/ https://www.parolacce.org/2021/07/20/modi-di-dire-sedere/#comments Tue, 20 Jul 2021 12:57:32 +0000 https://www.parolacce.org/?p=18747 Che culo, faccia da culo, stare sul culo, farsi un culo… In italiano, i modi di dire ispirati dal deretano sono tanti. Ma quanti sono? E soprattutto: perché il lato B ha dato vita a così tante espressioni? Ora c’è… Continue Reading

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La copertina del libro di Ghelli con l’emoji della pesca.

Che culo, faccia da culo, stare sul culo, farsi un culo… In italiano, i modi di dire ispirati dal deretano sono tanti. Ma quanti sono? E soprattutto: perché il lato B ha dato vita a così tante espressioni? Ora c’è un libro che risponde per la prima volta a queste domande. Si intitola “Questioni di culo” ed è stato pubblicato da Gingko edizioni di Verona. L’autore è un  toscano trapiantato negli Usa, Samuel Ghelli, docente di Italian studies allo York College di New York.
Ispirato dal sito parolacce.org, Ghelli si è preso la briga di censire tutti i modi di dire sul fondoschiena, classificandoli per aree tematiche e illustrando i loro diversi significati. E’ il terzo libro ispirato da parolacce.org, dopo quello sugli
insulti finiti nelle aule di Tribunale e quello sulle offese rivolte a Benito Mussolini durante il fascismo. 

Prima di capire perché il deretano abbia accumulato tanta ricchezza linguistica, è utile passare in rassegna quanto ha scoperto Ghelli. Le espressioni che si riferiscono al posteriore in italiano sono quasi 270: l’autore, tuttavia, preferisce non darne un numero preciso, perché le varianti possibili (comprese quelle dialettali) farebbero lievitare il conteggio di molto. Il culo, insomma, è una parola polisemica, cioè con molti significati. Ecco perché l’espressione è ben presente nella storia della letteratura (da Cicerone a  Dante e Camilleri), e anche nella canzone e nel cinema.

I 35 significati del deretano

Infatti i glutei possono assumere, come ha scoperto Ghelli, 35 diversi significati. Li riassumo in questa tabella, suddividendoli a loro volta in due macro categorie: significati positivi e significati negativi.

[ Cliccare sulla striscia blu per visualizzare il contenuto ]

SIGNIFICATI POSITIVI
 

Significato Esempio
Fortuna Avere culo
Benessere Avere il culo coperto
Felicità Ridere il culo
Coraggio In culo alla balena
Tenacia Farsi il culo
Chiarezza Chiamare culo il culo
Abilità Spaccare il culo ai passeri
Avvenenza Avere il culo parlante
Vincere Fare il culo
Certezza Giocarsi il culo
Intesa  Culo e camicia
Vigore Ritornare il peto in culo

[ Cliccare sulla striscia blu per visualizzare il contenuto ]

SIGNIFICATI NEGATIVI
 

Significato Esempio
Imbroglio Inculata
Pigrizia Avere il culo di pietra
Seccatura Bruciare il culo
Insensatezza Ragionare con il culo
Povertà Aver le pezze al culo
Antipatia Stare sul culo
Punizione Fare il culo
Paura Avere la strizza al culo
Fretta Avere il pepe al culo
Omosessualità Essere culattone
Aspetto repellente Essere un buco di culo
Maledire Sfanculare
Adulare Leccare il culo
Sconforto Essere in un cul di sacco
Pericolo Pararsi il culo
Rozzezza Parlare col culo
Irritabilità Avere il culo di paglia
Indecenza Avere la faccia da culo
Lontananza In culo al mondo
Vanità Avere la penna in culo
Pettegolezzo Contare i peli del culo a qualcuno
Avidità Tenere il culo su due sedie
Masochismo Pulirsi il culo a revolverate

Il motto del film “Tutto tutto, niente niente” di Antonio Albanese (2012).

Un dato salta subito all’occhio: i significati negativi (23) sono molto più numerosi di quelli positivi (12): i primi sono i due terzi del totale. Perché? Anatomicamente parlando, si potrebbe rispondere che i glutei, e in particolare l’ano, sono una zona anatomica sensibile e come tale vulnerabile. Infatti, spesso la parola “culo” è usata  come sineddoche, una figura retorica che indica il tutto al posto di una parte. 

E c’è un altro motivo ancora più determinante: le parolacce sono il linguaggio del disfemismo, ovvero esprimono in modo diretto e senza giri di parole i significati più sgradevoli, le emozioni negative (rabbia, paura, disprezzo, dolore). È proprio grazie a questa plasticità espressiva che oggi culo è la 7a parolaccia più pronunciata in italiano, dopo casino e prima di stronzo (vedi la classifica qui) e vaffanculo è al 10° posto. A conferma della sua importanza espressiva, negli ultimi anni ha anche un emoji, cioè un pittogramma che lo rappresenta nelle chat di tutto il mondo: la pesca.

I 4 simboli: posteriore, defecazione, fecondità e sodomia

Bar italiano a Phnom Penh, Cambogia.

Ora, dunque, possiamo tornare all’interrogativo di partenza: perché il lato B ha accumulato così tanti significati? Come mai il sedere è diventato un simbolo così multiforme, capace di dire tutto e il contrario di tutto? Perché, per restare in tema, abbiamo più culo che anima?
Come racconto nella prefazione al libro, a dispetto delle loro vituperate apparenze, le chiappe svolgono anatomicamente una funzione importante: i
due muscoli del gluteo massimo, infatti, sono i più grandi del corpo umano. E’ grazie a loro che riusciamo a mantenere la posizione eretta, a spingere il corpo quando camminiamo e a sopportare il peso della parte superiore del corpo quando siamo seduti. Da questi aspetti anatomici (i glutei come parte posteriore) derivano i modi di dire “culo di pietra”, “avere le pezze al culo”, “stare in culo al mondo”, “stare col culo per terra” e “avere il culo di velluto”. 

Film di Pasquale Festa Campanile (1981).

Ma il sedere è soprattutto il simbolo di due aspetti importanti della nostra esistenza: la defecazione e la fecondità. Come mostra l’incerta etimologia di questa parola millenaria: culo deriva infatti dal latino culus, che a sua volta potrebbe risalire al greco antico “κόλον (kòlon)” ossia “intestino”, oppure dalla radice indoeuropea “*kusl-” da cui il greco antico “κυσός (kysòs)” ossia “buco”. Significato, questo, che rimanda alla sessualità.
Partiamo dal primo significato: il sedere è collegato alle funzioni escretorie ed è una delle prime zone erogene dell’infanzia, come scoprì Freud. Fra gli 1 e i 3 anni d’età, infatti, i bambini imparano il controllo dello sfintere,provando appagamento nel gestire i propri bisogni corporali: in questo modo sviluppano autonomia e autostima. Se il bambino non riesce a superare la fase anale in modo equilibrato, può sviluppare due diverse personalità: espulsiva, ovvero disordinata, crudele, e distruttiva, con tendenza alla manipolazione. Oppure ritentiva, ovvero tirchia, testarda, ostinata, eccessivamente controllata.
Da quest’area di significato derivano i modi di dire come “avere la strizza al culo”, ma anche gli squalificanti “fare le cose col culo”, “faccia di culo”, “leccaculo”. La funzione escretoria, infatti, rende i glutei una parte degna di disprezzo, sebbene sia una funzione fondamentale. Perciò ha ispirato anche locuzioni in cui la personificazione del sedere assume una valenza positiva, come “mi ride il culo”. Il lato B, in alcune espressioni, diventa simbolo dell’intera persona: “muovi il culo” significa “muoviti”. Il deretano, insomma, è una sineddoche in due sensi: “il tutto al posto della parte” se indica l’ano; “la parte al posto del tutto” se indica la persona.

Negozio di abbigliamento a Hong Kong.

Ma il sedere è anche oggetto di attrazione erotica: è un richiamo sessuale perché, spiegano gli zoologi, offrono un segnale visivo di giovinezza e fertilità. Segnalano la presenza di estrogeni e di sufficienti depositi di grasso per la gravidanza e l’allattamento. Danno un’indicazione sulla forma e le dimensioni del bacino, che influiscono sulla capacità riproduttiva.
In più il lato B è una zona erogena: mi riferisco al sesso anale, sia etero che omosessuale. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che l’Italia è uno dei Paesi dove questo genere di coito è più diffuso  (il 56% lo pratica, come ricordo qui). La “sodomia”: un tabù tanto stigmatizzato quanto praticato, come testimoniano numerosi modi di dire che lo equiparano a imbroglio (metterlo nel culo, prendere per il culo) o lo rendono oggetto di disprezzo omofobico (rottinculo). A quest’area si ricollegano anche tutte le espressioni che descrivono il deretano come zona sensibile (avere il pepe al culo), tanto da renderlo oggetto di minaccia (ti rompo il culo, fare il culo), malaugurio (vaffanculo) o intangibile certezza (ci scommetto il culo). 

Sono tutti questi aspetti vitali a spiegare la ricchezza semantica del deretano, che, nota Ghelli, “dice tutto e il contrario di tutto”. Ma allora “culo” è una parolaccia? Quando ha il mero significato di “fondoschiena” ha una valenza colloquiale e popolaresca; ma quando la parola si riferisce all’ano, osserva Ghelli, diventa sconveniente, sia che si riferisca alle funzioni escretorie che (soprattutto) a quelle sessuali, che hanno un evidente stampo omofobico: l’omosessualità maschile passiva è stata a lungo considerata un atto di sottomissione umiliante.

Ma tutta questa ricchezza espressiva è si trova solo in italiano? No: molte altre lingue hanno un ampio ventaglio di modi di dire centrati sul fondoschiena. Come viene usato il lato B nelle espressioni colorite in inglese, francese, spagnolo, portoghese? Ve lo racconto nel prossimo articolo. Se conoscete modi di dire sul deretano in altre lingue, segnalateli nei commenti: ho pubblicato una tabella per confrontare le espressioni italiane con quelle in inglese, francese, spagnolo e portoghese. In alcuni casi coincidono, ma in molti altri emergono fantasie linguistiche originali. E divertenti.

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Anatomia dei rompiballe https://www.parolacce.org/2020/07/05/analisi-linguistica-rompiscatole/ https://www.parolacce.org/2020/07/05/analisi-linguistica-rompiscatole/#comments Sun, 05 Jul 2020 14:59:08 +0000 https://www.parolacce.org/?p=17397 Per sfuggirgli bisognerebbe vivere da soli. Perché ce n’è sempre uno nei paraggi: il vicino di casa, il capo, la collega, il cognato, la suocera. O, peggio, la moglie o il marito. I rompiballe sono ovunque e rendono la vita… Continue Reading

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Furio Zoccano, personaggio di Carlo Verdone: incarna il rompiscatole ossessivo.

Per sfuggirgli bisognerebbe vivere da soli. Perché ce n’è sempre uno nei paraggi: il vicino di casa, il capo, la collega, il cognato, la suocera. O, peggio, la moglie o il marito. I rompiballe sono ovunque e rendono la vita difficile, a volte impossibile. Sempre pronti a guastare la tranquillità. a farci saltare i nervi.
Ma chi sono concretamente i rompiscatole? Quali sono i loro comportamenti tipici, e quali effetti hanno? In questo articolo impareremo a riconoscerli in un modo originale: attraverso gli insulti con cui li etichettiamo. In italiano sono 65 e offrono un quadro completo ed eloquente di questi insopportabili persone.
Dedico questo studio a tutti i rompicoglioni che infestano la mia vita. Senza escludere (anzi, è probabile) che io stesso, a mia volta, sarò catalogato da altri in questa stessa categoria.

Un comportamento patologico (ma non solo)

Partiamo dalle cause. Che cosa spinge alcune persone a diventare insopportabili per gli altri? A volte questi comportamenti molesti possono essere il sintomo di una patologia mentale

♦ disturbo ossessivo-compulsivo di personalità: affligge chi ha abitudini e regole rigide, un’eccessiva preoccupazione per l’ordine, i dettagli, la perfezione, e ha la necessità di controllare gli altri (come Furio, il personaggio di Verdone)
♦ disturbo antisociale di personalità: chi è incapace di rispettare le norme sociali e manipola gli altri anche in modo violento
♦ disturbo istrionico di personalità: chi cerca in continuazione l’attenzione e approvazione altrui
♦ disturbo paranoico di personalità: chi è molto diffidente, sospettoso e rancoroso verso gli altri
♦ disturbo narcisistico della personalità: chi si sente molto importante e ha un eccessivo bisogno di ammirazione e una mancanza di empatia verso le altre persone
♦ disturbo sadico della personalità: chi prova piacere a infliggere dolore fisico o umiliazioni psicologiche ad altri 

Più spesso, però, i rompiscatole sono le persone occasionalmente stressate, infelici, frustrate che riversano sugli altri la propria insoddisfazione. O gli egoisti che antepongono il proprio benessere a quello altrui, costi quel che costi. Ma anche quelli che cercano di far valere le proprie opinioni andando contro corrente, assumendo posizioni scomode verso il pensiero dominante o i poteri forti: in questa categoria rientra Greta Thunberg, definita “rompiballe” dal quotidiano “Libero” (ma solo in senso squalificante, non certo riconoscendo il suo innegabile coraggio).

 I termini più usati (da 2 secoli)

Cartello eloquente: vietato rompere le palle

Quali sono, in italiano, i termini più usati per indicare le persone moleste? Sono 3, come ho accertato nella mia recente classifica delle parolacce più pronunciate dagli italiani: rompicazzo è al 24° posto, rompicoglioni al 25°, rompimaroni al 27°. L’espressione un po’ più leggera, rompiballe, è assente.Un ulteriore indizio del maschilismo della nostra cultura? Non solo, e non necessariamente: un colpo sotto la cintura fa più male a un uomo che a una donna. Non è questione di cultura ma di natura: i maschi, a differenza delle femmine, hanno le ghiandole sessuali esposte e vulnerabili.

Queste espressioni, popolari e colloquiali, sono antiche: una delle prime apparizioni nella nostra letteratura è un sonetto in romanesco di Gioachino Belli, composto nel 1832 che si intitola per l’appunto “Er rompicojjoni” (sonetto n° 398), dedicato a un tale sor Giorgio, che aveva l’abitudine di… rompere. 

