sincerità | Parolacce https://www.parolacce.org L'unico blog italiano di studi sul turpiloquio, dal 2006 - The world famous blog on italian swearing, since 2006 - By Vito tartamella Wed, 08 Jun 2022 10:14:44 +0000 it-IT hourly 1 https://www.parolacce.org/wp-content/uploads/2015/06/cropped-logoParolacceLR-32x32.png sincerità | Parolacce https://www.parolacce.org 32 32 E’ nato lo yoga delle parolacce https://www.parolacce.org/2018/02/06/meditazione-e-turpiloquio/ https://www.parolacce.org/2018/02/06/meditazione-e-turpiloquio/#respond Tue, 06 Feb 2018 16:58:34 +0000 https://www.parolacce.org/?p=13794 Al posto del mantra, il vaffa. In Canada è nato lo yoga del turpiloquio: utilizza il potere liberatorio delle parolacce per condurre (dicono) alla pace interiore. Un modo moderno di fare meditazione? O un’abile strategia di marketing? L’approccio fa storcere… Continue Reading

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Lindsay-Marie Istace, fondatrice dello “Rage yoga” .

Al posto del mantra, il vaffa. In Canada è nato lo yoga del turpiloquio: utilizza il potere liberatorio delle parolacce per condurre (dicono) alla pace interiore. Un modo moderno di fare meditazione? O un’abile strategia di marketing? L’approccio fa storcere il naso ai puristi delle discipline orientali. Ma si sta diffondendo negli Usa, in Australia, e anche in Europa. Ed è comunque un fenomeno interessante, tanto più se si pensa che è stato lanciato da due donne.
Non è la prima volta che le parolacce sono usate a scopo terapeutico: tempo fa avevo raccontato (qui) la storia di alcune associazioni americane che usano lo slogan “fanculo il cancro” (fuck cancer) per dar forza ai malati nell’affrontare la malattia. Con lo yoga, invece, la patologia combattuta a suon di imprecazioni è lo stress.

A Prince George, in Canada, l’istruttrice di yoga Zandra Ross ha organizzato un corso intitolato “Pace attraverso le parolacce” (Peace through profanity program). Il ciclo di lezioni costa 135 dollari canadesi (87 euro) ed è riservato agli adulti: «Insegniamo le basi della meditazione e le tecniche dello stretching, l’allungamento muscolare. Il turpiloquio serve a sfogare lo stress e a creare un clima di confidenza e relax» spiega Ross. «E’ un modo per rendere più accessibile questa disciplina, spesso troppo seriosa. Dire parolacce insieme agli altri è un buon modo per rompere il ghiaccio e instaurare relazioni sociali: se tutti i partecipanti iniziano a sfanculare in libertà, si mettono a ridere e non si preoccupano più del loro aspetto fisico o della propria timidezza. L’idea del corso mi è venuta guardando un video che parla della meditazione onesta: le preoccupazioni, le ansie che ci attanagliano le chiamava col loro nome: stronzate».

Lindsay-Marie e il dito medio: una via di liberazione interiore?

In effetti, diverse ricerche (come raccontavo qui) hanno accertato che il turpiloquio è il linguaggio della sincerità. Ma mentre il corso di Zandra pare un’iniziativa estemporanea, c’è chi ha fatto del connubio fra meditazione e volgarità una nuova disciplina: lo Rage yoga, lo yoga della rabbia. L’ha inventato un’altra canadese, Lindsay-Marie Istace, istruttrice di yoga, contorsionista e mangiatrice di fuoco a Calgary.
Lindsay-Marie ha unito le tecniche del Vinyasa yoga (movimenti coordinati al respiro) a un linguaggio senza freni. I movimenti, infatti, sono eseguiti a un ritmo più lento e urlando volgarità. «La società ci impone di essere felici e di buonumore, ma è una stronzata» dice Lindsay-Marie. «Lo Rage yoga, invece, lavora con le nostre emozioni più oscure e spiacevoli: le fa venire a galla e aiuta a superare le difficoltà. L’ho vissuto sulla mia pelle dopo il fallimento di una lunga relazione sentimentale: stavo male, non riuscivo a fare gli esercizi perché la mia mente era distratta e non riuscivo a rilassarmi per la rabbia che avevo in corpo. Poi mi sono accorta che imprecare mi aiutava a rilassarmi: all’inizio mi sembrava sbagliato abbinare le parolacce alla pratica dello yoga, ma quando lo facevo mi accorgevo che mi sentivo meglio. Questo approccio mi ha aiutato molto a elaborare le mie emozioni negative in un modo sano. E quando, scherzando, raccontavo ai miei amici questo tipo di esercizi, qualcuno mi ha suggerito che avrei dovuto insegnarli in un corso. E così l’ho fatto, e sta avendo un grande successo. Se riesci a dar sfogo alla tua rabbia, urlando e dicendo parolacce, è più difficile prendersi sul serio. E così in pochi istanti si passa dalla rabbia alla risata».

Lindsay-Marie medita… e impreca.

