spagnolo | Parolacce https://www.parolacce.org L'unico blog italiano di studi sul turpiloquio, dal 2006 - The world famous blog on italian swearing, since 2006 - By Vito tartamella Fri, 29 Nov 2024 12:23:57 +0000 it-IT hourly 1 https://www.parolacce.org/wp-content/uploads/2015/06/cropped-logoParolacceLR-32x32.png spagnolo | Parolacce https://www.parolacce.org 32 32 La mamma è sempre la mamma (anche negli insulti) https://www.parolacce.org/2024/05/09/lista-insulti-alla-madre/ https://www.parolacce.org/2024/05/09/lista-insulti-alla-madre/#comments Thu, 09 May 2024 18:00:25 +0000 https://www.parolacce.org/?p=20478 E’ una delle offese più potenti che esistano. Perché colpisce la persona più importante del nostro mondo affettivo: la mamma. E non solo in Italia, nota per essere una cultura di mammoni: questo genere d’offesa è diffusa nelle altre lingue… Continue Reading

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Striscione offensivo dei tifosi del Pescara contro quelli dell’Ascoli

E’ una delle offese più potenti che esistano. Perché colpisce la persona più importante del nostro mondo affettivo: la mamma. E non solo in Italia, nota per essere una cultura di mammoni: questo genere d’offesa è diffusa nelle altre lingue romanze (francese, spagnolo, portoghese, rumeno), in inglese e nelle lingue dell’est, dal russo al cinese, oltre all’arabo e diverse altre.
In italiano gli insulti alla madre sono una quarantina ed esprimono una fantasia molto malevola. Perché sviliscono, con immagini ripugnanti o sessuali, la figura più sacra: la persona che ci ha trasmesso la vita. Un colpo dinanzi al quale nessuno può restare indifferente: come ha ricordato papa Francesco (paragonando il sentimento religioso con l’attaccamento alla madre), «Se il dottor Gasbarri, un grande amico, dice una parolaccia contro la mia mamma, lo aspetta un pugno. E’ normale». Come diceva il comico toscano Francesco Nuti «Te la mi’ mamma tu la lasci stare, va bene?».

Questo genere di insulti ha influenzato non soltanto i modi di dire, ma anche le culture: le battaglie rap consistono spesso nell’improvvisare rime offensive sulla madre di un’altra persona (“yo mama…“, “tua madre…“), in una sfida che rappresenta non solo un duello linguistico e simbolico, ma è anche un rito di affiliazione fra giovani, come racconterò più avanti. Pensate che in russo il gergo volgare si chiama proprio “Mat”, termine che deriva dalla stessa radice di “madre” (dall’espressione “yob tvoyu mat”, «fotti tua madre»).

Battaglia rap a suon di insulti alla madre: è uno show in Australia

Nella nostra lingua gli insulti alla madre sono più numerosi nei dialetti, per lo più del Sud: in italiano ci sono 5 espressioni, contro le 36 fra: napoletano (11), veneto e friulano (8), sardo (6), toscano (3),  pugliese (3),  siciliano e calabrese (2) e lombardo (1). Un’ulteriore prova che si tratta di offese molto antiche: infatti le dicevano anche Cicerone e Shakespeare. Degno di nota il fatto che prevalgono le espressioni di tipo incestuoso: rappresentano metà delle locuzioni censite.

Gli insulti alla madre sono uno dei 4 temi universali (cioè diffusi in ogni cultura) delle parolacce insieme agli insulti fisici, alle espressioni oscene e ai termini escrementizi. E sono offese del tutto particolari perché colpiscono una persona non direttamente, ma offendendone un’altra: una sorta di vendetta trasversale. Una strategia molto efficace, visto il rapporto così intimo e profondo con la figura materna. Insomma, la mamma è anche…. la madre degli insulti.
Come nasce questa usanza? E come si manifesta, in italiano e in altre lingue?

Figlio di… 

Locandina di Eleazaro Rossi, comico.