Ma un giorno che pper tempo me n’accorgio
che cce le viè a scoccià ccome ch’è avvezzo,
me je fo avanti e ddico: «Eh soro sgorgio,
ce l’avete scuajjati per un pezzo». 

Ovvero: ma un giorno che me ne accorgo in tempo che ce le viene a scocciare [le palle] com’è abituato a fare, mi farò avanti e gli dirò: “Ehi signor Giorgio, ce li avete squagliati per un bel po’ di tempo”.

UN 'ROMPI' CHE FECE PERDERE LA POLTRONA A UN MINISTRO

Claudio Scajola

E a proposito di storia, bisogna ricordare che un nostro ministro perse il posto per aver pronunciato quell’espressione. Sto parlando di Claudio Scajola, che nel 2002 era ministro dell’Interno. Quell’anno a marzo era stato assassinato dalle nuove Brigate Rosse il professore universitario Marco Biagi, consulente del governo. Scajola era finito al centro di polemiche poiché il suo ministero, l’anno precedente, aveva tolto la scorta a Biagi nonostante questi avesse manifestato preoccupazione per la propria vita.  Dopo l’omicidio, di fronte alle polemiche sulla revoca della scorta, in un’intervista Scajola aveva replicato: «Figura centrale Biagi? Fatevi dire da Roberto Maroni (allora ministro del Welfare, ndr) se era una figura centrale: era un rompicoglioni che voleva il rinnovo del contratto di consulenza.». Si sollevò un putiferio: insultare con quell’epiteto un defunto, per di più assassinato, fu un’offesa intollerabile per l’opinione pubblica. Tanto che solo dopo 4 giorni da quell’intervista, Scajola dovette dimettersi.

Ci addolorano (e non solo nell’animo)

Un film del 1973. regia di Giuliano Biagetti: incassò un miliardo di lire.

Ma guardiamo da vicino la lista di tutti gli epiteti che, nella nostra lingua, descrivono i rompiballe. Già la loro quantità, 65, è una sorpresa. Ma il dato più sorprendente è un altro: anche se il comportamento dei rompiscatole provoca un fastidio psicologico, le metafore che alludono a un disagio mentale sono solo 5. La stragrande maggioranza delle immagini (54,  l’83%) allude invece a un fastidio fisico: localizzato non solo ai genitali, ma anche al deretano, alla pelle, alla testa e in definitiva a tutto il corpo.  Il rompicoglioni, insomma, è una persona che, anche senza sfiorarci, ci procura un dolore acuto, paragonabile a un trauma fisico, a una malattia (peste, cancro, vesciche), a un cibo indigesto, a un peso che ci opprime, a un insetto pungente e insistente, a una corda che ci impedisce di muoverci, a una sostanza appiccicosa.
Insomma, gli scrotoclasti (espressione che trovo eccezionale) sono una vera piaga: anche se non procurano ferite evidenti, lasciano un dolore nell’animo. Sembra che abbiano un sesto senso nel colpirci là dove ci fa più male. Il che dovrebbe farci riflettere sull’importanza di lasciare in pace i nostri simili.
Ecco la lista degli epiteti che li designano (anche nei dialetti), suddivisi per aree semantiche simili: se me ne fossero sfuggiti altri, potete segnalarli nei commenti.
Cliccare sulle strisce blu per visualizzare le espressioni.

Sensazioni fisiche spiacevoli (14 termini)

♦ appiccicoso: persona che non si leva mai di torno (come la colla che resta attaccata)

♦ bostik: vedi sopra (dalla celebre marca di una colla)

♦ vinavil: vedi sopra (altra marca di una colla)

♦ pecetta: cerotto adesivo, ovvero persona appiccicosa

♦ attaccabottoni:  persona che ha l’abitudine di attaccare bottoni, (attività noiosa) che cioè chiacchiera molto e con i suoi lunghi discorsi fa perdere tempo agli altri

♦ cataplasma: cura appiccicosa, costituita da una pasta composta di sostanze vegetali mucillaginose, oleose o amilacee, che viene raccolta in garza o panno sottile e applicata per lo più calda sulla pelle, a scopo emolliente, sedativo 

♦ pittima: decotto di aromi nel vino (detto anche epitema e epittima), che in passato si applicava caldo sulla regione del cuore, o del fegato, o dello stomaco, a scopo terapeutico, come un impiastro

♦ uggioso: da uggia, umidità: sensazione appiccicosa

♦ lappola: pianta spinosa con uncini che resta appiccicata a chi ne viene a contatto

♦ seccante: persona che ha l’effetto simile a quello di essiccare un terreno

♦ molesto: da mole, peso: persona pesante

♦ insistente: colui che in-siste, cioè sta sopra col proprio peso, premendo

♦ pesante: vedi sopra

♦ impiccione: chi crea fastidi, intralci o anche chi si occupa dei fatti altrui (dal latino impedicare «prendere al laccio»)

Dolori al pene (6 termini)

♦ caga cazzo/minchia: oscura l’origine di questa metafora. L’unica spiegazione plausibile mi sembra un rapporto anale andato male (nel quale il pene viene cacato, cioè espulso)

♦ scassaminchia/cazzi: chi procura un dolore simile alla lesione dell’apparato genitale

♦ stracciacazzi: vedi sopra

♦ rompicazzo: vedi sopra

♦ tritacazzi: vedi sopra

♦ grattugiacazzi: vedi sopra (donna dal carattere scorbutico e dall’aspetto sgradevole)

 

Dolori ai testicoli (12 termini)

♦ scassa marroni/palle: chi procura un dolore simile alla lesione dell’apparato genitale

♦ spacca coglioni/marroni/palle: vedi sopra

♦ straccia palle/coglioni: vedi sopra

♦ rompi coglioni/marroni/palle: vedi sopra

♦ trifolapalle: trifolare significa cucinare una vivanda, tagliata a fettine sottili

♦ rompiglioni: abbreviazione di rompicoglioni

♦ scassauallera: espressione napoletana equivalente a scassapalle

♦ sfrantummauallera: espressione napoletana (frantuma palle)

♦ abboffauallera: espressione napoletana (gonfia palle)

♦ rompiscatole: scatole è un eufemismo per testicoli

♦ scocciascatole: rompere la coccia, cioè il guscio (e scatole sta per testicoli)

♦ scrotoclasta:  espressione dotta che significa rompi scroto

Dolori al deretano (3 termini)

♦ stracciaculo: colui che straccia, cioè fa a pezzi il culo

♦ rompiculo: chi rompe il culo

♦ essere un dito nel culo:  essere un fastidio in una zona sensibile

Dolori alla testa (2 termini)

♦ guastacapi: chi rompe la testa ad altri

♦ scocciatore: chi rompere la coccia, cioè la testa

Malattie (8 termini)
  

♦ pestifero: chi contagia la peste

♦ piaga: ferita, lesione, lacerazione

♦ canchero: cancro

♦ malanno: malattia

♦ vescicante:  che produce vesciche, cioè bolle sierose sulla cute

♦ strazio: da distrahĕre «squarciare, lacerare»

♦ crosta: coagulo di sangue in corrispondenza di una lesione

♦ camurrìa: espressione siciliana che sta per gonorrea, infezione sessuale

Cibi indigesti (2 termini)
 

♦ pizza: alimento difficile da digerire

♦ grass de rost: espressione milanese: essere viscido e sgradevole come il grasso dell’arrosto

Fastidi da insetti e altri animali (7 termini)
 

♦ bacherozzolo: persona sgradita, importuna o spregevole come uno scarafaggio

♦ calabrone: persona fastidiosa come un calabrone

♦ piattola: persona fastidiosa come una piattola

♦ tafano: persona fastidiosa come un tafano

♦ mignatta: persona fastidiosa come una sanguisuga

♦ zecca: persona fastidiosa come una zecca

♦ tacchino: corteggiatore insistente, cascamorto simile a un tacchino insistente

Sensazioni psicologiche (5 termini)
 

♦ fastidioso: composto da fastus, superbo e da tedium, noia: persona molesta

♦ petulante: dal latino petere, chiedere: chi chiede in modo insistente

♦ importuno: chi si comporta in modo non opportuno

♦ stressante: chi genera stress

♦ tumistufi:  persona dà arie, che crede di saper tutto, che parla in continuazione

Danni a oggetti (2 termini)
 

♦ scassambrella: chi rompe gli ombrelli, creando disagi

♦ rompi stivali/tasche:  chi rompe stivali e tasche, creando disagi

Situazioni sgradevoli (4 termini)
  

♦ guastafeste: chi turba l’allegria di una festa, capitandovi d’improvviso senza essere invitato, oppure facendo o dicendo cose inopportune; chi rovina l’attuazione d’un progetto, sconvolge un ordine prestabilito

♦ invadente: da invadere, entrare in territorio altrui

♦ piantagrane: la grana va intesa come granello di sostanza granulosa, ossia una particella indesiderata capace di far inceppare un ingranaggio: chi le pianta le dissemina 

♦ rompi, rompitore:  chi crea dolore e disagi

NELLE ALTRE LINGUE

Le metafore che abbiamo visto qui sopra le ritroviamo pari pari anche in altre lingue, con rare eccezioni creative.

Le immagini testicolari sono le più diffuse: in inglese (ball breaker rompiballe, ball buster distruggi coglioni e ball cutter, taglia balle), in francese (casse-couille, scassa coglioni), spagnolo (hinchapelotas, gonfiapalle, rompepelotas o rompebolas, rompiballe).

Piuttosto frequenti anche le metafore che alludono a un dolore al deretano: la persona molesta è indicata come dolore nel culo in inglese (pain in the arse), portoghese (dor na bunda), tedesco (Schmerz im Arsch), russo (боль в заднице ). 

Il francese, però, ha anche due espressione del tutto originali: casse pieds, cioè scassa piedi e soprattutto emmerdeur o emmerdant, letteralmente smerdatore o smerdante. In altre parole, uno che manda in merda le situazioni.

 

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Quello strano gesto con cui diciamo tutto https://www.parolacce.org/2020/03/08/significato-gesto-mano-a-borsa-che-vuoi/ https://www.parolacce.org/2020/03/08/significato-gesto-mano-a-borsa-che-vuoi/#comments Sun, 08 Mar 2020 19:15:10 +0000 https://www.parolacce.org/?p=16861 La chiamano mano a carciofo, a borsa, a tulipano. O anche a pinza, a pigna, a grappolo, a “puparuolo” (peperone), a “cuoppo” (l’incarto per il pesce fritto)… Comunque lo si definisca, è il gesto italiano più famoso nel mondo: in… Continue Reading

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Matteo Renzi fa il gesto in Senato.

La chiamano mano a carciofo, a borsa, a tulipano. O anche a pinza, a pigna, a grappolo, a “puparuolo” (peperone), a “cuoppo” (l’incarto per il pesce fritto)… Comunque lo si definisca, è il gesto italiano più famoso nel mondo: in questo mese debutta fra i nuovi emoji, col nome “pinched fingers” (dita pinzate), insieme a 116 nuove icone come i ninja, l’orso bianco e il peperone. Ma com’è arrivato l’italico gesto fra gli emoji? Perché è così popolare? E soprattutto: che cosa vuol dire?
Su questo blog mi ero già occupato di gestacci, ma avevo tralasciato questo: ora gli dedico un intero post. Anche perché è un gesto antico e polisemico, cioè ricchissimo di significati, anche volgari e offensivi.
Insomma, è un gesto jolly, e ha almeno due secoli di storia: tanto da essere diventato tratto con cui gli stranieri ci identificano (e ci prendono in giro). Insomma, è un atto comunicativo così unico e impregnato di cultura che andrebbe tutelato dall’Unesco

 Dal limoncello agli emoji

L’emoji della mano a borsa, lanciato di recente.

La mano a borsa è arrivata fra gli emoji per merito di un imprenditore informatico campano emigrato negli Usa, Adriano Farano. Originario di Cava de’ Tirreni, oggi lavora a San Francisco. Un giorno stava raccontando a un’amica, Jennifer Lee, della sua passione per il limoncello, che continua a distillare anche negli Usa. Lei gli ha risposto che lo preparava anche lei, usando la vodka. Farano le ha replicato che invece bisognava usare l’alcol, ma lei continuava a insistere; a quel punto, Farano le ha replicato brandendo la mano a borsa, come a dire “Che @#§% dici?!?”.
L’amica ha sbarrato gli occhi: non capiva che cosa intendesse esprimere con quel gesto. Farano glielo ha spiegato, e lei ha deciso di proporlo come nuova emoji: Jennifer, infatti, lavora per Emojination, una ong impegnata per allargare la base propositiva per i nuovi emoji. E la proposta (firmata anche da Farano e da Theo Schear) è stata accolta dal consorzio Unicode (codice 1F90C, versione 13.0). L’icona è stata catalogata come gesto interrogativo e sarcastico. In realtà, però, ha molti altri significati.

I 7 significati del gesto

Il video di Dolce & Gabbana dedicato ai gesti italiani.

La mano a borsa è un gesto antichissimo. Già Andrea De Jorio, antropologo, l’aveva citato in un saggio del 1832 intitolato “La mimica degli antichi investigata nel gestire napoletano”. Ma è probabile che il gesto risalga a ben prima che al 1800. Il nome “mano a tulipano” fu coniato dallo scrittore Carlo Emilio Gadda in “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana” (1957). E nel 1963, il celebre designer Bruno Munari l’ha messo sulla copertina del “Supplemento al dizionario italiano”, un libro fotografico dedicato ai gesti diffusi nel nostro Paese. Nel 2014 gli stilisti Dolce & Gabbana hanno realizzato un video in cui spiegano il significato dei gesti italiani (il primo è proprio quello) facendoli interpretare dai propri fotomodelli.

Dunque, quali sono i significati che si esprimono con questa mano? Molti: ne ho identificati 7, con diverse varianti e sfumature. E questo gesto assume ulteriori significati in altri Paesi fuori dall’Italia.

1) CHE VUOI? CAZZO VUOI?

Fernandel e Totò  nel film “La legge è legge” (1958).