Secondo Lindsay-Marie, questo approccio aiuta anche a togliere allo yoga un’aura di snobismo: «Molta gente è attratta dallo yoga ma è respinta dall’atmosfera pretenziosa che si respira in molte palestre. Noi, invece, mettiamo un pizzico di spontaneità e di humor per rendere tutto più spontaneo». In realtà la spontaneità è ben più di un pizzico: alcuni corsi sono tenuti in un bar di Calgary, e le sessioni di meditazione sono condotte, invece che col sottofondo di musica new age, al ritmo di musica metal, sorseggiando birra fra uno stretching e l’altro. Il corso di rage yoga costa dai 12 $ canadesi (7,7 € per le lezioni di gruppo al bar) ai 140 $ (90 €, corso individuale). E c’è anche una versione online.

Un modo pragmatico di diffondere la meditazione? O solo un’abile strategia di marketing? La scelta fa discutere. Secondo molti, è un modo occidentale di snaturare una disciplina che invece è pacifica. 

Uno dei movimenti dello rage yoga: le nozioni di base “cazzute”.

«Non pretendiamo che funzioni per tutti, ognuno può scegliere la forma di meditazione che preferisce» risponde Lindsay-Marie. «Questo yoga è un approccio alternativo per quelli che ne hanno bisogno: migliora la mobilità articolare, l’elasticità muscolare e il coordinamento mente-corpo. E in più riduce il dolore e l’ansia, migliorando l’umore».
In effetti, varie ricerche hanno dimostrato che imprecare aiuta a sfogare il dolore (vedi questo mio articolo) e ci rende più forti nell’affrontare gli sforzi fisici (altro articolo).
Critiche a parte, l’approccio sembra avere successo: oltre che in Canada lo rage yoga si sta diffondendo in Australia, Nuova Zelanda, Scozia, Germania (dove è stato girato il video qui sotto). Ed è diventato anche una forma di emancipazione femminile, al grido di “Pussy is power” (la passera è potere). Almeno il 70% dei praticanti dello yoga della rabbia, racconta Lindsay-Marie, sono infatti donne. I praticanti hanno età comprese fra i 20 e i 65 anni. «Tutta gente aperta e alla mano. E molti hanno un po’ di stronzate emotive represse da sfogare», racconta Lindsay, che si definisce “La signora dello yoga della rabbia” (The rage yoga lady”).
I progetti? A fine mese rilascerà, agli allievi che hanno 
fatto almeno 200 ore di pratica, i primi attestati di “Badass rage yoga instructor” ovvero di “cazzuto istruttore di yoga della rabbia”.

 

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Più sei volgare, più sei sincero https://www.parolacce.org/2017/01/20/piu-sei-volgare-piu-sei-sincero/ https://www.parolacce.org/2017/01/20/piu-sei-volgare-piu-sei-sincero/#respond Fri, 20 Jan 2017 15:17:16 +0000 https://www.parolacce.org/?p=11593 Chi è volgare è anche più sincero? Una ricerca internazionale, svolta da ricercatori delle università di Maastricht (Nl), Stanford (Usa), Cambridge (Uk) e Hong Kong, ha cercato per la prima volta di rispondere a questa domanda intrigante. Le parolacce, infatti,… Continue Reading

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Le parole volgari sono il modo più diretto per esprimere disappunto (elaborazione foto Shutterstock).

Chi è volgare è anche più sincero? Una ricerca internazionale, svolta da ricercatori delle università di Maastricht (Nl), Stanford (Usa), Cambridge (Uk) e Hong Kong, ha cercato per la prima volta di rispondere a questa domanda intrigante.
Le parolacce, infatti, non sono solo il linguaggio dell’odio (hate speech) ma anche quello della schiettezza e della confidenza: si usano per esprimere senza filtro le proprie emozioni (lo raccontavo anche qui a proposito dei dialetti) e anche fra amici, per dire “pane al pane e vino al vino” (“Lo sai che hai fatto una cazzata?”).
Ora, per la prima volta, questo aspetto del turpiloquio è stato indagato in modo scientifico, con una ricerca guidata dallo psicologo sociale olandese Gilad Feldmanha studiato il comportamento di oltre 73mila persone. Lo studio sarà pubblicato sulla rivista “Social psychological and personality science”.
Il risultato della ricerca? Le parolacce sono usate maggiormente dalle persone sincere. Il che è anche una sorpresa, dato che, di per sè, dire volgarità comporta violare una norma sociale: quella che ci impone di usare un linguaggio pulito

TRE ESPERIMENTI

Per misurare la correlazione fra sincerità e parolacce, i ricercatori hanno fatto 3 test.

  1. Il primo è stato un questionario rivolto a 276 persone (età media: 40 anni): i ricercatori hanno chiesto loro quante parolacce dicessero, quali erano le più usate, e hanno misurato il loro grado di sincerità con il test di Eysenck sulla personalità.  Risultato: chi era più onesto diceva anche più parolacce. E le diceva per lo più per esprimere le proprie emozioni in modo genuino, più che per offendere altri o violare le regole sociali.
  2. Il secondo esperimento ha allargato il numero di partecipanti, seppur in modo virtuale: i ricercatori infatti hanno reclutato 73.789 utenti di Facebook (età media, 25 anni) che avevano autorizzato un’applicazione, MyPersonality, a indagare i loro profili, i dati demografici e gli aggiornamenti di status per scopi di studio. Per analizzare questo sterminato gruppo di persone, gli scienziati hanno usato un software automatico di riconoscimento di testo, Liwc (Linguistic Inquiry and Word Count). Avevo già citato questo software quando avevo raccontato una ricerca sul turpiloquio in Twitter.