L’espressione “figlio di puttana”, con le sue diverse varianti, è presente in tutte le lingue: inglese (son of a bitch), francese (fils de pute, Ta mère la pute), tedesco (hurensohn), spagnolo (hijo de puta), portoghese (filho da puta), rumeno (Fiu de curvă) arabo (Ibin Sharmootah: la puttana di tua madre), russo (Сукин сын). In cinese si usa l’espressione 王八蛋wáng bā dàn) che significa letteralmente “uovo di tartaruga”: dato che la tartaruga abbandona le uova dopo averle covate, l’espressione denota un figlio di madre ignota (mignotta per l’appunto: vedi sotto), nato da una relazione extraconiugale. Ma ci sono anche due altre spiegazioni: un tempo si pensava che le tartarughe concepissero solo con il pensiero, rendendo impossibile ricostruire la paternità della prole (dunque, in questo caso, “figlio di padre ignoto”). Oppure, secondo un’altra interpretazione ancora, all’origine dell’espressione c’è la somiglianza fra la testa della tartaruga che esce dal guscio e il glande  che emerge dal prepuzio: l’espressione indica quindi una donna che ha perso la virtù.

In spagnolo esistono anche altri modi pittoreschi per dirlo: “anda la puta que te pari” (Torna dalla prostituta che ti ha partorito) e “tu puta madre en bicicleta”, ovvero “tua madre puttana in bicicletta”.

In Italiano è una delle espressioni considerate più offensive dopo le bestemmie (e a pari merito con “succhiacazzi”), secondo la mia ricerca sul volgarometro. Ed è l’offesa che raccoglie più denunce e processi, secondo uno studio.

Perché? Per motivi giuridici, sociali e psicologici.

[ per approfondire, apri la finestra cliccando sulla striscia blu qui sotto ] 

BASTARDI E ILLEGITTIMI
 

Film del 2003. L’espressione significa “avere una natura cattiva”

In passato, i figli delle prostitute (e in generale quelli nati fuori dal matrimonio) erano disprezzati: la struttura sociale si basava sulle coppie matrimoniali ufficiali, nelle quali – fino all’avvento dei test genetici – era più immediato stabilire l’appartenenza sociale e i diritti ereditari, dato che “Mater semper certa est, pater numquam” (“L'[identità della] madre è sempre certa”, quella del padre no). E proprio dall’impossibilità di accertare in modo oggettivo la paternità è nata l’ossessione per il controllo sul sesso femminile: la moralità della donna era l’unica condizione per assicurare stabilità sociale e ordine. I figli nati fuori dal matrimonio erano visti come una minaccia a questo ordine, poiché potevano complicare le questioni di eredità e le alleanze familiari.

Nel mondo antico erano considerati “bastardi” (altro termine offensivo legato alle figure genitoriali) i figli di coppie conviventi, quelli nati da una prostituta o frutto di una relazione adulterina o incestuosa. Questi figli, denominati “illegittimi”, erano penalizzati nell’ambito del diritto successorio (non potevano ereditare il patrimonio dei genitori), erano esclusi dalle cariche pubbliche, non potevano svolgere alcune professionisposare persone appartenenti ai cosiddetti mestieri onorabili. In più, per la religione, il sesso al di fuori del matrimonio era considerato immorale, e di conseguenza, i figli nati da queste unioni erano  stigmatizzati come prova visibile di un comportamento peccaminoso.

E questa prospettiva è arrivata fino ai tempi moderni: in Italia solo dal 1975 con la riforma del diritto di famiglia i figli nati fuori dal matrimonio acquisirono gli stessi diritti dei figli “ufficiali”. E solo dal 2012 è sparita, con la riforma della filiazione, la legge 219, la distinzione fra “figli legittimi” e “figli naturali”.

Questo genere di insulti sono un retaggio della cultura patriarcale? Secondo Francine Descarries, femminista e docente di sociologia all’Université du Québec à Montréal, la risposta è sì: «Le donne sono sempre state considerate proprietà degli uomini, siano esse figlie, mogli o madri. Attaccare la madre significa contaminare la proprietà dell’uomo. Quindi, quando insultiamo la madre di un uomo, attacchiamo i suoi beni, proprio come i suoi vestiti o la sua casa».

La testata di Zidane a Materazzi: l’artista algerino Adel Abdessemed ne ha fatto una statua.

In effetti, ricordate perché Zinedine Zidane diede una testata a Marco Materazzi, giocandosi così la finale dei Mondiali di calcio 2006? Perché Materazzi gli aveva detto: “Non voglio la tua maglia, preferisco quella puttana di tua sorella.
L’ipotesi ha del vero: nessuno nega il peso del maschilismo nella nostra cultura. Tuttavia, in questo caso, c’è una ragione molto più immediata, come evidenzia la psicologia: la madre è l’affetto più profondo che abbiamo, la fonte delle nostre sicurezze, le nostre radici. Non solo gli uomini, ma anche le donne si sentirebbero offese se qualcuno denigrasse la loro madre. E, in ogni caso,
insultare i familiari di qualcuno è, in generale, un’offesa pesante: tant’è vero che in napoletano si offende non solo la madre (“mamm’t”), ma anche la sorella (“soreta”), il padre (“patete”), o il fratello (“frateto”).  Toccare i rapporti di sangue, quelli più stretti, fa sempre male. Del resto, non condividiamo con loro parte del nostro patrimonio genetico?