Il gesto esprime due significati allo stesso tempo, sottolinea Isabella Poggi, docente di psicologia della comunicazione all’università Roma 3. Il primo è di domanda (“che vuoi, che dici?, che fai?”): in tal caso, la mano si muove di pochi centimetri e si ferma dopo un paio di ripetizioni, accompagnata da uno sguardo interrogativo. Ma se la mano compie un movimento più ampio e per più volte (a volte con ambo le mani), ed è accompagnato da uno sguardo indignato, ha anche un significato di critica: significa “non capisco, non sono d’accordo, sono allibito”. In tal caso, quindi, la traduzione più precisa è “Che cazzo vuoi/dici/fai?!?”. Insomma, l’equivalente dell’inglese “What the fuck?”. Ma perché si esprimono questi significati mettendo la mano in quella posizione? L’etologo britannico Desmond Morris (nei libri “L’uomo e i suoi gesti : la comunicazione non-verbale nella specie umana” e “I gesti : origini e diffusione”) fa un’ipotesi affascinante. La mano a carciofo mima una presa di precisione a vuoto: riflette l’impulso di chiedere a qualcuno di esprimersi con maggior esattezza.  Come scriveva due secoli fa De Jorio: «Con riunire in un punto tutte le dita della mano, si intende dir loro: “Riunite le vostre idee, raccogliete le tante parole in una e in breve, in un punto, ditemi cosa volete? Insomma, di che si tratta?”». Insomma, un gesto di enfasi, provocatorio e un po’ minaccioso.

2) MANGIAMO? / BOCCALONE

Il gesto di mangiare è usato anche nella lingua dei segni.

Se la mano a borsa si avvicina alla propria bocca aperta, il gesto ha un altro significato: mangiamo? Oppure: ho fame. Questo è un significato diffuso anche fuori dall’Italia (vedi sotto), e potrebbe essere un’origine alternativa del gesto, che in questo caso mima la presa di un boccone.
Se questo gesto è enfatizzato in modo teatrale davanti a un’altra persona, significa invece un insulto:
boccalone, credulone, coglione, ingenuo, sciocco, semplicione, sprovveduto.

3) CAZZONE / SOLO

Il gesto interpretato da Darthorso.

Se la mano a borsa, rivolta in alto, compie più volte una semirotazione in senso antiorario, il gesto significa burattino, uomo da nulla, cazzone. Il gesto, in questo caso, potrebbe mimare l’azione di muovere un burattino da mano.
In napoletano, questo gesto è chiamato “mano a puparuolo” (peperone) ed esprime un insulto bonario: fessacchiotto.
Il gesto è usato anche per rappresentare una persona lasciata da sola come un idiota.

4) INFILARE NEL DERETANO

Se la mano a borsa compie un movimento ritmato verso l’alto, il gesto mima un atto sessuale: avere/mettere qualcosa nel culo. E’ per questo che l’emoji della mano a carciofo è usata anche per alludere al fisting, una pratica sessuale (introduzione dell’intera mano nella vagina o nel retto).
Il senso sessuale di questo gesto è visibile in questo spezzone del telefilm “Boris”, dal minuto 2 (uno spezzone ricchissimo di parolacce, tra l’altro): “E’ come se avessi uno spinotto conficcato… dentro il cuore” dice l’attore Antonio Catania che qui interpreta Diego Lopez, direttore di rete.

5) STRIZZA EH?

Per mimare la strizza, le dita si avvicinano e si allontanano.

Se le dita della mano ferma si allontanano e si avvicinano ritmicamente fra loro, il gesto significa: hai paura, eh? Hai una bella strizza, eh? Ti si stringe il culo eh? Ti stai cagando addosso… Il gesto mima infatti lo spasmo dello sfintere anale.

6) E' PIENO COSI'

E’ pieno così di gente.

Se si usano tutte e due le mani a borsa con le dita che si allontanano e si avvicinano ritmicamente (vedi gesto precedente), il gesto significa: è pieno così, c’è folla. Le mani riproducono una moltitudine di  gente che si raduna nello stesso luogo.

7) INFILARE

Il gesto di infilare qualcosa.

Se la mano a borsa è rivolta verso terra, con un leggero e meccanico movimento del polso, il gesto significa: buttare, mettere qualcosa dentro un contenitore (ad esempio, una manciata di sale).

Segno identificativo (e prese in giro)

Un fotogramma della serie tv “Breaking bad”.

I significati di questo gesto, quindi, sono davvero tanti. Eppure è del tutto sconosciuto nel nord Europa e negli Stati Uniti. Gli stranieri, quindi, non lo capiscono, e quando tentano di riprodurlo lo fanno spesso a sproposito o in modo inutilmente enfatico. E spesso ci prendono in giro. Tant’è vero che sono nati diversi meme ironici (trovate una delle tante raccolte qui) che usano il gesto come se fosse l’unico modo che abbiamo per esprimere o fare qualunque cosa. Così la mano a borsa è stata accostata a ogni genere di attività: come gli italiani (“how italians”)…. bevono il caffè, suonano il pianoforte, dormono, eccetera. Insomma,  non sempre all’estero capiscono il nostro gesto, ma in ogni caso ci identificano attraverso di esso. E’ per questo che sono in commercio diverse T-shirt che rappresentano il gesto come emblema dell’italianità. Ne vedete alcuni esempi nella galleria fotografica qui sotto.

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All’estero, invece….

Il medesimo gesto acquista significati in parte simili ma anche diversi in altri Paesi.

♦ Israele: qui il gesto è usato sia nel senso di “Che vuoi?/Che dici?” ma significa anche “aspetta un attimo, sii paziente, stai buono”.

♦ Paesi arabi:  significa “aspetta, pazienza, vai piano”. Ma è usato anche come una minaccia: stai attento, altrimenti vedrai cosa ti succede.

La cantante sudcoreana Kwon Yuri saluta i fans col gesto del raviolo.

♦ India: vuol dire “hai fame?”

♦ Nigeria: mima un diverbio, un botta e risposta fra due persone

♦ Corea del Sud: è un gesto di affetto che una celebre cantante pop e attrice, Kwon Yuri, usa per mimare la forma di un raviolo al vapore. Il significato, giocoso e ironico, è “ti voglio bene” (letteralmente: vi auguro di mangiare ravioli al vapore, oppure: siete buoni come un raviolo).

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Insultare con gli emoji https://www.parolacce.org/2019/01/29/dizionario-parolacce-emoji/ https://www.parolacce.org/2019/01/29/dizionario-parolacce-emoji/#comments Tue, 29 Jan 2019 07:07:47 +0000 https://www.parolacce.org/?p=15189 Dobbiamo farcene una ragione: per gli emoji è finita l’età dell’innocenza. Melanzane, pesche, manine, spruzzi… non sono più immagini candide. Le volgarità, infatti, sono sbarcate anche nelle icone che condiscono le nostre comunicazioni su WhatsApp, Facebook e gli altri social.… Continue Reading

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Cosa vogliono dire queste due frasi? Lo scoprite in fondo a questo articolo.

Dobbiamo farcene una ragione: per gli emoji è finita l’età dell’innocenza. Melanzane, pesche, manine, spruzzi… non sono più immagini candide. Le volgarità, infatti, sono sbarcate anche nelle icone che condiscono le nostre comunicazioni su WhatsApp, Facebook e gli altri social. E si stanno diffondendo anche nel mondo reale: una catena di abbigliamento svizzera, Talli Weijl, ha lanciato una campagna per jeans che valorizzano il “lato B” usando l’emoji della pesca e lo slogan “Bottoms up!” (“In alto le chiappe!”). L’emoji della pesca, infatti, è usata anche come simbolo del deretano.
E’ un bene? Un male? E comunque: funzionano? Come vedremo in questo articolo sì e no. Ma il dado è tratto: oltre a dirle a voce, per iscritto, coi gesti, le parolacce hanno trovato un canale espressivo anche in questi simboli. In questo articolo ho ricostruito il primo dizionario delle parolacce con gli emoji. Sia quelle già codificate che quelle possibili con le icone disponibili oggi.

Ma perché è stata necessaria questa rivoluzione? Nelle chat digitali, il poco spazio a disposizione per digitare le frasi rende difficile esprimere le proprie emozioni. Tanto che spesso nascono grandi fraintendimenti: Giorgio dice una frase per scherzo, Silvia non lo capisce, si offende e reagisce insultando, e la frittata è fatta.
Gli equivoci sono inevitabili nella comunicazione che avviene attraverso uno schermo, la cosiddetta “computer mediated communication”. Perché è una comunicazione molto più povera: si è accertato che, quando comunichiamo di persona, le parole veicolano solo il 7% dei significati. Gran parte del senso (il 55%) lo esprimiamo invece con il corpo, ovvero attraverso i gesti e soprattutto le espressioni del viso; e il restante 38% con la voce: tono, volume e ritmo. Insomma, la  “comunicazione non verbale” esprime più di quella verbale.

I 3 segni fondamentali

Gli emoji specifici per le parolacce (montaggio foto Shutterstock).

Emoticon ed emoji sono nati nel tentativo di colmare questa lacuna, ovvero per aggiungere il colore emotivo ai messaggi di testo. E quando si parla di emozioni, non potevano mancare le parolacce, che sono il linguaggio delle emozioni forti: esprimono rabbia, sorpresa, gioia, disgusto, aggressività. Eppure, nonostante tanti anni di onorato servizio degli emoji (ho raccontato quest’altro articolo la loro lunga storia), ne sono stati creati soltanto 3 specifici per le volgarità. Li vedete nella foto: sono il dito medio, la cacca e una faccina che impreca. In quest’ultimo emoji, però, le parolacce sono censurate dai segni grafici &$!#%: quindi, non è una vera parolaccia ma un eufemismo generico.
Tre icone sono davvero poche, ma rappresentano comunque una scelta significativa: sfanculare, mandare a quel paese (“maledire”, come raccontavo in questo articolo) e insultare (cioè dire a qualcuno che è una cacca, insulto che hanno imparato spontaneamente persino le scimmie, come raccontavo qui) sono funzioni basilari del linguaggio. Per questo rientrano nel nostro vocabolario essenziale, al pari del “ciao” e del “ti voglio bene”.
E infatti questi emoji sono diventati di uso comune, anche al di fuori dei display dei cellulari.

La campagna di WaterAid con gli emoji della cacca.

Oltre alla campagna di Talli Weijl che raccontavo all’inizio, un’associazione no profit di New York, “Water aid” (impegnata a fornire acqua pulita alle nazioni povere) ha lanciato una raccolta fondi con lo slogan “#give a shit”, “dai una merda”. In inglese, infatti, “don’t give a shit” significa “non fregarsene un cazzo, non cagare”. Qui, invece, bisognava fare il contrario: interessarsi alla causa ambientale, e sostenerla comprando una serie di emoji con l’immagine della “cacca” in varie versioni (con cappello, occhiali, pizza e quant’altro).
Di recente, il tribunale di Verona ha condannato un politico che aveva pubblicato su Facebook l’icona della cacca per replicare a un rivale. Dunque, gli emoji sono entrati nelle nostre abitudini al punto che anche la magistratura ne tiene conto come possibili fonti di reato (diffamazione).
In ogni caso, queste 3 immagini sono del tutto insufficienti per eguagliare l’abbondante carnet di volgarità offerto dal vocabolario

Oscenità

 

La finta confezione di profilattici all’aroma di melanzana.

E’ per colmare questa lacuna che, nel frattempo, altri innocenti emoji hanno iniziato ad acquisire significati volgari, soprattutto in campo sessuale, che è poi una delle fonti principali del turpiloquio.
Le icone qui sotto sono usate in campo internazionale, a eccezione  di quelle per il seno (pere e meloni) e per l’uccello, che hanno un uso limitato all’Italia.
La melanzana, in particolare, ha preso piede negli Usa e nel Regno Unito come simbolo fallico: al punto che la Durex  ha annunciato la creazione di una linea di profilattici all’aroma di melanzana… In realtà era uno scherzo provocatorio (vedi qui): la Durex ha cavalcato la popolarità dell’emoji della melanzana, per chiedere al consorzio Unicode di creare l’emoji del profilattico. Un modo, dicono, per tener desta l’attenzione sulla prevenzione delle malattie a trasmissione sessuale. (Grazie a Licia Corbolante per la segnalazione).

pene (cazzo) uccello
simboli fallici

testicoli

(palle)

glutei

(culo)

seno
(tette, pere, meloni)
vulva
(figa)
rapporto orale reciproco (69: l’immagine, in realtà, è il segno zodiacale del cancro)
sperma, orgasmo, eccitazione
(sborra, vengo)


E qualcuno si è spinto oltre, usando le combinazioni di più icone per alludere a determinati atti sessuali: 

rapporto sessuale
(scopare, fottere)
rapporto orale (“suca”)
masturbazione
(sega)

Insulti

La campagna di Talli Weijl con gli emoji della pesca a indicare il sedere.

L’uso volgare di queste immagini si sta diffondendo sui social. Sono usate non solo per insultare, ma anche come linguaggio ammiccante in senso erotico. Ma è un uso scivoloso: se li riceve una persona che non gradisce approcci “piccanti”, rischiano di diventare una forma di molestia sessuale. Bisogna fare molta attenzione quando li si usa.
Ma le potenzialità degli emoji non si limitano all’aspetto osceno. Diverse immagini, infatti, possono essere usate come insulti: ho passato in rassegna le icone disponibili per i principali social, e ne ho trovate diverse che si prestano a un uso offensivo.
Eccole: se si escludono le icone di gay, maiale, peto e toilette, usate a livello internazionale, tutte le altre hanno un uso limitato all’Italia.

buffone
pagliaccio
cornuto
ricchione, frocio
pollo, gallina
serpe
porco
ratto, topo di fogna
coniglio
scoreggia

(di per sè l’immagine indica la velocità, la fretta)

cesso

Modi di dire

Il poster del film “Deadpool”: un rebus con gli emoji (DEAD-POO-L).