    Il quotidiano “Il tempo” critica la prestazione dell’Italia ai Mondiali senza giri di parole.

    Questo software è in grado di rilevare chi dice bugie analizzando la loro grammatica: i mentitori usano meno pronomi in prima e terza persona (io, me, lei, lui), e più parole ansiose (preoccupato, pauroso). Il motivo è che le persone insincere tendono inconsciamente a prendere le distanze dalle menzogne (e quindi da se stessi), ed esprimono più sentimenti negativi. Questo algoritmo si è rivelato abbastanza affidabile, o almeno più di noi uomini: riesce a smascherare il 67% dei bugiardi (noi solo il 52%). 
    E cosa è emerso applicando questo software agli utenti di Facebook? Prima di rispondere a questa domanda, i ricercatori hanno misurato quante parolacce scrivevano questi 73mila utenti, per vedere se c’era una correlazione fra la sincerità e l’uso delle parolacce. Risultato: volgarità e onestà sono risultati correlati in modo significativo: chi scriveva più parolacce era anche più onesto nel presentarsi nei propri aggiornamenti di status su Facebook.

  3. Il terzo esperimento ha cercato di indagare il legame fra sincerità e parolacce su scala sociale. I ricercatori hanno estrapolato gli statunitensi dal gruppo precedente, quello di Facebook, ottenendo un campione di 29.701 partecipanti, e suddividendoli per Stato di residenza. Poi hanno verificato la percentuale d’uso delle parolacce per ognuno dei 50 Stati, dall’Alabama al Wyoming. Poi, da un altro studio, la State integrity investigation, hanno ricavato i dati sull’onestà di ciascuno dei 50 Stati americani. E anche in questi casi i risultati hanno mostrato una relazione fra tasso di onestà e tasso di parolacce.
    Questo punto, però, mi pare il più debole di tutta la ricerca: innanzitutto perché la State Integrity investigation esamina non tanto la sincerità generale delle persone, quanto la loro corruzione: dunque, un aspetto circoscritto, con rilevanza penale, e per di più rilevato attraverso sondaggi a migliaia di esperti (vedi la loro 
    metodologia).
    Insomma, qui si mescolano dati oggettivi (il tasso di parolacce) e percezioni soggettive, e per di più con un’accezione diversa di sincerità: un conto è mentire per truffare e far soldi nella vita reale, un conto è mentire su Facebook per darsi un tono. E infatti anche i risultati della ricerca sono traballanti (clicca sul grafico sopra per ingrandirlo): è vero che Connecticut e New Jersey hanno un alto tasso di parolacce e di onestà, ma è anche vero che Mississippi e Tennessee, altri 2 Stati “onesti”, hanno un basso tasso di turpiloquio.

CONCLUDENDO

Storica copertina di “Cuore”, settimanale satirico.

Gli autori della ricerca, comunque, sono i primi a rendersi conto dei limiti della loro ricerca: “abbiamo trovato una correlazione fra onestà e uso di parolacce, ma questo non deve indurci a pensare che ci sia un legame di causa-effetto fra questi due fattori”. In pratica, affermare che “più dici parolacce, più sei sincero” (o viceversa) è un azzardo. In più, la sincerità delle prime 2 ricerche riguarda, come osservavo anch’io, più l’autopromozione della propria immagine che un comportamento immorale o disonesto.
In più, gli studi precedenti sul tema hanno dato risultati contrastanti: un’altra interessante ricerca aveva appurato che le persone accusate ingiustamente di aver commesso un delitto tendono a dire più parolacce rispetto ai sospetti colpevoli nel contestare le imputazioni che gli vengono attribuite. Ma è anche vero che uno studio del 2012 aveva appurato che  i mentitori usano di proposito le parolacce per apparire più sinceri. Il che ci appare evidente guardando l’uso che ne fanno i politici per apparire più genuini e vicini al popolo (come raccontavo qui).
Dunque come stanno le cose? In realtà, bisogna ricordare che le parolacce sono uno strumento linguistico che può essere usato per gli scopi più diversi: quindi, sia per mentire che per dire la verità. Anche se, concludono i ricercatori (e anch’io) di per sè il turpiloquio  è usato più spesso per esprimere schiettamente le nostre emozioni più forti. Anzi, sono nate proprio per questo.