Gli insulti alla madre sono molto antichi: già Plutarco, nella “Biografia di Cicerone” ricorda la battuta di quest’ultimo a Metello Nepote che gli chiedeva “Chi è tuo padre?”. Cicerone gli rispose: “Nel tuo caso,” disse Cicerone, “tua madre ha reso la risposta a questa domanda piuttosto difficile.”

E nel “Timone d’Atene” William Shakespeare inserisce questo dialogo:

PITTORE – Sei un cane!

APEMANTO – Della mia stessa razza è tua madre: che altro potrebbe essere quella che ha fatto te, s’io sono un cane?

 

MODI DI DIRE

In questa categoria ho censito 11 espressioni:

“5 figli di cane”, film di gangster del 1969

♦ figlio della colpa: figlio nato al di fuori del matrimonio, fra conviventi o adulteri 

♦ figlio della serva: persona considerata inferiore per nascita e trattata di conseguenza, anche in modo sgarbato e villano. Usato soprattutto in senso figurato per chi viene emarginato da un gruppo, o trattato con minor considerazione rispetto agli altri.

♦ figlio di nessuno: trovatello, o figlio naturale. Era usato anche come insulto o con valore spregiativo. In senso figurato, anche bambino molto trascurato dai genitori.

♦ figlio di puttana (dal latino puta, fanciulla) / di troia (femmina del maiale, sozza fisicamente e moralmente) / di zoccola (femmina del topo di fogna, notoriamente prolifica. Ma può derivare dal fatto che nel 1700 le prostitute dei quartieri spagnoli indossavano le stesse scarpe vistose, con alti zoccoli, delle nobildonne, che li usavano per non sporcare di fango le loro vesti) / di baldracca (da Baldacco, antico nome di Baghdad. Era anche il nome di un’osteria di Firenze frequentata dalle meretrici) / di mignotta (un tempo molte madri naturali non intendevano riconoscere legalmente i propri figli, e non davano il loro nome all’anagrafe; questi bambini erano pertanto registrati come “figli di madre ignota”, che abbreviato in “M.Ignota” ha dato luogo al termine “mignotta” con valore d’insulto) / di bagascia (dal francese bagasse,  “serva” o “fanciulla”) 

♦ figlio d’un cane: l’espressione è equivalente a “figlio di puttana”, ma aggiunge una valenza spregiativa il riferimento all’animale (considerato inferiore all’uomo) considerato vile, crudele e comunque inferiore all’uomo. In inglese “son of a bitch” significa letteralmente “figlio di una cagna”: i cani sono disprezzati per il fatto di avere rapporti sessuali davanti a tutti e con partner diversi

In napoletano:

♦ figlio’ e’ ntrocchia: figlio di puttana. La parola ntrocchia deriva dal latino “antorchia”, torcia: nell’antichità le prostitute giravano di notte in strada con una torcia accesa per attirare clienti. L’equivalente di “lucciola”, insomma. L’espressione può essere usata anche in senso ammirativo (vedi prossimo riquadro)

♦ chella puttan ‘e mamm’t: quella puttana di tua madre

In veneto, friulano:

♦ tu mare putana: tua madre puttana

♦ tu mare grega: “grega” significa “greca”, donna straniera: spesso le prostitute dei bordelli erano di origine straniera, e in friulano “grego” designa anche una persona infida, doppia 

In siciliano:

♦ ‘dra pulla i to matri: quella puttana di tua madre

♦ figghiu d’arrusa / buttanazza: figlio di puttana

DA INSULTI A COMPLIMENTI

L’attore Samuel L. Jackson fa spesso il motherfucker, un tipo tosto.