Molte di queste sono già entrate nell’uso, mentre altre ne hanno il potenziale: bisogna vedere se e quanto si diffonderanno. Intanto, però, alcuni si sono spinti a un uso ancora più complesso degli emoji, utilizzandoli per comporre dei veri e propri rebus. E’ il caso di una campagna pubblicitaria per il film “Deadpool“, un supereroe Marvel molto sopra le righe. Il nome del protagonista è stato reso con l’emoji di un teschio (“dead”, morto) e della cacca (“poo”), con l’aggiunta della “L”.
Non è l’unico caso attestato: negli Stati Uniti, infatti, si sta diffondendo l’uso di rendere l’insulto “bastardo” affiancando 3 icone: una famiglia (mamma, papà, bimbo), un cartello di divieto seguito da un anello. Come dire: quel bambino è nato da una relazione fuori dal matrimonio (i figli bastardi erano appunto quelli nati da una famiglia non ufficiale).
Così ho pensato di proseguire in questa direzione, vedendo quali composizioni fossero possibili per alcuni modi di dire in italiano. Ecco che cosa ho trovato:

bastardo
sei una merda

6

1

vai a cagare
vaffanculo

FAN

chiavare
mortacci tua

TUA

scorreggia
testa di cazzo

DI

faccia di merda

DI

leccaculo
rompere le palle

ROM

LE  

Un’arma attenuata

Poster del film “The emoji movie” (2017). Qui l’emoji della cacca dà vita al rebus “shit happens”, ovvero: le disgrazie succedono.

Ma una comunicazione simile funziona, è efficaceAl di là del loro significato simbolico, il tratto di questi disegni dà un aspetto infantile ai messaggi, e questo depotenzia la loro carica offensiva. E’ come dire “cacchio” al posto di “cazzo”. E questo, in alcuni rapporti personali, potrebbe essere un vantaggio: usare un emoji invece di un insulto verbale potrebbe attenuarne l’impatto. Bisogna ricordare che questi simboli sono ratificati dal Consorzio Unicode che ha sede negli Stati Uniti, dove la sensibilità puritana verso i “contenuti espliciti” è alta.
Al tempo stesso, però, l’interpretazione di questi disegni è libera, quindi possono essere letti anche attraverso il registro basso: melanzana = cazzo.
In ogni caso, anche se fossero disegnati con un tratto più realista, restano comunque un’arma poco efficace per un altro motivo: dobbiamo ancora familiarizzare con questi simboli. Le parolacce e i gestacci, invece, sono sedimentati per secoli nel nostro cervello e quindi suscitano in noi una reazione immediata, come raccontavo
qui.
In più, queste icone mantengono una grande ambiguità: dicono e non dicono. Non è facile anche per noi interpretare le emozioni che stiamo provando: e le faccine sono uno strumento solo parziale per esprimerle. Delle mie emozioni possono dare solo un’idea vaga e approssimativa.
Infine, quando gli emoji sono costruiti come rebus diventano simili ai tarocchi: una serie di immagini enigmatiche da decifrareDunque, può afferrarne il senso solo chi già le conosce, chi è in qualche modo alfabetizzatoSolo se queste icone saranno usate regolarmente nelle conversazioni digitali, il loro significato sarà citato nel loro elenco ufficiale (quello del consorzio Unicode) e verrà condannato il loro uso, allora potranno acquisire la forza espressiva delle parolacce. Già in Arabia Saudita inserire l’emoji del dito medio è considerato un reato e come tale punito. Per metabolizzare tutte le altre, dovremo aspettare qualche annetto.

AGGIORNAMENTO

Il Consorzio Unicode ha appena annunciato l’esordio di 59 nuove emoji (Emoji 12.0), che saranno disponibili dal prossimo marzo. Non ce n’è nessuna che abbia attinenza con le parolacce. Ma ce n’è una che, probabilmente, sarà usata in senso malizioso: quella della “piccola quantità” resa col gesto della mano in cui pollice e indice mimano un oggetto piccolo.  Basta aggiungere questa icona a quella della melanzana (o della banana) ed ecco coniato l’insulto sulle dimensioni ridotte del sesso maschile:

 

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L’altra faccia dello stronzo https://www.parolacce.org/2018/11/20/significato-insulto-stronzo/ https://www.parolacce.org/2018/11/20/significato-insulto-stronzo/#comments Tue, 20 Nov 2018 11:03:31 +0000 https://www.parolacce.org/?p=14861 Quanti significati nasconde la parola “stronzo”? La domanda non è bizzarra: come molte parolacce è sfuggente, difficile da definire. E’ un concentrato di significati, come un file zippato. In più il suo senso cambia se ci si sposta dal Nord al Centro-Sud… Continue Reading

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Un popolare meme (da memegen).

Quanti significati nasconde la parola “stronzo”? La domanda non è bizzarra: come molte parolacce è sfuggente, difficile da definire. E’ un concentrato di significati, come un file zippato. In più il suo senso cambia se ci si sposta dal Nord al Centro-Sud dell’Italia.
Me ne sono reso conto di recente, grazie a un fatto di cronaca: a Napoli, su un treno della Circumvesuviana, c’era un giovane che maltrattava un immigrato pakistano. Una passeggera l’ha difeso, criticando l’atteggiamento dell’aggressore: “Vergognati!” gli ha detto. Ma lui non ha desistito: anzi, con insensato orgoglio le ha risposto di essere “razzista”. Allora la donna gli ha replicato: “Tu nun sì razzista, sì strunz!” (“Tu non sei razzista, sei stronzo!”).
La scena, ripresa con un telefonino da chi aveva assistito alla scena, è diventata virale sui social. E ha scatenato, su Twitter, gli interventi dei napoletani, che hanno voluto precisare il senso autentico dell’espressione “strunz”: «In lingua napoletana, strunz equivale a “omm’ ‘e merd‘”, uomo di merda, di poco valore. Non è un insulto generico è n’a cos’ pesante!», ha scritto uno dei commentatori.

Pubblicità della birra “Stronzo” (Danimarca).

L’episodio mi ha fatto capire che occorreva tornare sull’argomento, per sviscerare (appunto) il significato di stronzo. In una puntata precedente, infatti, avevo messo a fuoco un’accezione, quella più diffusa al Nord Italia: qui significa “persona sociopatica“, ovvero egoista, manipolatrice, indifferente agli altri e alle regole sociali. Una persona che non si preoccupa di far male agli altri pur di avere un vantaggio per sè stesso. E per questo una persona degna di disprezzo e di odio, al punto da essere paragonata a uno sterco: stronzo – ricordiamolo – deriva dal longobardo strunz, escremento solido di forma cilindrica. Una parola con una sonorità molto espressiva, tanto da essere l‘8a parolaccia più pronunciata in Italia. E da essere stata scelta, fuori dall’Italia, per denominare una birra (vedi qui) e anche una pizzeria (vedi qui).

In questa puntata, invece, scopriremo gli altri significati che questa parola assume al Centro-Sud: l’altro modo di essere stronzi (e ugualmente disprezzati). Nel frattempo, nel riquadro qui sotto racconto un paio di aneddoti gustosi sull’episodio capitato a Napoli: ha un precedente politico insospettabile.

[ clicca sul + per aprire il riquadro ]

UN PREMIO E UN LOGO

Il logo ispirato dall’episodio sulla Circumvesuviana.

Ecco un paio di dettagli gustosi sull’episodio capitato a Napoli. La protagonista dell’episodio si chiama Maria Rosaria Coppola, e lavora come sarta alla Rai. E’ diventata celebre non solo per la sua risposta fulminante al giovane, ma anche perché aveva mostrato un notevole coraggio nell’affrontarlo. Di fronte alle sue minacce, infatti, gli ha risposto: “Se ti vedo alzare un pugno” gli ha detto, “prendo l’ombrello e te lo scasso in testa”.
L’episodio ha avuto varie conseguenze inattese. La signora Coppola, pochi giorni dopo, ha ricevuto il premio “Cittadina coraggiosa” da Umberto De Gregorio, presidente dell’Eav (Ente Autonomo Volturno, che gestisce la linea ferroviaria Circumvesuviana). A fine anno, poi, è stata persino nominata Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana dal presidente Sergio Mattarella: Per il coraggio e lo spirito di iniziativa con cui ha pubblicamente difeso un giovane straniero vittima di una aggressione razzista”.
L’episodio, infine, ha ispirato anche un utente di Twitter,
Mr Sharif, mediatore culturale, a creare un logo: ombrello, guanto da pugile e la storica frase “Tu nun sì razzista, sì strunz”.
Senza nulla togliere al coraggio della donna, però, la primogenitura di quella frase non è sua: è di Gianfranco Micciché, presidente della Regione Sicilia. Quando il ministro dell’Interno Matteo Salvini aveva bloccato a Catania la nave Diciotti con a bordo 190 migranti per forzare una trattativa sui migranti con le autorità europee, Miccicchè aveva scritto un intervento furioso su Facebook: “Non so come tu riesca a dormire al pensiero di quanta sofferenza si stia procurando nel tuo nome… Salvini, non agisci così perché intollerante o razzista. Perché nel lasciare 190 persone per tre giorni in balìa di malattie e stenti su una nave non c’entra niente la razza o la diversità, c’entra l’essere disumani, sadici. E per cosa poi, per prendere 100 voti in più?  Salvini, fattene una ragione, non sei razzista: sei solo stronzo”. Per questa frase, però, Miccicchè non ha ricevuto alcun premio (anzi, per Salvini la Procura di Catania ha chiesto di recente l’archiviazione).

Quali sono allora i significati della parola stronzo al Centro-Sud? Lo spieghiamo con un linguista d’eccezione: Gigi Proietti. Che ha dedicato a questo argomento una parte dello spettacolo “Serata d’onore” (2004), da cui è tratto il video qui sotto: 3 minuti e mezzo di puro divertimento. La mia analisi prosegue dopo il video.

 In questo sketch, Proietti mette in luce 2 sfumature della parola stronzo:

  1. barzelletta del “matto” e della “coda alla cassa”: in questi due casi, la parola stronzo è usata nel senso di inetto. Equivale a coglione, idiota, imbecille, quaquaraquà, pirla, nullità
  2. barzelletta dell’”incidente sfiorato”: qui stronzo ha il significato di incauto, irresponsabile. Equivale a testa di cazzo.

Quale di questi 2 significati avrà avuto in mente la signora della Circumvesuviana? Bisognerebbe chiederlo a lei. In ogni caso, come potete vedere, dentro una parolaccia si nasconde un mondo di significati. Altro che stronzate!
Dunque, concludendo, “stronzo” può significare 3 cose diverse: egoista cattivo (come raccontavo nell’articolo precedente); inetto; irresponsabile. Ovvero bastardo, coglione e testa di cazzo. Strana equivalenza, ma con le parolacce è così. Sono tutti comportamenti odiosi, ma diversi fra loro. E, a volte, ugualmente presenti in una stessa persona: non è sempre facile tracciare una linea di demarcazione netta fra uno e l’altro. Insomma, ognuno è stronzo a modo suo, e l’insulto è un jolly linguistico che si adatta alle diverse situazioni.
Concludo questo argomento con una canzone dedicata allo stronzo (nel senso centro-meridionale): “Che felicità”, di Giorgio Bracardi, pubblicata nel cd “Craccracriccrecr” insieme agli amici Elio e le storie tese. Ecco la prima strofa:

Io sono stronzo. Testa de cazzo.

Oho ohooo, oho ohooo.

Io vado a zonzo come ‘no stronzo.

Oho ohooo, che felicità….  

Per saperne di più su stronzi & stronzate, ecco altri articoli sull’argomento:

quali fattori mentali ci rendono più vulnerabili a credere alle stronzate

chi è lo stronzo

che cosa significa la faccia da stronzo

Le fonti (nascoste) delle stronzate

l’incredibile storia del professor Stronzo Bestiale

Di questo argomento (e diversi altri) ho parlato con Nicola e Gianluca Vitiello a Dee Notte su Radio DeeJay nella puntata del 3 dicembre.
Potete ascoltare l’audio del mio intervento cliccando sul riproduttore qui sotto:

 

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Fenomenologia del “suca” (e le sue varianti) https://www.parolacce.org/2018/01/23/insulti-sesso-orale/ https://www.parolacce.org/2018/01/23/insulti-sesso-orale/#comments Tue, 23 Jan 2018 09:30:28 +0000 https://www.parolacce.org/?p=13710 E’ uno dei tabù più forti, ma è un mito pop: è diventato un modo di dire planetario, ispirando graffiti, canzoni, romanzi e slogan. In Italia il rapporto orale è citato in 3 espressioni dialettali: “suca” (“succhia”, Palermo), “socc’mel” e “soccia” (“succhiamelo”, Bologna), e “vafammocc”… Continue Reading

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La scritta “suca” è ubiquitaria: qui è tracciata anche sulla neve.

E’ uno dei tabù più forti, ma è un mito pop: è diventato un modo di dire planetario, ispirando graffiticanzoni, romanzi e slogan. In Italia il rapporto orale è citato in 3 espressioni dialettali: “suca” (“succhia”, Palermo), “socc’mel” e “soccia” (“succhiamelo”, Bologna), e “vafammocc” (“vai a fare in bocca”, Napoli). Il loro significato, però, va oltre il sesso: esprimono un ventaglio di emozioni che non è semplice tradurre a parole.
E non succede solo in Italia: modi di dire equivalenti esistono anche in inglese, spagnolo, francese.
Ma perché? Com’è possibile che un atto erotico sia diventato un’offesa? Il tema è spinoso, ma ho deciso di indagare. Anche perché il mese scorso il “suca” è stato elevato a dignità accademica, diventando l’argomento di una tesi di laurea discussa all’università di Palermo.  

Il sesso orale come simbolo

Che cosa vuol dire l’espressione “suca” (succhia)? Letteralmente, si ordina a qualcuno il sesso orale. Dunque, per capire il valore simbolico di questo modo di dire, bisogna prima capire il significato biologico del rapporto orale.
Secondo l’etologo britannico Desmond Morris, più un atto sessuale è considerato “spinto”, più è probabile che sia proibito in pubblico. «Dunque, usare il segno più “sporco”, più tabù possibile può diventare una forma simbolica di attacco: invece di colpire l’avversario, lo insulto con un gesto sessuale». Diverse scimmie, infatti, mimano atti sessuali come forma di minaccia: si avvicinano a un loro simile, si mettono in posizione di monta e fanno qualche simbolica spinta pelvica. Spiega Morris nel libro “L’uomo e i suoi gesti” (Mondadori). «Mimare un atto sessuale rappresenta un sentimento di superiorità: “Non mi fai paura, io ti sono superiore”. E’ un gesto di auto-affermazione anche in situazioni non sessuali».