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Che cosa sono le parolacce? https://www.parolacce.org/2016/05/26/definire-le-parolacce/ https://www.parolacce.org/2016/05/26/definire-le-parolacce/#comments Thu, 26 May 2016 12:45:52 +0000 https://www.parolacce.org/?p=10217 Cosa sono le parolacce? «Se nessuno mi chiede cosa sono, lo so. Ma se volessi spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so più…». Così diceva secoli fa Sant’Agostino a proposito del tempo. Ma l’osservazione vale anche per le parolacce:… Continue Reading

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Cosa sono le parolacce? «Se nessuno mi chiede cosa sono, lo so. Ma se volessi spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so più…». Così diceva secoli fa Sant’Agostino a proposito del tempo. Ma l’osservazione vale anche per le parolacce: definirle è difficile. Perché la parola escrementi si può dire ma merda no? Tette è una parolaccia? E perché marrano non è più un insulto?
Su questi temi argomenti c’è molta confusione. Ma sono temi appassionanti: me ne sono accorto nelle scorse settimane, quando su Twitter è nata un’accesa discussione con alcuni amici proprio su queste questioni. Ma se ne può uscire solo se si ha un’idea chiara di cosa siano le parolacce (foto Shutterstock).
Vocabolari ed enciclopedie, però, ne danno una descrizione sorprendentemente povera: il Sabatini Coletti, come molti altri, definisce la parolaccia come “parola volgare, sconcia, offensiva”. Corretto, ma questa descrizione non coglie l’essenza di queste parole speciali. Qual è il loro minimo comun denominatore? Quali caratteristiche deve avere una parola per essere considerata una parolaccia?

In questo post svelo la formula delle parolacce. Questa:

Parolaccia = limiti d’uso + (connotazione ∙ registro)

In generale, le parolacce sono parole vietate, o almeno hanno notevoli limiti d’uso: non si possono usare in qualunque momento e in qualunque contesto. Non si possono dire nelle situazioni pubbliche e formali: a scuola, sul posto di lavoro, in tribunale, alle cene “eleganti”… altrimenti rischiamo di passare per maleducati, cafoni, irrispettosi. Ma perché sono vietate? Il problema non sta tanto nei contenuti, nelle cose che dicono: le parolacce parlano di sesso (cazzo), religione (bestemmie), malattie (mongolo), metabolismo (merda), comportamenti (rompicoglioni), origini etniche (negro), ovvero degli argomenti più delicati connessi alla sopravvivenza e ai rapporti umani. Eppure, questi temi non sono tabù in assoluto:  posso dire glutei senza scandalizzare nessuno, ma divento offensivo se lo chiamo culo.
Dunque, l’aspetto nodale delle parolacce non sta in quello che dicono, ma come lo dicono: parafrasando Dante, “il modo ancor m’offende”.  

culo_e_camicia

Film di Pasquale Festa Campanile (1981).

E allora vediamo quali sono i “modi” delle parolacce. Dal punto di vista linguistico, hanno 2 modi che le rendono tali: la connotazione e il registroPartiamo dalla connotazione: è l’insieme dei valori affettivi, cioè delle emozioni che circondano una parola. Per esempio, la parola deserto significa di per sè un’area geografica disabitata e senza vegetazione (e questa è la denotazione); ma ha anche la connotazione, cioè il senso emotivo, di solitudine, isolamento, desolazione. Qual è, allora, la connotazione, l’alone emotivo delle parolacce?
Il turpiloquio può essere usato per esprimere le emozioni più diverse (ira, eccitazione, paura, gioia…), ma in generale le parolacce hanno una connotazione disfemistica: richiamano alla mente gli aspetti più sgradevoli di un oggetto. E’ l’esatto contrario degli eufemismi: mentre questi ultimi cercano di addolcire un pensiero sgradevole (“Non mi è molto simpatico”), i disfemismi vanno dritto al punto, senza imbellettare la realtà (“Mi sta sui coglioni”). Le parolacce sono un modo di dire la verità così com’è, in modo diretto: nuda e cruda.
Questo vale per tutte le parolacce rispetto ai loro corrispettivi neutri: “pene” è più accettabile perché è un termine a bassa carica emotiva e immaginifica, mentre “cazzo” evoca l’immagine del sesso in tutti i suoi particolari. Le parolacce, in particolare, hanno connotazioni spregiativa (= esprimono disprezzo), offensiva (= squalificano qualcuno o qualcosa) o oscena (= parlano di sesso senza pudori).

diffSemLo psicolinguista Charles Osgood, per misurare la connotazione delle parole, ha ne identificato 3 dimensioni:
valutazione: buono/cattivo, bello/brutto, piacevole/spiacevole;
potenza: forte/debole, grande/piccolo, pesante/leggero;
attività: attivo/passivo, rapido/lento.
Le parolacce si trovano sul lato “oscuro” e negativo di questi assi: sono negative, cattive, brutte, spiacevoli, forti, grandi, pesanti, attive, rapide.

La connotazione è un aspetto importante: è l’aspetto dinamico delle parolacce, e delle parole in generale. Una parola può mantenere lo stesso significato, ma cambiare (acquisire o perdere) connotazioni nel corso della storia: in origine, per esempio, la parola negro non aveva una connotazione spregiativa (significava solo “scuro”) ma l’ha acquisita nell’ultimo secolo, diventando un insulto. Al contrario, invece, la parola marrano (= ebreo convertito), un tempo offensiva, oggi è diventata una parola arcaica e inoffensiva. E la parola islamico, di per sè neutra, sta acquisendo una connotazione spregiativa (come sinonimo di terrorista).
Ma non basta la connotazione per fare una parolaccia: ladro ha senz’altro una connotazione spregiativa ma non per questo è una parolaccia. Dunque, la connotazione disfemistica è una condizione necessaria ma non sufficiente. Per generare una parolaccia occorre abbinare alla connotazione un altro ingrediente: il registro.