L’espressione “figlio di puttana”, oltre a indicare i figli delle prostitute, designa anche una persona spregevole e priva di scrupoli che compie azioni disoneste: i figli delle prostitute, del resto, crescevano per strada, o senza un’educazione, e spesso vivevano di espedienti per riuscire a cavarsela.
Al punto che l’espressione “figlio di puttana” (e in napoletano “figl ‘e ndrocchia” e “figl ‘e bucchino”) può essere usata, in modo scherzoso, anche come complimento: indica chi riesce a cavarsela nelle situazioni difficili grazie a un’abilità spregiudicata. E questo vale anche per l’espressione spagnola de puta madre”, di madre puttana, che però è usata come rafforzativo enfatico: equivale al nostro “della Madonna”, “cazzuto”, “molto figo”, “da paura”: come dire, figlio di una madre spregiudicata e tosta. Anche l’espressione inglese “motherfucker” (letteralmente: uno che si fotte la madre, ovvero “uno capace di fottere sua madre”) significa
“persona meschina, spregevole o malvagia” o si può riferire a una situazione particolarmente difficile o frustrante. Ma può essere usato anche in senso positivo, come termine di ammirazione, come nell’espressione badass motherfucker (acronimo: BAMF), che significa ”persona tosta, impavida e sicura di sé”.

Arma letale: le espressioni incestuose

In spagnolo la “concha” è la conchiglia, ma qui significa vulva.

Gli insulti alla figura materna possono utilizzare una variante se possibile ancora più offensiva: quella che evoca la sessualità della madre. Giocano, cioè, sul tabù dell’incesto, il più forte e antico: evocando la sessualità della propria madre costringono il destinatario dell’insulto a un pensiero altamente sgradevole, ripugnante e imbarazzante. Un “incantesimo” verbale pesantissimo, innescato evocando i suoi genitali, gli atti sessuali o una vita sessuale dissoluta. Il sesso evoca sempre la nostra natura animalesca, dalla quale cerchiamo sempre di prendere le distanze: a maggior ragione nei rapporti affettivi che non hanno (e non devono avere) risvolti erotici.
Dunque, abbinare pensieri osceni alla figura materna è un’arma linguistica micidiale, ed è presente in molte lingue:
oltre al già ricordato russo  “Ёб твою мать” (“yob tvoyu mat”, scopa tua madre, all’origine del “mat”, il gergo volgare), c’è l’albaneseqifsha nënën” (mi fotto tua madre) o “Mamaderr” (Tua mamma è una maiala) e l’araboKos immak” (La figa di tua madre) e Nikomak (scopa tua madre). E anche il rumenoDute-n pizda matii“, torna nella figa di tua madre, e il cinese ha due espressioni per “scopa tua madre”屌你老母 (diu ni lao mu, cantonese) e  操你妈 (cao ni ma, mandarino). E il persiano: Kiram tu kose nanat, ovvero “il mio cazzo nella figa di tua madre”, Madar kooni “tua madre è lesbica”, Kos é nanat khaly khoob hast “La figa di tua madre è buona”, Sag nanato kard “Un cane ha scopato tua madre”, Pedarbozorget nanato kard “Tuo nonno ha scopato tua madre”, Nanat sag suk mizaneh “Tua madre fa pompini ai cani”, Molla nanato kard “Un mullah (teologo) ha scopato tua madre”, Madareto kardam “Mi sono scopato tua madre”, Kiram to koone nanat “il mio cazzo nel culo di tua madre”.

In francese c’è “nique ta mère” (scopa tua madre) e “Ta salope de mère” (quella maiala di tua madre), in spagnolo(vete a) la concha de tu madre” (vai nella figa di tua madre), “Chinga tu madre” (“Scopa tua madre”), “Tu madre culo” (“Il culo di tua madre”). E in finlandese c’è l’espressione  “Äitisi nai poroja” che significa “Tua madre scopa con una renna”: ogni cultura adatta gli insulti al proprio contesto.

 

MODI DI DIRE

E’ la categoria più numerosa, con 20 espressioni:

In veneto:

“A fess d mamt”, un brano disco degli Impazzination (2012).

♦ quea stracciafiletti de to mare: quella strappa frenuli (del prepuzio) di tua madre

♦ va in figa de to mare / va in mona: vai nella figa di tua madre, ovvero: torna da dove sei venuto. E’ usato anche in modo bonario, come sinonimo di “Ma và a quel paese”

♦ quea sfondrada de to mare: quella sfondata di tua madre

♦ chea rotinboca de to mare: quella rottinbocca di tua madre 

♦ va in cùeo da to mare: và nel culo a tua madre.