Saggezza trasgressiva su un muro (dal sito “suca forte“).

Queste considerazioni valgono anche per il sesso orale, sia esso mimato (con un gesto), oppure pronunciato o scritto.
Ma qual è il significato biologico e simbolico del sesso orale? L’uomo – insieme ai bonobo e ai pipistrelli della frutta – è l’unico mammifero a praticarlo. E’ un’intensa forma di piacere erotico, che si apprende per abitudine culturale. E’ piacevole riceverlo, ma non per tutti praticarlo. E non ha uno scopo riproduttivo: secondo i biologi è uno dei modi per rinforzare il legame fra partner.
Dunque, dal punto di vista simbolico il sesso orale è:

  • un intenso piacere, che può essere condiviso o unilaterale
  • un tabù molto forte;
  • una forma di attacco/minaccia;
  • un atto di auto-affermazione, di superiorità: la parte più nobile (la testa) dà piacere alla nostra parte più bassa (il sesso).

Tutto questo ci aiuta a capire il significato di “suca”. Il verbo è un imperativo: ma non è un’azione o un invito all’azione. Questa espressione, diffusa sui muri di Palermo fin dagli anni ‘70, è usata infatti come modo per esprimere uno stato d’animo. Che cosa significa allora?
Innanzitutto è un’espressione di superiorità, proprio come le scimmie di cui parla Morris: significa “io sono superiore a te, ti ho sottomesso”. Al punto che, nella mia fantasia, utilizzo il tuo corpo a mio esclusivo godimento. Dunque, anche un modo per dire: “ti svilisco, sei buono/a solo per soddisfare i miei impulsi sessuali”.
Un gesto di vittoria, di scherno, di rivalsa. Ecco perché la scritta “suca” appare frequentemente nella zona dello stadio di Palermo per dileggiare i tifosi delle squadre avversarie, oppure le forze dell’ordine o le istituzioni (prefettura, polizia, carabinieri).
Essendo un tabù molto forte, inoltre, basta dirlo per provocare uno choc nell’ascoltatore/lettore: si introduce uno scenario del tutto intimo, abbassando il livello della conversazione su un piano animalesco.
Ma “suca” è usato anche in senso assoluto, senza un destinatario particolare: è un modo per dar sfogo alla rabbia o alla noia. Si scrive per spirito goliardico o per provocazione, per sfidare i benpensanti: è un modo di dire “me ne frego di tutti, siete tutti inferiori, voglio solo usarvi per godere”. Insomma, un insulto totale. Un concetto che viene espresso anche a gesti, mettendo le mani aperte ai lati dei genitali.
E pur essendo nato come insulto maschile, per esprimere i rapporti di dominanza fra uomini, oggi questo modo di dire (e il suo corrispettivo gestoè usato anche dalle donne.

UN MITO POP A PALERMO

Lo scrittore siciliano Fulvio Abbate nel suo romanzo “Zero Maggio a Palermo”(1990) lo definisce “un punto fisso nello spazio”:

La scritta su una panchina (Suca forte).

SUCA (…) è la scritta che a Palermo viene tracciata su ogni parete bene in vista. La scritta di benvenuto. (…) Suca può anche essere trasformata: la S diventa un 8, la U e la C due zeri, soltanto la A resta tale, e alla fine di quest’operazione si legge 800A, ossia la stessa offesa, se è vero che molti palermitani talvolta scrivono direttamente in questo modo. (…)
L’umanità che vive a Palermo si divide in due categorie: quelli che scrivono suca e gli altri che cancellano suca. Questi ultimi, come Sisifo, sono i palermitani più infelici, i vinti, perché, come è evidente guardando i muri, suca vince sempre: su insegne e saracinesche, cassonetti dell’immondizia, porte e anche monumenti; ne riappaiono a centinaia e di tutte le dimensioni (…).
Non è importante che suca accompagni un nome, suca non ha genere, non è maschile né femminile, e solo di rado ha bisogno di un volto certo cui rivolgersi: suca è come un punto fisso dello spazio e può bastare, come ogni insulto, anche soltanto a se stesso. Si sa che prima o poi qualcuno leggerà, soprattutto uomini perché, questo sì, suca è un insulto maschile, rivolto castamente al mondo degli uomini, nonostante esprima una cosa che si desidera quasi sempre venga fatta da una ragazza. Talvolta suca è accompagnato dalla raccomandazione FORTE, ma il SUCA FORTE non muta l’essenza dell’offesa, piuttosto fa comprendere senza fatica cos’è il plusvalore. (…) suca, come il muschio, vive sui muri anche dopo essersi seccato, quindi per anni e anni aspetta di sbiadire senza mai cancellarsi”.

Insomma, il sesso orale è un simbolo sfaccettato e poliedrico. «Un mito pop virale», come lo definisce Alessandra Agola, 26 anni, che lo scorso dicembre si è laureata in Scienze della comunicazione all’Università di Palermo proprio con una tesi sul “suca”, ma non tanto dal punto di vista linguistico, quanto come graffito urbano e fenomeno culturale (“S-Word: segni urbani e writing”, relatore il semiologo Dario Mangano).

Il “suca” trasformato in 800A.

La neolaureata ha passato in rassegna i centinaia di “suca” sui muri e le panchine di Palermo, raccontando come sia entrato nell’identità cittadina: «Un verbo liberatorio grazie alla sua pronuncia morbida ma veloce», scrive. «Quando lo si vuole rafforzare, si vuole insultare, allora si allunga la “u”». Ma l’espressione può essere rafforzata anche in altri modi: “suca forte” o “suca c’a pompa” (con la pompa).
L’eufemismo grafico “800A” (per un palermitano, un messaggio in codice), racconta Agola, ha ispirato anche portachiavi, una casa discografica (800a records),  e opere d’arte.

⇒ L’espressione “suca” è un’offesa per cui si può rischiare una denuncia? Sulla questione ho espresso il mio parere: potete leggerlo qui (nelle risposte ai commenti dei lettori).


In ogni caso, “suca” non è affatto un fenomeno locale: l’espressione, infatti, ha equivalenti in molte lingue del mondo. Dall’inglese (“suck it”), allo spagnolo (“chupala”, “chupame la pinga/pija”) al francese (“suce ma bite”).

Il gesto irridente di X-Pac, wrestler della D-Generation X.

Negli Usa, “suck it” è diventato il tormentone ufficiale di D-Generation X, un gruppo di wrestling professionista attivo dal 1997 al 2010. Era una squadra che puntava tutto sulla provocazione, mostrandosi come gruppo di anarchici e menefreghisti: il loro slogan era «we got two words for ya: SUCK IT!» (abbiamo due parole per voi: succhialo!), accompagnato dal gesto di portare le braccia (laterali o incrociate a X) all’altezza dei genitali. Una scelta che li ha portati sotto i riflettori, in un Paese puritano.
Proprio questo gesto, tra l’altro, è usato – non solo negli Usa – anche dai tifosi delle squadre di calcio per irridere avversari fisicamente lontani, come raccontavo nell’
enciclopedia dei gestacci. Anche a lunghe distanze, insomma, l’offesa arriva a destinazione.

La versione bolognese: “soccia” e “socc’mel”

Palermo non è l’unica città italiana che utilizza le metafore del sesso orale in un modo di dire. Altrettanto virale è il suo equivalente bolognesesocc’mel” (e “soccia”). Ma qui il verbo si arricchisce di sfumature diverse: non esprime solo derisione, superiorità e strafottenza. A Bologna il verbo è usato molto più spesso come esclamazione di stupore, incredulità, ammirazione: è l’equivalente (molto più forte) di “accidenti”. L’origine di questo modo di dire è semplice: le intense sensazioni psicofisiche che si vivono durante un rapporto orale sono usate per esprimere un’emozione intensa, anche non di tipo erotico.
Anche in bolognese sono presenti rafforzativi e varianti: sócc’mel bän (succhiamelo bene), e sócc’mel bän in pónta (succhiamelo bene in punta).
Nel 2010 è stato pubblicato un gioco a carte intitolato Sócc’mel, cui ha fatto seguito, nel 2012, un’espansione denominata Sócc’mel va in vacanza!
Insomma, anche in questo caso un modo di dire poliedrico e popolare, tanto che il cantautore bolognese Andrea Mingardi gli ha dedicato una canzone:

Alla napoletana: “vafammocc”

Una tazza con l’espressione napoletana.

In Campania c’è un’espressione che allude al sesso orale: “vafammocc”, letteralmente “vai a fare in bocca”. Un equivalente (vafanvuocc) è diffuso anche in  Puglia.
In questo caso, il senso di scherno, offesa e superiorità è giocato ricalcando il suono di un’altra celebre espressione: vaffanculo (di cui ho raccontato l’origine qui). Si tratta quindi, linguisticamente parlando, di una “maledizione”: si augura il male a qualcuno.
Questa espressione, infatti, è usata per cacciare via una persona, mettendola (
a livello immaginario) in una situazione sgradevole o dolorosa (trovate un campionario di maledizioni, italiane ed estere, qui). Ma in questa espressione
il parlante ordina al destinatario di praticare il sesso orale non a lui, ma ad altri.
Infatti, il “vafammocc” non è usato in modo assoluto. Spesso si indicano anche i destinatari (immaginari) dell’atto: a “ziet”, a “soreta”,  a “mammeta”, a “chi t’è mmuort” (a tua zia, a tua sorella, a tua mamma, ai tuoi defunti). Si infrange, insomma, un doppio tabù: si parla di sesso orale e lo si immagina per scopi incestuosi o addirittura necrofili.
Nonostante cotanta pesantezza, anche questa espressione è entrata nella cultura popolare: il rapper napoletano Uomodisu ne ha fatto una canzone, “Vafammock”: ha avuto più di un milione di visualizzazioni. Notevole, per un modo di dire così pesante.

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I mille modi di dire “bunga bunga” https://www.parolacce.org/2017/11/14/vocabolario-atti-sessuali/ https://www.parolacce.org/2017/11/14/vocabolario-atti-sessuali/#respond Tue, 14 Nov 2017 10:28:53 +0000 https://www.parolacce.org/?p=13218 Ho fatto un giro di giostra. Me la sono fatta. L’ho battezzata. Ho inzuppato il biscotto. L’ho aperta come una cozza…. Quando si parla di un rapporto sessuale, si usano espressioni colorite. Molte, però, non sono il massimo della gentilezza:… Continue Reading

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T-shirt goliardica di Fermento Italia (Lecce).

Ho fatto un giro di giostra. Me la sono fatta. L’ho battezzata. Ho inzuppato il biscotto. L’ho aperta come una cozza….
Quando si parla di un rapporto sessuale, si usano espressioni colorite. Molte, però, non sono il massimo della gentilezza: sono verbi nel migliore dei casi goliardici, ma spesso crudi e a volte offensivi per le donne.
Perché è così? Quanti modi abbiamo per descrivere l’atto sessuale? Ci sono metafore più efficaci di altre? E cosa svelano sul significato dell’erotismo?
Tempo fa, avevo fatto un censimento degli appellativi dei genitali: ne era emerso un quadro ricchissimo (avevo trovato 744 nomi per il pene, 595 per la vulva), e quel  post è diventato uno dei più letti di questo sito.
Ora ho esaminato le parole sugli atti sessuali: a quanto ne so, è il primo censimento (meglio: analisi semantico-statistica) di questo genere in Italia. E anche in questo caso il risultato è stato sorprendente: in italiano – escludendo le espressioni dedicate a  masturbazione, rapporto orale e anale – abbiamo 987 termini per designare l’amplesso, da “annaffiare” a “zappare” (in quel senso lì).
Sono circa 1/3 di tutto il lessico erotico. E rivelano due modi fondamentali con cui intendiamo il sesso: come piacere condiviso, o come atto di sopraffazione. Uno scenario che si registra non solo nella cultura italiana, ma anche in altre lingue: inglese, francese, portoghese, spagnolo, tedesco, russo, greco (vedi box più sotto)… Ora scopriremo perché.

Censimento a luci rosse

Doppio senso provocatorio uscito su “Libero”.

Ma prima di approfondire questo punto, val la pena raccontare come sono arrivato a questo risultato. Per censire tutte le parole del sesso ho consultato il monumentale “Dizionario storico del lessico erotico” di Valter Boggione e Giovanni Casalegno (Tea/Utet, 1999). Un’opera che tiene conto di tutti, ma proprio tutti i termini sessuali usati in 8 secoli di letteratura italiana: dalle metafore alle allusioni, dai termini arcaici a quelli moderni, dagli eufemismi infantili ai termini scientifici, fino alle espressioni più volgari.

Gli autori, con pazienza certosina, hanno catalogato le espressioni a seconda del tipo di metafora usata: “Da quando ha raggiunto la civiltà, l’uomo si è scontrato con la necessità di nominare l’innominabile” scrive Boggione. “Per far questo, ha fatto innanzitutto ricorso ai termini che gli erano messi a disposizione delle altre funzioni corporali: il mangiare e il bere, il dormire, il muoversi e il camminare; poi dalle attività quotidiane, il lavoro, la guerra, il divertimento”.

I risultati: movimento, lavoro e guerra

Le statistiche sulle metafore dell’atto sessuale (clic per ingrandire).