Cos’è il registro? E’ lo stile del linguaggio: può essere forbito, letterario, burocratico, colloquiale… Le parolacce cadono nel registro basso, volgare, popolare, ma anche in quello gergale, colloquiale, informale. In pratica, il turpiloquio è il tipo di linguaggio che usiamo nel parlato, quando ci rivolgiamo ad amici, familiari, persone con le quali abbiamo un rapporto di confidenza; il linguaggio “da strada”, “da osteria”, “da caserma”. Un linguaggio che diventa inappropriato nei contesti formali, ufficiali, solenni.
I registri danno una miriade di sfumature che consentono di esprimerci in contesti diversi: lo stesso concetto, infatti, può essere modulato in molti modi.

registro

scientifico

registro

neutro

registro

infantile

registro

popolare, colloquiale

registro

volgare

registro

gergale, dialettale

feci, sterco, deiezioni  escrementi pupù, cacca merda, stronzo
testicoli palle, balle coglioni
mammelle seno, petto  ciucce, tette pere, bocce, meloni tette, poppe  zinne, zizze
amplesso, rapporto sessuale fare l’amore, fare sesso trombare scopare, chiavare, fottere, sbattersi, farsi fare zum zum, bombare, schiacciare
fxtv02

Campagna di tv Fx: gioca sul doppio senso delle “pere”.

Insomma, anche le parolacce hanno “50 sfumature di grigio”, ma anche di arancione, verde, blu…: sono una straordinaria tavolozza espressiva. Ed è difficile tracciare una linea di confine netta fra un’espressione colloquiale e una volgare: spesso sono percezioni soggettive, che variano da una persona a un’altra. O da un momento a un altro.
L’
unico criterio-guida, per classificare una parola come parolaccia, è l’esistenza di un limite d’uso: chiamereste “tette” il seno se andate a fare una mammografia? No. Allora è una parolaccia (anche perché evoca in modo diretto, onomatopeico, l’atto del succhiare), per quanto a basso tasso di offensività. Non tutte le parolacce, infatti, hanno la medesima forza: alcune possono scandalizzare (pensate alle bestemmie), altre sono bonarie (sciocco).
Ecco perché, anni fa, avevo lanciato il volgarometro, la prima indagine che ha misurato la diversa forza offensiva di oltre 300 insulti. Ho riassunto i risultati del sondaggio in questo poste chi vuole approfondire  può leggere qui una versione accademica appena pubblicata dall’Università della Savoia di Chambéry (Francia). Certamente, l’intero registro volgare è classificabile come parolaccia, ma non vale il contrario: le parolacce non si esauriscono nel solo registro volgare (ma ce ne sono anche in quelli gergale, popolare, etc).

In questo scenario, c’è una sola eccezione: le profanità, ovvero i termini sacri usati a scopi profani. “Madonna!”, “Cristo”, o “Della Madonna” non sono di per sè parolacce, ma usate come esclamazioni o rafforzativi lo diventano. Del resto, le parolacce – ovvero il profano – seguono le stesse regole del sacro: “non nominare il nome di Dio invano”. Anche le parolacce, come le parole del sacro, vanno dette con cautela, sono sottoposte a censure e tabù.
E infatti è probabile che le prime forme di turpiloquio siano state le blasfemie, le bestemmie, o anche i giuramenti nei quali le divinità erano tirate in ballo come testimoni e garanti nelle questioni terrene: “per Giove, giuro che non ho rubato quei soldi!”. E così l’uso improprio, l’abuso ha dissacrato i nomi sacri.
Ma c’è anche un’altra eccezione: alcune parole apparentemente “innocue” ma in un certo senso magiche. Hanno il potere di trasformare  in parolacce qualunque cosa tocchino… Quali sono? Ne parlo in questo post. Restate sintonizzati! 

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Lotta ai tumori: è arrivato il “vaffa day” https://www.parolacce.org/2016/01/21/vaffa-cancro/ https://www.parolacce.org/2016/01/21/vaffa-cancro/#respond Thu, 21 Jan 2016 22:17:55 +0000 https://www.parolacce.org/?p=9065 C’è una nuova arma contro i tumori: le parolacce. Per anni la parola “cancro” faceva così paura da essere impronunciabile: lo si chiamava, con un eufemismo, “brutto male”, “male incurabile”, “grave malattia”. Insomma, era quasi una parolaccia. Da qualche tempo, invece,… Continue Reading

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FuckCancer

Il sito della Fondazione “Fuck cancer”: fotti il cancro.