In mantovano:

♦ cla vaca at ta fàt: quella vacca che ti ha fatto

In toscano:

♦ la tu mamma maiala / la maiala di tu mà: tua madre maiala

In napoletano:

♦ a fess d mam’t: la figa di tua madre (usato anche come esclamazione di disappunto, o per mandare qualcuno a quel paese)

♦ bucchin e mamt: la bocchinara di tua madre

♦ mocc a mamm’t / vafammocc a mamm’t: in bocca a tua madre / vai a farti fare un rapporto orale da tua madre

♦ ‘ncul a mamm’t: in culo a tua madre

♦ figl’e bucchino (figlio di un rapporto orale): persona scaltra e senza scrupoli capace di cavarsela in ogni situazione

In pugliese:

La birra “De puta madre”, una Ipa tosta.

♦ lu piccioni spunnatu di mammata: la figa sfondata di tua madre

♦ a fissa i mammeta : la figa di tua madre

In calabrese:

♦ Fiss’i mammata: la figa di tua madre

♦ In culu a memmata e a tutta a razza da tua: In culo a tua madre e a tutta la tua famiglia

In sardo:

♦ mi coddu cussa brutta bagass’e mamma: Mi fotto quella brutta puttana di tua madre

♦ t’inci fazzu torrai in su cunnu: Ti faccio tornare nell’apparato riproduttivo di tua madre

♦ su cunnu e mamma rua: La figa di tua madre

♦ su cunnu chi ta cuddau a sorri tua baggassa impestara luride e’merda: La figa che ti ha partorito a te e a tua sorella impestata lurida di merda 

♦ su cunnu chi ti ndà cagau: La figa che ti ha cagato

♦ sugunnemamarua bagassa, babbu ruu curruru e caghineri coddau in culu e in paneri de su figllu de su panettieri: La figa di tua mamma bagascia e tuo padre finocchio inculato dal figlio del panettiere

 Offese generiche (e da rapper)

“Yo mama”, film del 2023 su un gruppo di mamme che si mettono a rappare.

Le offese alla madre non sono soltanto di tipo sessuale. Esistono anche insulti generici usati per ferire la persona infangando l’immagine della madre. Un atteggiamento piuttosto comune nell’infanzia e nell’adolescenza, con frasi del tipo “tua madre è brutta”, “tua madre è cicciona”. E questa abitudine sta anche alle origini del rap: la battaglia rap, in particolare, è un duello verbale in rima nei quali gli avversari si fronteggiano improvvisando insulti sempre più spinti sulla madre dell’avversario con la formula “Yo mama” (“your mama”, tua madre). Questa tradizione deriva dalle “dozzine”, duelli d’insulti di origine africana, ma diffusi anche in diverse altre culture. Ma le “dozzine” non sono soltanto un duello verbale nel quale i partecipanti devono mostrare la propria abilità linguistica cercando di sconfiggere l’avversario con insulti sempre più creativi e pesanti. Secondo gli antropologi Millicent R. Ayoub e Stephen A. Barnett, le dozzine erano anche un rituale per rafforzare i legami fra i coetanei. Una sorta di rito di affiliazione: partecipando, il giovane è disposto a lasciare che altri insultino sua madre senza ritorsioni, in cambio di una più stretta integrazione nel suo gruppo di amici. Solo un rapporto molto intimo fra i partecipanti rende possibile gli insulti reciproci alle madri senza passare alle mani. Secondo il sociologo Harry Lefever, questo gioco potrebbe essere anche uno strumento per preparare i giovani afroamericani ad affrontare gli abusi verbali senza arrabbiarsi. Una sorta di allenamento a sopportare le provocazioni: un possibile effetto secondario rispetto alla sfida di sfidarsi con offese che fanno girare la testa.


Di battaglie rap sulla madre abbiamo anche un celebre esempio italiano: il “Mortal kombat” tra Fabri Fibra e Kiffa nel 2001. Dopo una sequela di insulti di vario genere, Fibra (dal minuto 2:08) inizia a insultare Kiffa dicendo “Tua madre non avvisa / Quando si fa calare a gambe larghe sopra la torre di Pisa”, a cui Kiffa risponde con: “Invece tua madre è troppo brava / L’ho vista conficcarsi la Mole Antonelliana”, e così via in un crescendo sempre più osceno e crudo (siete avvisati):

Oltre che nel rap, gli insulti alla figura materna sono diffusi a ogni latitudine. In spagnolo ci sono espressioni fantasiose come Tu madre tiene  bigote” (Tua madre ha i baffi) , o “Me cago en la leche que mamaste” (cago nel latte che hai succhiato dal seno di tua madre). In giapponese c’è l’espressione Anata no okaasan wa kuso desu (Tua madre è un pezzo di merda). In persianoMadar suchte“, Tua madre è bruciata all’inferno, e Nane khar “Tua madre è un’asina”.