Per descrivere l’amplesso – clicca sulla torta qui a lato – si usano soprattutto le metafore ricavate da atti e movimenti (chiavare, ficcare:, 21,4%), dai lavori (scopare, seminare: 14,7%), e dalla guerra (dare un colpo, fare un giro di giostra: 9,6%). Questi tre tipi di metafore, insieme, rappresentano quasi la metà (45,7%) di tutte le metafore sul sesso. Ed è logico, dato che il sesso è un’attività dinamica.
Fra queste espressioni, possiamo approfondire quella più usata in italiano: “scopare” (che è l’8a parolaccia più pronunciata, come scrivevo in questo altro articolo).
In questa espressione, il pene è paragonato a una scopa, e l’organo femminile come locale da ripulire. Questa immagine era già stata usata nell’antica poesia greca (Saffo, Anacreonte) e nella commedia classica di Aristofane. Ed è riapparsa in italiano fra fine ‘400 e inizio ’500, nella tradizione dei canti carnevaleschi toscani. All’epoca si usavano anche altre metafore: nettare, ripulire, spazzare, rimonare. Inizialmente il complemento oggetto di questi verbi era l’organo femminile (designato con immagini tipo “cameretta”); solo negli ultimi due secoli poi avrà come complemento oggetto la donna (“Ho scopato quella tipa”).
Come nel canto rinascimentale “Scope, scope, o bone gente”: “Queste scope allo spazzare non faran polvere niente; se sapete pur menare con la scopa destramente (…)  Se la donna con destrezza nostra scopa adopra piano, averà tal contentezza che restar mai vorrà invano”.

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METAFORE SESSUALI

TIPI DI METAFORE QUANTITA’ % SUL TOTALE
azioni (farsi, maneggiare) 27 2,7
alimentazione (infornare, inzuppare, pestare, pappare) 79 8,0
cura del corpo (fregare, grattare, pettinare) 17 1,7
abbigliamento (alzare la gonna) 5 0,5
atti e movimenti (sbattere, montare, pestare, chiavare, trapanare, ficcare, impalare, sfondare) 211 21,4
sonno (giacere, andare a letto) 19 1,9
desideri (starci, soddisfare, darsi) 41 4,2
proprietà (possedere, usare, ingrufare) 25 2,5
vita sociale (conoscersi, accompagnarsi, amarsi, fare l’amore) 91 9,2
guerra (dare un colpo/una botta, fare un giro di giostra, ficcare) 95 9,6
lavori (annaffiare, arare, pompare, seminare, scopare) 145 14,7
piaceri (ruzzare, trastullarsi, trombare) 86 8,7
vita morale (libidinare, fornicare, peccare) 46 4,7
natura (beccare, cavalcare, uccellare, montare, ingroppare, deflorare) 80 8,1
altre voci (fottere, picciare, sveltina) 20 2,0
TOTALE 987 100

COME SI DICE ALL'ESTERO

Inzuppare il biscotto: una metafora sessuale sia in spagnolo che in italiano.

I modi linguistici di descrivere l’amplesso hanno ispirato una giovane brianzola, Laura Mangone, 28 anni. Si è laureata all’Accademia di Design di Eindhoven (Paesi Bassi) con una tesi su questo argomento: ha raccolto una serie di espressioni crude sull’atto sessuale in varie lingue, e le ha rappresentate in disegni (sono visibili sul suo sito sexpressions), per mostrarne la carica offensiva Alcuni esempi?

  • In spagnolo far l’amore si dice “Ti misuro il livello dell’olio” (Te mido el aceite) o “Ti taglio come un formaggio” (Te parto como un queso)
  • in portoghese, le crude espressioni “Affogare l’oca” (Afogar o ganso) e “Aprire il granchio” (Abrir o caranguejo)
  • in inglese,Lanciare il missile di carne” (Launching the meat missile) o “Sbattere il salmone” (To smack the salmon) o “L’ho avvitata” (I screwed her)
  • in greco, il cruento “Ho strozzato il coniglio” (πνιγω το κουνελι)
  • in rumenoL’ho gonfiata come un palloncino” (Am umflat-o)
  • in tedesco, lingua poco incline alle volgarità: “Ho fatto entrare il treno” (Den zug einfahren lassen)
  • in francesePiantare un giavellotto nella moquette” (Je plante le javelot dans la moquette), forse per alludere all’eccezionalità del risultato
  • in austriacoDemolire la casa” (das haus abreißen), “Ripulire la cantina” (ihre kantine putzen) o “Nascondere la banana” (die banane verstecken).

«Con questi modi di esprimerti ti abbassi come persona» dice Laura. «La donna è trattata  come oggetto e non come soggetto, in una prospettiva maschilista. C’è un io che fa qualcosa ma mai un noi». La posizione, come vedremo qui sotto, non è nuova. Ma va inquadrata in un’ottica più ampia: lo scontro fra natura e cultura. Per capirlo, dobbiamo analizzare i verbi dell’amplesso.

Sesso transitivo e sesso intransitivo

L’antropologo Ashley Montagu definisce “fottere” un verbo transitivo per il più “transitivo” degli atti umani:  i verbi transitivi sono quelli in cui il verbo non esaurisce l’azione in sé ma la estende su un “oggetto” (“Ho scopato Maria”).
Così ho voluto verificare quanto siano diffusi i verbi nel vocabolario italiano dell’erotismo: ne ho trovati 593, pari al 60,1% del totale dei lemmi. Quando si tratta di descrivere l’atto sessuale, insomma, i verbi sono i più usati rispetto ai sostantivi (botta, colpo, coito, amplesso).

Pubblicità contro corrente: è la donna che “si fa” l’uomo.

Ma sono tutti transitivi questi verbi? In realtà, quelli usati nelle espressioni meno volgari sono proprio i verbi intransitivi: fare sesso, fare l’amore, andare a letto insieme, avere un rapporto, accoppiarsi, copulare. Non sono nemmeno verbi a sè stanti, ma espressioni idiomatiche costruite associando un sostantivo o un aggettivo a un ausiliare. Non descrivono un cambiamento (fatto o subìto) ma sono azioni simmetriche: Mario ha fatto l’amore con Lucia o Lucia ha fatto l’amore con Mario (per quanto anche i verbi transitivi volgari ammettono questa simmetria: una donna può dire “Ho scopato con Mario”). Nei verbi intransitivi si descrive un’azione volontaria comune, come in ballare, parlare, lavorare. Nei modi di dire accettabili, quindi, il sesso è un’attività, dalla modalità non specificata, a cui  due persone si dedicano insieme.

Vista questa importante distinzione, ho cercato di calcolare quanti fossero transitivi e quanti intransitivi, ma i confini fra le due categorie sono labili. E i verbi transitivi (scopare) possono essere usati sia con un complemento oggetto (ho scopato qualcuno) ma anche in senso assoluto (ho scopato). Come criterio, ho classificato come transitivi anche i verbi che ammettono costruzioni intransitive.
Detto questo, comunque, i verbi transitivi sono la grande maggioranza: sono il 76,5% dei verbi, e il 46% del totale dei lemmi, contro il 14,1% dei verbi intransitivi (vedi box qui sotto).
Le metafore sui piaceri, il sonno e l’alimentazione hanno percentuali simili di verbi sia transitivi che intransitivi. Insomma, quando si pensa al sesso in questi termini, c’è una “par condicio” uomo-donna: è un’attività in condivisione, alla pari.

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TRANSITIVI E INTRANSITIVI

VERBI TRANSITIVI % SULLA CATEGORIA VERBI INTRANSITIVI % SULLA CATEGORIA
azioni 4 14,8 6 22,2
alimentazione 21 26,6 22 27,8
cura del corpo 9 52,9 1 5,9
abbigliamento 5 100,0 0 0,0
atti e movimenti 138 65,4 12 5,7
sonno 6 31,6 5 26,3
desideri 19 46,3 6 14,6
proprietà 16 64,0 2 8,0
vita sociale 26 28,6 15 16,5
guerra 37 38,9 20 21,1
lavori 102 70,3 7 4,8
piaceri 15 17,4 17 19,8
vita morale 16 34,8 9 19,6
natura 37 46,3 11 13,8
altre voci 3 15,0 6 30,0
TOTALE 454  46,0 139 14,1
TOTALE VERBI 593 (60,1% sul totale dei lemmi)

Fare sesso = sfruttare o danneggiare?

Nelle espressioni volgari, i verbi sessuali hanno quasi sempre un soggetto maschile. E il soggetto è la parte attiva. E se la donna è l’oggetto, come viene modificata dall’azione? Per rispondere, osserva Steven Pinker, psicolinguista ad Harvard, basta ricordare alcuni modi di dire: “l’ho fottuta”, “l’ho presa in culo”. «Queste espressioni» scrive nel libro “Fatti di parole” «rivelano che fare sesso significa sfruttare o danneggiare qualcuno».

Copertina di Internazionale: è la traduzione letterale di una dell’Economist.

La scrittrice femminista Andrea Dworkin, famosa per il suo attivismo contro la pornografia e la tesi secondo cui ogni rapporto sessuale è uno stupro, ha collegato il linguaggio scurrile all’oppressione delle donne. Nel 1979 scriveva (in “Pornography: men possessing women”): «Scopare implica che il maschio agisca su qualcuno dotato di minore potere, e tale giudizio di valore è così radicato, fino in fondo implicito nell’atto, che chi è scopato è bollato… Nel sistema maschile il sesso è il pene, il pene è potere sessuale, usarlo per scopare è virilità».
Non tutte le donne, però, la pensano così. Nel libro “Dimmi le parolacce: l’immaginario erotico femminile”, la scrittrice statunitense Sallie Tisdale dice: «“Scopare”: ormai ho sentito usare questa parola così tante volte in accezioni semplicemente descrittive, che mi sembra la possibilità più neutra, ben spesso più precisa e meno impegnativa dell’espressione “fare l’amore” che riempie la bocca, o dell’assurdo “andare a letto”. Una mia amica, l’altro giorno, mi ha lasciato allibita dicendomi che lei e il marito, quella mattina, avevano “avuto un rapporto carnale”. Mi ero quasi dimenticata di quell’espressione».

Le due facce del sesso

Che fare dunque? In realtà, sottolinea Pinker, verbi transitivi e intransitivi sono due facce della stessa medaglia. «Esprimono due modelli di sessualità ben diversi. Il primo, quello dei verbi intransitivi, ricorda i manuali di educazione sessuale: il sesso è un’attività, non meglio specificata, cui si dedicano insieme due partner su un piano di uguaglianza. Il secondo, quello dei verbi transitivi, riflette una visione più fosca, a cavallo fra la sociobiologia dei mammiferi e il femminismo stile Dworkin: il sesso è un atto di forza promosso da un maschio attivo che ricade su una femmina passiva, sfruttandola o danneggiandola. Entrambi i modelli esprimono la sessualità umana in tutta la sua gamma di manifestazioni, e se il linguaggio è la nostra guida, il primo è approvato per il discorso pubblico, mentre il secondo è tabù, anche se è ampiamente riconosciuto in privato».

Campagna osè di un candidato alle comunali di Torino 2011: alla fine fu “spazzato” lui, prendendo solo lo 0,37% dei voti.

Insomma, in questi due modi di descrivere il sesso si cela l’eterno dissidio fra natura e cultura. I verbi transitivi sono tabù perché descrivono in modo concreto, nudo e crudo, l’atto sessuale, mostrandone il lato animalesco (da cui vorremmo prendere le distanze); i verbi intransitivi, invece, sono considerati più accettabili perché nascondono l’atto sessuale offrendone una descrizione vagaparitaria e disinfettata.
Un dissidio inevitabile, tanto più che le prospettive maschile e femminile sono opposte anche biologicamente: una
ricerca recente ha scoperto che i centri cerebrali che controllano il sesso e l’aggressività sono separati nelle femmine ma sovrapposti nei maschi.  Questo è stato riscontrato nei topi, ma è plausibile che sia così anche per gli uomini. Ma anche trascurando questo aspetto, nella sessualità maschile e femminile c’è una differenza di fondo: la donna può rimanere incinta, e questo rende il suo approccio verso il sesso meno goliardico e superficiale rispetto a quello degli uomini.

Come uscirne? Una possibile soluzione arriva dalla Francia, dove amoreggiare si dice, in modo onomatopeico, fare “tactac boumboum”: si salva la concretezza dell’atto, ma al tempo stesso la si descrive solo nel suo aspetto acustico. Proprio come avviene nella nostra espressione “fare zum zum”. A questo punto, si potrebbe rivalutare anche il berlusconiano “bunga bunga”.

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Modi di dire del piffero https://www.parolacce.org/2017/09/26/significati-linguistici-pene/ https://www.parolacce.org/2017/09/26/significati-linguistici-pene/#comments Mon, 25 Sep 2017 22:01:08 +0000 https://www.parolacce.org/?p=12991 Lo scrittore Italo Calvino aveva lodato la sua “espressività impareggiabile”, che non ha eguali nelle altre lingue. Aveva ragione: la parola “cazzo”  non è solo la parolaccia più pronunciata in italiano (come raccontavo qui). E’ anche una delle parole più… Continue Reading

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“Le più belle frasi di Osho”, un sito umoristico.

Lo scrittore Italo Calvino aveva lodato la sua “espressività impareggiabile”, che non ha eguali nelle altre lingue. Aveva ragione: la parola “cazzo”  non è solo la parolaccia più pronunciata in italiano (come raccontavo qui). E’ anche una delle parole più ricche di significati: indica non soltanto l’organo sessuale maschile, ma, a seconda dei contesti,  può significare errore, ostacolo, affare, nulla, noia, arrabbiatura, forza…. E può esprimere un’ampia gamma di emozioni: rabbia, sorpresa, irritazione, affetto, disprezzo, provocazione… Insomma, è un vero jolly linguistico.
Tutti questi significati si sono accumulati in diverse frasi idiomatiche, nelle quali cazzo e i suoi derivati (scazzo, incazzarsi, cazzone, etc) significa tutto tranne che pene. Facciamo un esempio: “E che cazzo! Sei proprio un cazzone, mi hai rotto il cazzo con le tue richieste del cazzo, col cazzo che ti rispondo. Fatti i cazzi tuoi e vedi di toglierti dal cazzo altrimenti mi incazzo!”. Pur nella sua ripetitività, è molto più incisiva rispetto alla sua traduzione forbita: “Sono esacerbato! Sei proprio un irresponsabile, mi hai infastidito con le tue richieste assurde, non ti rispondo per niente. Fatti gli affari tuoi e vedi di andartene via, altrimenti mi arrabbio”.

Il “vino del cazzo”, bevanda per goliardi.