C’è una nuova arma contro i tumori: le parolacce. Per anni la parola “cancro” faceva così paura da essere impronunciabile: lo si chiamava, con un eufemismo, “brutto male”, “male incurabile”, “grave malattia”. Insomma, era quasi una parolaccia. Da qualche tempo, invece, si è inaugurata una strategia opposta: parlarne apertamente. E ora in America sono arrivati al terzo passo, osare l’inosabile: mandare il tumore affanculo. Il fenomeno non si può liquidare come una semplice goliardata: perché è un grido di battaglia che mobilita oltre 500mila persone, celebri attori come Stephen Amell e un merchandising che ha fruttato oltre 2,2 milioni di dollari in raccolta di fondi...
E allora bisogna esaminare il fenomeno seriamente: come nasce? E’ una via efficace, quella che propone? Arriverà anche in Italia?

In parte, diciamolo, è una scelta di marketing: scegliere un nome scioccante è un modo efficace per emergere fra le numerose associazioni di volontariato che competono in cerca di fondi. Un pragmatismo all’americana, fatto di vendita online di gadget ed eventi. Ma il fenomeno è interessante per un altro motivo: testimonia un cambio epocale nel rapporto fra malato e malattia.
Oggi , infatti, il tumore non è sempre sinonimo di condanna a morte. Perciò affrontarlo a viso aperto può aiutare i pazienti a superare le ansie e affrontare le terapie, spesso molto impegnative. E’ anche per questo motivo che molti personaggi pubblici (da Emma Bonino a Oliver Sacks, da Kylie Minogue a Nancy Brilli), quando scoprono di avere la malattia escono allo scoperto. Fanno “coming out“: ne parlano nelle interviste, per attivare la solidarietà degli altri, e soprattutto per darsi forza, guardare la realtà in faccia, chiamare le cose col loro nome. Tanto che oggi il rapporto dei malati col tumore non è più passivo: si parla, anzi, di “lotta al tumore“, spesso qualificato come un “nemico” da affrontare con coraggio.
E allora diventa logico fare il passo successivo: se il cancro è un nemico, perché non insultarlo apertamente? In Canada e negli Stati Uniti, infatti, stanno fiorendo diverse associazioni di volontariato che hanno scelto di chiamarsi “Fuck cancer“, ovvero “Fanculo il cancro” (ma anche il diabete, l’Alzheimer…). E hanno avuto un enorme successo in termini di iscritti e di fondi raccolti.

La nuova tendenza è decisamente insolita. Pochi giorni fa raccontavo in un post le 13 campagne sociali più volgari: a volte, una parolaccia può aiutare a scuotere l’opinione pubblica. Ma un conto è una campagna pubblicitaria, che ha un inizio e una fine, e un conto è scegliere di stare sempre sotto i riflettori chiamandosi con un nome volgare: donereste il 5 x 1000 a un’associazione che si chiama “Fanculo il cancro”?  Chiamereste il suo centralino per chiedere aiuto o consigli? Vi assocereste? La scelta è decisamente insolita, perché impegno sociale e parolacce, almeno sulla carta, non vanno d’accordo: chi dice parolacce, dicono le ricerche, risulta più schietto e simpatico ma perde autorevolezza. E questo non aiuta chi fa dell’impegno sociale la propria bandiera. Eppure, con la giusta dose di ironia e idealismo, un nome pesante può far decollare un’associazione invece di zavorrarla. Già lo psicoanalista ungherese Sàndor Ferenczi, aveva contestato l’invito di Freud a usare, con i pazienti, solo i termini medici per parlare di sesso. «In diversi casi, con questo procedimento non si ottiene niente: il paziente resta inibito e aumentano le sue resistenze», diceva Ferenczi. Meglio usare le parolacce, insomma. E uno psicoanalista contemporaneo, l’argentino Ariel Arango, si è spinto oltre: «Nessuna terapia psicanalitica può avere successo se il paziente non permette a se stesso di usare le parole oscene. Un paziente che parla della propria vita usando termini scientifici non rivela nulla della propria storia personale, ma si limita a fare un riassunto freddo e impersonale come un libro di medicina». Dunque, le parolacce – parole emotive immediate e schiette – possono essere non solo liberatorie ma anche terapeutiche. Del resto, una ricerca ha dimostrato che dire parolacce aiuta a sopportare il dolore.

IL SURFISTA
BRANDON-MCGUINNESS-FUCK-CANCER

Brandon McGuinness, fondatore di FuckCancer.org

La prima associazione ad adottare questa nuova filosofia è nata negli Stati Uniti, a Huntington Beach nel 2005. E’ la Fondazione “FuckCancer” (sfancula il cancro, fotti il cancro), fondata da Brandon McGuinness, un surfista californiano affetto da linfoma di Hodgkin: voleva aiutare altri malati di tumore ad affrontare la lotta contro questa durissima malattia con uno slogan diretto. «Le cose accadono per un motivo, e la mia ragione è stata di dare aiuto agli altri malati di cancro, e prendermi il tempo di capire perché sono qui su questa terra. Così cerco di fare del mio meglio per vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo. Devo tenermi in movimento».
McGuinness morì 2 anni dopo, a soli 26 anni d’età, ma l’associazione continua ad esistere tuttora e ha mantenuto il nome originale, che campeggia sulle T-shirt (ma anche borse, cappelli, occhiali) vendute per sostenere la Fondazione. Fra le sue diverse attività promuove la diagnosi precoce dei tumori e supporta i malati e le loro famiglie ad affrontare la malattia attraverso la gioia, la speranza, l’ispirazione e il coraggio (organizzando manifestazioni e spettacoli negli ospedali). La fondazione ha oltre 284mila “like” su Facebook. Non sappiamo, però, perché Brandon abbia scelto un nome così forte per la sua Fondazione: forse in un impeto di rabbia, di ribellione, o di ironia. Di certo l’ha aiutato la giovane età: da sempre le parolacce sono il linguaggio della ribellione giovanile.  

braccialet

Susan Fiedler e i braccialetti con lo slogan “Fuck cancer”.

LA DISEGNATRICE DI GIOIELLI

Una risposta più rivelatrice arriva dalla fondatrice di un’altra associazione benefica simile: Susan Fiedler, una designer di gioielli canadese di Vancouver. Nel 2008, quando ha scoperto di avere un tumore (un linfoma anche nel suo caso) ha creato una linea di braccialetti d’argento con inciso lo slogan “Fuck cancer, embrace life“, ovvero “Fotti il cancro, abbraccia la vita”.
In breve tempo i braccialetti sono diventati una linea di gioielli con marchio registrato, che servono a finanziare un’associazione impegnata nella lotta ai tumori: negli ultimi 7 anni è riuscita in questo modo a raccogliere 200mila dollari (i braccialetti d’argento ne costano 50, ma ci sono anche anelli e braccialetti d’oro: da 900 a 2.500 $). Corrispondono a 4mila braccialetti venduti: i fondi hanno finanziato 3 centri che forniscono cure mediche, Inspire Health. E l’associazione ha oltre 21mila “like” su Facebook.
Perché “fotti il cancro”? La scelta è sorprendente perché è stata fatta da una donna: di solito, il mondo femminile è più restio alle volgarità. «Le grandi battaglie hanno bisogno di grandi parole» scrive la Fiedler sul sito dell’associazione. «Vivere con un cancro richiede coraggio, consapevolezza di sè e quella fonte segreta di potere che si chiama senso dell’umorismo. Vogliamo condividere una visione della vita che consiste nel guardare in faccia la paura e trasformare una diagnosi di cancro in un abbraccio ispirato alla vita, raccontando le cose per quello che sono». Coraggio, humor, sincerità: le parolacce, in effetti possono aiutare a esprimere questi sentimenti.

L’idea del braccialetto, racconta Fiedler, le è venuta guardando il bracciale che un amico aveva comprato in una moschea indiana. Aveva inciso un verso del Corano per proteggere chi lo indossa. Così a Susan è venuta in mente l’idea di creare un braccialetto: «Dopo tutto, io sono un designer di gioielli; quale modo migliore per esprimere quello che avevo passato? Che ci crediate o no,”‘Fanculo il cancro” è stata la prima frase protettiva che mi è venuta in mente. Non perché sia scioccante o oscena, ma perché era onesta, impertinente – e divertente! “Fanculo il cancro” rivelava che il cancro non aveva ucciso la mia anima ribelle e audace… Le persone che avevano vissuto con il cancro hanno capito al volo il messaggio: era quello che tutti provavamo ma nessuno aveva il coraggio di dire. E mi piaceva l’idea di condividere questi sentimenti con altri che sceglievano di indossare il bracciale. Ho capito che quell’oggetto sarebbe stato un formidabile volano per raccogliere fondi e aprire un dialogo. Qualcosa di forte e bello».
Dunque, se le parolacce sono le parole delle emozioni, ma anche della sincerità e dell’aggressività, possono funzionare anche nell’affrontare un tumore, un “nemico” da combattere. Non solo. La parolaccia può avere anche un effetto magico: “Fanculo il cancro” è più di uno slogan, è una maledizione basata sulla fede nel potere delle parole. Ci si fa forza augurando il male al cancro, credendo che questa frase avrà effetto sulla realtà. Un cambio radicale di prospettiva, comunque: da malati-vittime a malati-protagonisti. O esibizionisti?  Si passa dalla totale impotenza a un senso di onnipotenza: ugualmente sbagliato, ma forse può attivare una reazione attiva che può portare a un’accettazione più equilibrata della malattia.

MARCHI CONTESI E TESTIMONIAL
Amell

Stephen Amell testimonial di Letsfcancer.