In questo articolo ho riunito tutti questi modi di dire: ne ho raccolti 37 (vedi tabelle qui sotto) ma è probabile che l’elenco sia ancora più lungo. Il che, come dicevo prima, mostra la polisemia (stratificazione di significati) di questa parola: l’unica altra parolaccia altrettanto ricca di sensi è “culo”, come raccontavo qui. Quindi, se qualcuno afferma che “dire parolacce è segno di povertà linguistica”, potrete rispondergli che è un cazzaro.
E questo accade anche in altre lingue: per esempio in russo (l’equivalente huy è usato in molti modi di dire simili all’italiano) e in brasiliano (con caralho, come raccontavo qui). Altre lingue, invece, preferiscono diverse espressioni sessuali: fottere, in inglese (fuck: per esempio, e che cazzo si dice “What the fuck”) e in messicano (chingar). Mentre il francese e lo spagnolo preferiscono la vulva (rispettivamente coi termini con e coño):  in francese “testa di cazzo” si dice “con” o “connard”, e in spagnolo “che cazzo dici” è reso con “Que coño dices?”.

“Cuore”, settimanale satirico.

Grazie a questo ampio ventaglio di significati, non stupisce che il termine cazzo (qui avevo raccontato la sua origine) abbia un enorme successo, e non da ora. La usava anche un intellettuale del calibro di Giacomo Leopardi, nel 1800 (nelle lettere al fratello Carlo scriveva ad esempio: “la vera letteratura non vale un cazzo con gli stranieri!”), fino al celebre “Vada a bordo, cazzo!” che il colonnello Gregorio De Falco urlò indignato a Francesco Schettino quando aveva fatto affondare la Concordia.
E’ per questo che, come cantavano i Gem Boy (gruppo demenziale bolognese) in un canzone del 2002 “siamo peggio di Cicciolina, l’abbiamo in bocca da sera a mattina”. Ovviamente, il titolo del brano è “Canzone del cazzo”, ed è una rassegna, in musica, dei modi di dire basati sull’organo genitale:

Se leggete la lista qui sotto, comunque, un dato salta all’occhio: pur nelle sue numerose varianti, cazzo ha per lo più significati negativi. Significa problema, contrattempo, errore, menzogna, cosa da nulla, errore… Al contrario, il sesso femminile esprime invece più significati positivi (figo, figata, etc).

Un altro fotomontaggio umoristico dal sito di Osho.

Un contrasto che fa riflettere: nonostante il maschilismo della nostra cultura, alla fine la prevalenza del sesso femminile è netta. In passato si pensava perfino che la vulva non fosse solo simbolo di vita e di fecondità, ma avesse anche il potere di scacciare le sciagure e i nemici, come raccontavo qui.
Perché abbiamo dato al pene tanti significati simbolici negativi? Difficile dirlo: credo che questa scelta sia stata frutto del caso. Come ho detto sopra, infatti, questo tipo di significati possono essere espressi sia con l’organo maschile che con quello femminile e, in generale, con l’atto sessuale. Perché la nostra evoluzione culturale ci ha portati a vedere con un certo disprezzo, dall’alto al basso, il nostro lato più istintivo e animalesco. Senza contare che il sesso è un veicolo eccezionale per esprimere le emozioni più forti.

Dopo questa premessa, ecco i 37 modi di dire del cazzo. Li ho riuniti per affinità di significato nei riquadri qui sotto, divisi in 5 categorie: cosa da nulla, forza, problema, enfasi, parte sensibile.

[ clicca sul + per aprire i riquadri ]

COSA DA NULLA, BRUTTA, SBAGLIATA
cazzata affermazione stupida, errata o priva di senso (“dice / spara / fa cazzate”);

azione sconsiderata, pericolosa, dannosa (“Ha fatto veramente una cazzata!”).

cazzaro, cazzarone, cazzataro persona che dice cazzate, cioè cose stupide, errate, false, senza senso
cazzone persona stupida, irresponsabile o incompetente (anche se si crede capace).
un cazzo niente: nelle locuzioni “non me ne frega un cazzo”,”non ho capito un cazzo”, “non vale un cazzo”,  “non vedo un cazzo”, “non sento un cazzo”
cazzeggiare perdere tempo in attività insensate, oziose, giocose, scherzose, infantili
a cazzo / a cazzo di cane lavoro o oggetto fatto in modo errato, a casaccio, svogliato, maldestro, sconclusionato, superficiale, senza cura né criterio
del cazzo/quel cazzo di…. di nessun valore, importanza o interesse: “questo è proprio un film del cazzo”;

da niente, stupido, assurdo: “ha un atteggiamento del cazzo”, “è un divertimento del cazzo”;

spiacevole, pessimo, bruttissimo: “è una situazione del cazzo” “è stata una giornata del cazzo”;

maledetto, importuno, molesto: in locuzioni esclamative esprime forte disappunto o irritazione: “spegni quella radio del cazzo!” (o quella cazzo di radio)

fancazzista perditempo, lavativo, pigro, svogliato, inconcludente: colui che non fa un cazzo
faccia di cazzo persona sgradita, antipatica a prima vista

persona brutta

persona sfacciata (come “faccia di bronzo”).

grazie al cazzo “grazie per niente”: reazione provocatoria o indispettita  a un’affermazione ovvia e inutile.  
‘sti cazzi “non me ne importa nulla, chi se ne frega, non mi riguarda”: in risposta a un’affermazione esagerata, o di scarsa importanza. (Da non confondere con “Me cojoni”, come raccontavo qui). E’ diverso da “sto cazzo” (v. sotto)
testa di cazzo persona (uomo o donna) stupida, ignorante, stolta, irresponsabile, priva di raziocinio, totalmente refrattaria a qualsiasi tentativo di migliorarla o farla ragionare. Può essere enfatizzato con un aggettivo rafforzativo: “è un’emerita/grandissima testa di cazzo”.
supercazzola nonsenso, parola senza senso usata in scherzi e gag
sa il cazzo non lo sa nessuno, chissà, vai a saperlo
FORZA, ABILITA'
cazzuto persona dotata di attributi virili, sia in senso morale (coraggioso, abile, capace) che in senso fisico (robusto, forte, sessualmente dotato)
cazzo cazzo persona presuntuosa, prepotente, inutilmente tronfia:, “camminava cazzo cazzo” (vedi anche “‘sto cazzo”)
controcazzi eccellente, magnifico, coi fiocchi: “una pizza con i controcazzi”
cazziare sgridare, rimproverare aspramente
cazziata / cazziatone pesante rimprovero
cazzimma persona egoista ed arrivista,cinica, senza scrupoli, lunatica e dispettosa. Talvolta il termine ha un significato positiva: atteggiamento risoluto, segno di forte personalità, pur incurante dei danni che può arrecare agli altri
incazzarsi, incazzatura arrabbiarsi, infuriarsi, perdere il controllo di sè, arrabbiatura
incazzato arrabbiato, furibondo
incazzoso persone nervosa, facile al litigio
scazzarsi litigare, irritarsi: “Mi sono scazzato con Carlo“

avvilirsi, abbattersi, annoiarsi, deprimersi, demotivarsi: “Mi hai proprio scazzato”

scazzo litigio

noia, fastidio, indolenza, abbattimento

‘sto cazzo persona presuntuosa, prepotente, inutilmente tronfia: “si sente ‘sto cazzo” (si sente chissà chi, ma invece non è nessuno)
PROBLEMA, OSTACOLO, AFFARE
cazzi problemi, preoccupazioni (ho i miei cazzi, sono cazzi), affari (“mi faccio i cazzi miei”, “fatti i cazzi tuoi”). “Piovono cazzi”: ci aspettano problemi in abbondanza.

In dialetto romanesco l’espressione “e mo so’ cazzi” indica l’arrivo di problemi, di situazioni o di conseguenze spiacevoli e corrisponde all’italiano “adesso sono guai”.

cazzi amari, cazzi acidi, cazzi da cagare, cazzi per il culo gravi problemi e preoccupazioni

ENFASI
cazzo / oh cazzo / e che cazzo! esclamazione di rabbia, meraviglia, sorpresa, delusione, disappunto
che cazzo vuoi, dove cazzo vai è un rafforzativo, e sta a sottolineare la rabbia di chi pronuncia questa frase: vuol dire semplicemente che cosa vuoi, dove vai
alla faccia del cazzo! esclamazione di stupore, di sorpresa, sinonimo di “càspita”, “perbacco”, “accidenti”, “non l’avrei mai detto”, o semplicemente di “alla faccia!”
col cazzo per niente, neanche per idea, non se ne parla proprio, figurati: è usato come rafforzativo provocatorio ed enfatico di un diniego “Col cazzo che ti presto 100 euro”
chi cazzo se ne frega / me ne sbatto il cazzo anche in questo caso è un rafforzativo che enfatizza il supremo disinteresse di chi pronuncia la frase
PARTE SENSIBILE
cacacazzo o cagacazzo o cacacazzi / rompicazzo persona che dà fastidio o crea problemi ,  persona che dà fastidio o crea problemi, che rompe le scatole, che disturba quando non dovrebbe
cacare / cagare il cazzo sinonimo più volgare di “rompere le scatole” (Mi hai rotto il cazzo = mi hai veramente scocciato); in senso passivo significa invece “mi sono stufato, seccato, annoiato”
rompere il cazzo dare fastidio in maniera insopportabile a qualcuno
stare sul cazzo / darmi sul cazzo essere di fastidio a qualcuno, rompere le “scatole”, essere una persona insopportabile e decisamente non gradita.
levarsi dal cazzo

detto a chi “sta sul cazzo”, a chi dà fastidio; invito a farsi da parte, a scomparire, a togliersi dai piedi.

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51 modi creativi di mandare a quel paese. In tutte le lingue https://www.parolacce.org/2017/07/25/maledizioni-modi-di-dire/ https://www.parolacce.org/2017/07/25/maledizioni-modi-di-dire/#comments Mon, 24 Jul 2017 22:21:25 +0000 https://www.parolacce.org/?p=12522 “Ti hanno mai mandato a quel paese? Sapessi quanta gente che ci sta…”. Così cantava Alberto Sordi, attore celebre – tra l’altro – per il gesto dell’ombrello fatto a un gruppo di operai nel film “I vitelloni” di Fellini: anche questo… Continue Reading

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Massimo Boldi mentre sfancula (dal film “Tifosi”).

“Ti hanno mai mandato a quel paese? Sapessi quanta gente che ci sta…”. Così cantava Alberto Sordi, attore celebre – tra l’altro – per il gesto dell’ombrello fatto a un gruppo di operai nel film “I vitelloni” di Fellini: anche questo è un modo di mandare a quel paese…
In questo articolo parlo di queste espressioni, tanto usate quanto poco conosciute: pochi sanno, infatti, che hanno una storia millenaria, perché derivano da antichi riti magici, i malefici. Sono l’equivalente linguistico del malocchio. Ed è per questo che sono presenti in tutte le lingue: più sotto (nei riquadri azzurri) ne elenco 51, in 12 lingue e 5 dialetti. Questo lungo elenco mostra quanto l’uomo può essere crudele, creativo e anche divertente  persino nei momenti di rabbia: quando si tratta di sfanculare, la fantasia umana non conosce limiti di immaginazione, a ogni latitudine.
Le maledizioni – questo il nome tecnico di questo genere di espressioni – come tutte le parolacce non sono semplici parole: sono azioni (atti linguistici come diceva il linguista John Austin), tanto che spesso le accompagniamo con gesti delle mani e delle braccia (come raccontavo qui, elencando i gestacci più usati in Italia). Ma quali azioni facciamo con queste parole?

Come funzionano le maledizioni

Tipica maledizione veneta (la spiego nel riquadro delle situazioni imbarazzanti; da memegen.it).

Le maledizioni non si limitano a sfogare la rabbia, come le imprecazioni (porca vacca!). E non ledono l’autostima e l’immagine di una persona, come gli insulti (stronzo!).
Per capire come funzionano le maledizioni, facciamo un esempio: “va all’inferno!”. Dicendo questa frase, facciamo due azioni: cacciamo via una persona, e la mettiamo (a livello immaginario) in una situazione sgradevole o dolorosa (la morte e la dannazione eterna). Le maledizioni, infatti, sono l’esatto contrario degli auguri (buona Pasqua) o delle benedizioni (che tu possa essere felice): mentre con questi si immagina un futuro piacevole per un’altra persona, con le maledizioni si prefigura una cattiva sorte. Insomma, si augura al massimo livello “buona sfortuna”. 
Queste espressioni infatti sono un modo non solo per allontanare qualcuno, ma esprimono anche un desiderio di vendetta: “tu mi hai fatto soffrire? Vattene via, e prova anche tu qualcosa di brutto”. Anche solo a livello mentale, immaginando una situazione spiacevole.
La maledizione, dunque si basa su una mentalità magica, per la quale la parola e l’immaginazione hanno il potere di influenzare la realtà. Queste espressioni, infatti, si basano sulla fede che l’augurio (negativo) indirizzato a qualcuno si realizzi davvero. Dunque, parlare equivale a fare un sortilegio, un incantesimo, un malocchio: è una forza ostile che si può indirizzare a qualcuno per sopraffarlo.


In questo esercizio di immaginazione, ci sono infinite varianti. Nei riquadri qui sotto ho riunito 51 maledizioni, non solo in italiano ma anche in diversi dialetti (romanesco, veneto, napoletano, milanese, siciliano) e in varie lingue del mondo (inglese, francese, portoghese, arabo, cinese, norvegese, olandese, russo…) e li ho aggregati per tipo: si va dalle maledizioni più “pulp” e crudeli (persino dopo la morte e contro i defunti) a quelle bonarie. Molti di questi modi di dire evocano immagini terribili, altre prospettano situazioni assurde: è un viaggio nelle fantasie più creative e divertenti. Si augurano non solo morte, malattie e dolori fisici (una specie di contrappasso dantesco), ma anche di restare impegnati in attività senza senso: raddrizzare le banane, mungere tori, pettinare le oche…
Insomma, leggendo queste espressioni potete arricchire la vostra tavolozza espressiva a seconda del gusto e della situazione. Ma ne esistono molte altre ancora: alcune le trovate nel mio libro, altre, se volete, potete segnalarle nei commenti a questo post.