L’iniziativa ha funzionato, tanto che in Canada sono nate altre associazioni esplicite, come Letsfcancer (fottiamo il cancro, al plurale) con annessa vendita di T-shirt a 25 $ l’una. La charity è nata dalla fusione (nel 2015) di due enti: Fuck cancer, fondato nel 2009 da Yael Cohen Braun dopo che a sua madre era stato diagnosticato un tumore al seno; e F*ck Cancer, fondato da Julie Greenbaum nel 2010 dopo che sua madre era morta per un tumore alle ovaie. Le associazioni si occupano di prevenzione, diagnosi precoce e supporto psicologico ai malati.
A quanto pare, almeno in America, la volgarità solidale paga, anche economicamente: oggi Letsfcancer ha oltre 262mila “like” su Facebook. E in questi anni ha raccolto in tutto oltre 2 milioni di dollari vendendo T-shirt. Merito anche del supporto offerto da un celebre attore canadese che ha fatto loro da testimonial, Stephen Amell, attore della serie tv “Arrow”.
Il fenomeno ha persino scatenato dispute legali, racconta la linguista americana Nancy Friedman: quando i fondatori di Letsfcancer (di Montreal) hanno cercato di registrare il marchio, la Fiedler gli ha fatto causa (ancora aperta).
La via era tracciata, e l’esempio ha contagiato anche altre associazioni americane che si occupano di malattie degenerative o croniche, come il diabete (“fuck diabetes“, una comunità su Facebook) e l’Alzheimer (“fuck alzheimers“).  

lilt2Di recente, tra l’altro, in occasione dei recenti lutti nel mondo dello spettacolo (David Bowie, Lemmy KilmisterAlan Rickman, tutti morti per tumore) il sito musicale GigWise ha twittato una foto delle 3 star col dito medio alzato e la dedica: “Caro cancro…”
Prenderà piede anche in Italia questo nuovo approccio alle malattie? Qualche segnale c’è: lo scorso autunno, come racconto qui, la Lilt (Lega italiana per lotta contro i tumori) ha posto il fiocco rosa – simbolo internazionale della lotta contro il tumore al seno – sul L.O.V.E., la celebre scultura del “dito medio” di Cattelan davanti alla sede della Borsa di Milano.
E di certo il nostro Paese è all’avanguardia in un altro campo: l‘impegno ecologico a colpi di parolacce. Nel prossimo post, infatti, racconto un’altra storia straordinaria: quella dell’associazione ecologista “Basta merda in mare“. Per quanto possa sembrare strano, anche grazie a questo nome dirompente è riuscita a vincere la battaglia contro l’inquinamento nell’Adriatico.

Questo post è stato ripreso da AdnKronos, Corriere della seraPanorama, il Tempo, Sassari Notizie, Arezzo Web, Catania OggiAffari Italiani, ilMeteo.it e Focus.it.

LE REAZIONI: POTENZA, IMPOTENZA O ONNIPOTENZA?

SoleScopro – in ritardo – che nell’inserto “Domenica” del “Sole 24 ore” un attento lettore, lo stimato collega Armando Massarenti, ha dedicato un interessante e critico commento a questo post nella rubrica “Il graffio” del 31 gennaio. Lo ringrazio perché mi dà l’occasione per approfondire meglio un argomento ricco di sfumature e delicatissimo.
Scrive Massarenti: “Dire che mandare a quel paese il cancro possa avere un effetto contro la malattia denuncia solo la nostra impotenza e la nostra necessità di sperare e di illuderci quando ci troviamo di fronte all’imponderabile. Che poi forse è, più in piccolo, ma con prospettive meno tragiche , la stessa impotenza di quando, nella vita di ogni giorno, imprechiamo o diciamo parolacce”.
Sono d’accordo: le parolacce sono spesso l’espressione della nostra impotenza. Quando ci schiacciamo il dito con un martello, l’imprecazione che ci esce dalla bocca è un urlo di impotenza. Ma ci aiuta ad esprimere un dolore che altrimenti sarebbe inesprimibile. E questo ci fa sentire meglio: ci fa sentire meno impotenti.
La parolaccia è senz’altro un’illusione, ma un’illusione efficace. E’ come l’effetto placebo. E, come il placebo, funziona: come hanno accertato alcune ricerche, imprecare aiuta a sopportare meglio il dolore. E questa non è impotenza: è un potere.
Per quanto riguarda i tumori, però, non ho affermato che il “vaffa” “possa avere effetto contro una malattia” così tragica. Ho raccontato, invece, l’effetto che ha sulla psiche dei malati: la parolaccia può aiutarli a uscire da un senso di totale impotenza. Così, almeno, raccontano i pazienti (e i loro familiari) che hanno fondato queste associazioni, incontrando un notevole seguito in America. Anche questo non mi pare poco.
Come tutte le illusioni, certamente, anche la parolaccia va maneggiata con cautela: bisogna ricordarsi come stanno le cose, e che una malattia non la si può sconfiggere con un’imprecazione (altrimenti si passerebbe dal senso di impotenza a quello di onnipotenza, altrettanto pericoloso). Ma mi pare comunque notevole che un “vaffa” aiuti tante persone a sentirsi meglio.
Fosse anche solo un modo per portare un senso di vitalità dove c’era solo un senso di morte.
Fosse anche solo un modo per sdrammatizzare il presente.
Fosse anche solo una stampella che aiuta a fare il primo passo verso un’accettazione più equilibrata e realista della malattia: in ogni caso, mi sembrano prove di potenza – e non solo di impotenza – della parolaccia.
Che poi si possa arrivare agli stessi risultati anche per altre vie: vero anche questo. La parolaccia può essere un placebo, ma di certo non è una panacea.

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