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VIOLENZE SESSUALI
  1. VAFFANCULO (su questa celebre espressione trovate un approfondimento sulla sua origine qui), VAI A FARTI FOTTERE. Significa augurare una sodomizzazione, e ha  espressioni equivalenti in molte lingue, a dimostrazione che le metafore sessuali sono molto usate per esprimere emozioni forti: inglese (fuck off), francese (Va te faire foutre/enculer), spagnolo (vete a tomar por culo), brasiliano (vai tomar no cu), ungherese (baszon meg)

    Alberto Sordi fa il gesto dell’ombrello (dal film “I vitelloni”).

  2. FOTTITI. Che cosa vuol dire questa espressione? Potrebbe essere un invito alla masturbazione, ma secondo lo psicologo Steven Pinker, almeno in inglese (fuck you) potrebbe essere una contrazione di “God fuck you“, che Dio ti fotta. Ha anche un equivalente in tedesco (fick dich).
  3. VÀ A DÀ VIA I CIAP / VA A DÀ VIA IL CÙ (milanese) = vai a dare via le chiappe/il culo.
  4. VATTELA A PIJÀ ‘NDER CULO (DE RETROMARCIA) (romanesco) = vattela a prendere in culo (in retromarcia). Ha un equivalente in portoghese (Pau no cu, cioè cazzo in culo) e in ungherese (Baszon meg, possa qualcuno fotterti).
  5. ‘NCULO A SORETA/A MAMMETA (napoletano) = in culo a tua sorella/mamma; VAFFANCULO A MAMMETA E ‘NTA A FESSA E SORETA (napoletano) = vaffanculo a tua mamma e dentro la vulva di tua sorella. Offendere madri e sorelle, prefigurando che siano sodomizzate: tutte fantasie difficili da sopportare. Equivalente, ma iperbolica, la maledizione araba MILLE CAZZI NELLA FIGA DI TUA MADRE (Aleph Aeer Eb Koos Omak)
  6. VA’ A FOTTERE TUA MADRE: maledizione incestuosa in arabo (Kis em ick).
  7. UN CAZZO DI CAVALLO NEL TUO CULO: è un’espressione ungherese (Lofasz a segedbe). Avete presente le dimensioni?
  8. VAFAMMOCC A CHI T’È MUORT (napoletano) = vai a fare un bocchino a chi ti è morto. Terribile profanazione dei defunti!
  9. METTI LA TUA TESTA NELLA FIGA DI UNA MUCCA E ASPETTA FINCHÉ ARRIVA UN TORO A INCULARTI: lunghissima maledizione dal Sud Africa (Sit jou kop is die koei se kont en wag tot die bul jou kom holnaai)
VIOLENZE FISICHE, MALATTIE E ALTRI DANNI
  1. VAI ALLA MALORA = rovina. Ha un equivalente in messicano (mandar a alguien a la chingada, cioè mandare qualcuno a puttane).
  2. CHE DIO TI FULMINI / STRAFULMINI: ha origine dalla credenza dei pagani in Giove pluvio che lanciava fulmini sulla Terra.

    “Che Dio vi fulmini” (in romanesco): striscione allo stadio.

  3. CHE DIO TI MALEDICA / CHE TU SIA MALEDETTO. Si augura un destino rovinoso a una persona, per volontà di Dio stesso. Ha espressioni equivalenti in inglese (God damn you) e in arabo (Allah Yela’ an).
  4. CHE TE POSSINO CECATTE (romanesco) = accecarti. Si augura una grave e permanente menomazione fisica
  5. ACCIDENTI = che ti venga un accidente. Ha un equivalente in ungherese (A pokolba vele).
  6. MANNAGGIA = mal n’aggia, che tu abbia male
  7. VA GHETTA SANGU (siciliano) = vai a buttare sangue, ovvero che tu abbia una morte violenta per dissanguamento.
  8. VAI A GIOCARE A MOSCA CIECA IN AUTOSTRADA / SUI TETTI = vai a fare un’attività pericolosa dalla quale difficilmente uscirai vivo o incolume.
  9. VA A ONGES (milanese) = vai a ungerti. Si basa sulla credenza antica che la peste si prendesse a causa di misteriosi unguenti malefici che i malvagi spargevano sulle porte, sui muri, sulle cose
  10. CHE TI VENGA UN CANCRO: è una delle espressioni che nel volgarometro, un sondaggio fra i navigatori di questo blog, è risultata fra le più offensive in italiano.
  11. CHE TI VENGA UN COLPO: è una maledizione in tedesco (Den soll der schlag treffen).
  12. CHE TI VENGA IL COLERA: è un antico modo di dire olandese (krijg de keleren), retaggio di quando la malattia era diffusa.
  13. CHE TI VENGA UN’INFEZIONE ALL’UCCELLO: pesante maledizione araba (waj ab zibik), che probabilmente si riferisce alla gonorrea. Del resto ancora oggi in siciliano c’è l’esclamazione “Che camurria!” (= che seccatura) che deriva proprio dal termine gonorrea.  
MORTE E OLTRETOMBA
    1. La più celebre maledizione romanesca in versione inglese.

      VAI A QUEL PAESE / IN QUEL POSTO (= nell’aldilà, al cimitero= muori): è un modo eufemistico di augurare la morte a qualcuno. L’attore Alberto Sordi ha interpretato questo modo di dire in una celebre canzone ironica  “E va e va” (Te c’hanno mai mannato a quel paese, sapessi quanta gente che ce sta”)

    2. VAI AL DIAVOLO / ALL’INFERNO. Per chi crede nell’aldilà, si augura il tormento eterno nella vita ultraterrena. Ha espressioni equivalenti in olandese (Loop naar de hel), tedesco (hol’ dich der teufel), ungherese (Az ordog vigye).
    3. CHE IL DIAVOLO TI PRENDA. Anche questa frase fa leva sulla credenza nei diavoli e nell’inferno. Ha equivalenti anche in francese (Que le diable t’emporte), portoghese (Que o capeta carregue), danese (Fanden ta).
    4. VÀ A MORÌ AMMAZZATO (romanesco): vai a morire ammazzato.
    5. CHE TE POSSINO AMMAZZATTE (romanesco) = che possano ammazzarti. Può essere sintetizzato, in modo eufemistico, in “Te possino”.
    6. CREPA!  Dare l’ordine di morire è un assurdo, in realtà questo imperativo è in realtà un augurio (che tu possa crepare). In napoletano, infatti, si dice “Puozze schiattà”.
    7. CHE POSSA MORIRE TUTTA LA TUA FAMIGLIA: è una maledizione cinese (Hahm gaa chàan) e prefigura un’ecatombe familiare.
    8. LI MORTACCI TUA (romanesco) = i tuoi spregevoli defunti: la frase potrebbe essere una contrazione di “siano maledetti i tuoi spregevoli defunti”. Ha un equivalente in napoletano: “All’anm e chi t’è muort”, all’anima di chi ti è morto (abbreviato anche in “Chi te mmuort”) e in in arabo (Yin’al mayteen ehlak, siano maledetti i tuoi antenati).
    9. SPARATI! In questo caso, è davvero un ordine.
SITUAZIONI IMBARAZZANTI / RIDICOLE / ASSURDE
  1. CAGATI IN MANO E PRENDITI A SCHIAFFI: è un modo visionario di smerdare qualcuno.
  2. VAI IN MONA (veneto) = mona è la vulva: il detto significa quindi letteralmente “torna da dove sei venuto”, a cui si aggiunge lo sgradevole pensiero della vulva della propria madre.
  3. VAI A PETTINARE LE BAMBOLE / LE OCHE = a fare un’attività inutile e noiosa
  4. VA A CAGARE (SULLE ORTICHE) / VA A CAGHER (bolognese). A questa espressione ho dedicato un approfondimento qui. Il contatto con gli escrementi ha ispirato anche lingue, come lo spagnolo (vete a la mierda, vattene alla merda) e l’arabo (Khara alaik, che ci sia merda su di te).

    Versione goliardica (in bolognese) di “Keep calm”.

  5. VÀ SCUÀ L MAR CUN VERT L’UMBRELA (milanese)  = Vai a spazzare il mare con l’ombrello aperto. Impresa assurda e inutile, come le successive.
  6. VA A SCUÀ IN DUÈ CHE L’È NETT  (milanese) = Vai a scopare dove è pulito. Assurdo e inutile.
  7. VÀ SCUÀ L MAR CUN LA FURCHÈTA (milanese) = Vai a spazzare il mare con la forchetta. Provateci!
  8. VÀ A BAGG A SONÀ L’ORGAN (milanese) = vai a Baggio a suonare l’organo: nel quartiere milanese di Baggio c’è, in una piccola cappella votiva, un dipinto che rappresenta un organo, quindi si invita a fare una cosa impossibile.
  9. VÀ A MUNG AL TOR!  (milanese)  =  Vai a mungere il toro. Impresa non solo impossibile ma anche pericolosa.
  10. VÀ A TASTÀ I GAIJN  (milanese) =  Vai a tastare le galline. Impresa assurda oltre che difficile.
  11. VÀ A ‘DRISÀA I BANAN  (milanese)  = Vai a raddrizzare le banane. Impossibile correggere la natura! Almeno a mani nude…
  12. CHE POSSA CRESCERTI UN CAZZO IN FRONTE: immaginifica maledizione in russo (stoby u nego xuy na lbu vyros).
  13. UN MIGLIAIO DI CAZZI NELLA TUA RELIGIONE: maledizione araba (Elif air ‘ab tizak). La guerra santa si fa anche a colpi di maledizioni a sfondo sessuale.
  14. VAI A SCIARE IN UNA FIGA: maledizione finlandese (suksi vittuun). Evoca una situazione impossibile, per quanto interessante…  

MALEDIZIONI BONARIE
  1. Jean-Luc Picard (personaggio di Star Trek) con la maledizione bonaria in milanese (da memegen.it).

    VAI A FARTI BENEDIRE: una benedizione come maledizione… Sembra una contraddizione, ma è un modo per augurare la morte o un esorcismo.

  2. VAI A FARTI FRIGGERE: straordinaria fantasia culinaria!
  3. ATTACCATI AL TRAM: un tempo i tram avevano delle sporgenze esterne, utilizzabili come maniglie, che venivano utilizzate dai ritardatari che si “attaccavano” al tram in corsa. Questo valeva anche per tutti quelli che volevano viaggiare gratis
  4. VAI A RANARE (milanese) = vai a prendere le rane, compito non facile visto che saltano.
  5. VÀ A CIAPÀ I RATT (milanese) = Vai ad acchiappare i topi, impresa ancor più difficile a mani nude.
  6. VAI DOVE CRESCE IL PEPE: espressione norvegese (Dra dit pepper’ngror), è un modo per scacciare qualcuno lontano, visto che la pianta è di origine orientale.

Una storia millenaria

Come avrete notato, c’è una sorprendente corrispondenza fra i modi di dire di lingue anche lontane. Perché, come dicevo all’inizio, le maledizioni hanno una lunghissima storia. Un tempo, infatti, le maledizioni erano formule che si inserivano in un rito preciso. Gli antichi Greci (come anche gli ebrei, gli egizi e tutte le culture antiche) prendevano un’unghia o un capello del nemico, pronunciavano su di esso una formula di maledizione (“possa tu soffrire le pene più dolorose…”) e poi lo bruciavano o lo gettavano in un pozzo o in un fiume, con una tavoletta su cui era incisa la maledizione. Nella formula erano citati, con un crescendo meticoloso, tutti gli organi del nemico fino alla sua anima.

Il calciatore brasiliano Romario sembra mandare qualcuno a quel paese.

Lo storico inglese William Sherwood Fox spiega questo rito con una metafora postale: la tavoletta su cui era incisa la maledizione era la lettera; il pozzo, la buca per lettere; gli spiriti dei trapassati erano i postini; gli dèi degli inferi i destinatari; la formula di accompagnamento era il francobollo di posta prioritaria.
Centinaia di queste tavolette sono state ritrovate dagli archeologi: come ha scritto Sigmund Freud, “è una bella fortuna che tutti questi desideri non posseggano l’efficacia che gli uomini preistorici attribuivano loro, giacché altrimenti sotto il fuoco incrociato delle maledizioni reciproche l’intera umanità sarebbe già da gran tempo andata distrutta».
Un esempio – molto divertente – di maledizione all’antica è questo numero di cabaret di Antonio Albanese, qui nei panni del siciliano Alex Drastico, un tipo molto incazzoso. Ecco la sequela di disgrazie che Drastico augura al ladro che gli ha rubato il motorino (dal minuto 1:50): “Che si spenga in una notte tutta buia, mentre incrocia un grosso tir guidato da un camionista ubriaco, morto di sonno e per di più inglese, e che per questo tiene la sinistra….”

Mentalità superstiziosa

Le maledizioni, dunque, appartengono al regno dell’immaginazione: sono profezie rivolte al futuro, e si basano sull’effetto nocebo (il contrario del placebo): costringono il destinatario a fare un pensiero sgradevole, spingendolo ad avere aspettative negative sul proprio destino. E a volte ci si suggestiona al punto da fare davvero andar male le cose.
La nostra lingua (e molte altre, come abbiamo visto) sono piene di queste espressioni, che a volte non sono immediatamente riconoscibii: l’espressione “accidenti” è la contrazione di “che ti venga un accidenti”, “mannaggia” è la contrazione di “mal n’aggia”, cioè abbia male.

Mandare qualcuno a quel paese è come fargli un rito vudu (foto Shutterstock).

Del resto, nonostante ci professiamo razionali, viviamo ancora di superstizioni, anche in senso positivo.
per esempio, dire “buon mattino” significa indurre un’aspettativa positiva, soprattutto all’inizio della giornata, dato che fin dai tempi antichi si credeva che le prime ore del giorno fossero determinanti per il resto della giornata. E lo stesso valore hanno anche le espressioni “in bocca al lupo”, “buona fortuna“, “in culo alla balena“, etc.
La nostra letteratura è piena di maledizioni: basti dire che nella Bibbia (Genesi, 3:14-19) è Dio stesso a maledire il serpente che tentò Adamo ed Eva (“Poiché hai fatto questo, sii tu maledetto più di tutto il bestiame, sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita…”).
Volete approfondire? Trovate molti altri esempi e citazioni letterarie nel mio
libro.

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