Lo scrittore Lu Xun.

Gli insulti sulla madre sono molto diffusi anche in Cina. Già nel 1925 lo scrittore Lu Xun (1881-1936) osservava: «Chiunque abiti in Cina sente spesso dire “tāmāde” (他妈的 = tua madre) o altre espressioni abituali del genere. Credo che questa parolaccia si è diffusa in tutte le terre dove i cinesi hanno messo piede; la sua frequenza d’utilizzo non è inferiore al più cortese nǐ hǎo (ciao). Se, come alcuni sostengono, la peonia è il “fiore nazionale” della Cina, possiamo dire, allo stesso modo, che “tāmāde” ne è il “turpiloquio nazionale”».Secondo Xun, attaccare la madre era un modo per mettere in discussione non solo la reputazione, ma anche il prestigio sociale delle classi altolocate, che basavano il loro potere e prestigio sugli antenati: annientando questi ultimi, con espressioni come “discendente di madre schiava”(而母婢也), “sporco figlio dell’eunuco” (赘阉遗丑), scompare anche il prestigio dei presenti. «Se vuoi attaccare il vecchio sistema feudale, prendere di mira i lignaggi nobiliari è davvero una strategia intelligente. La prima persona ad aver inventato l’espressione “tāmāde” può essere considerata un genio, ma è un genio spregevole».

 

MODI DI DIRE

In italiano non ho trovato frasi fatte con espressioni denigratorie sulla madre. Ce ne sono 8, invece, in alcuni dialetti:

In napoletano:

Tua madre è così grassa: è uno degli insulti contro la madre

♦ chella pereta / loffa ‘e mammeta: quella scorreggia di tua madre

♦ chella zompapereta ‘e mammeta: quella salta scorregge di tua madre: appellativo rivolto alle donne popolane e volgari, o anche alle prostitute

♦ chella latrina / cessa ‘e mammeta: quel cesso di tua madre

♦ chella cessaiola / merdaiola ‘e mammeta : quella lava gabinetti di tua madre 

In veneto:

♦ to mare omo: tua madre è un uomo

Una particolare variante degli insulti materni riguarda evocare la morte della madre oppure insultare i suoi defunti, anche in questo caso nei dialetti:

In livornese:

♦  budello cane di tu madre morta: budella da cane di tua madre morta

♦ il budello de tu ma: le budella di tua madre

In pugliese:

♦ l’ murt de mam’t: i morti di tua madre

E tu, conosci altri modi di dire con insulti alla madre? Scrivilo nei commenti e aggiornerò l’articolo.

Ringrazio Lina Zhou per la preziosa traduzione dell’articolo di Lu Xun.


Ho parlato di questa ricerca a Radio Deejay, ospite della trasmissione “Il terzo incomodo” condotta da Francesco Lancia e Chiara Galeazzi. Qui sotto l’audio dell’intervento:

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Perché imprechiamo come camionisti, turchi, camalli? https://www.parolacce.org/2023/03/14/modi-di-dire-bestemmiare-come-turco/ https://www.parolacce.org/2023/03/14/modi-di-dire-bestemmiare-come-turco/#comments Tue, 14 Mar 2023 11:55:45 +0000 https://www.parolacce.org/?p=19719 Per indicare una persona che usa un linguaggio sboccato, esistono diversi modi di dire: bestemmia (o impreca) “come un turco, un camallo, un carrettiere”… E, più in generale, le scurrilità sono definite come un linguaggio “da osteria, da postribolo, da… Continue Reading

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Un camallo impreca mentre trasporta un peso (disegno da Gephras)

Per indicare una persona che usa un linguaggio sboccato, esistono diversi modi di dire: bestemmia (o impreca) “come un turco, un camallo, un carrettiere”… E, più in generale, le scurrilità sono definite come un linguaggio “da osteria, da postribolo, da caserma”…
Quali sono queste espressioni, e perché facciamo questi paragoni? Molti hanno una lunga storia, sono spesso frutto di pregiudizi e sarebbero decisamente da aggiornare. E non sono un’esclusiva dell’italiano: esistono espressioni equivalenti anche in inglese, francese, spagnolo e molte altre lingue: oltre a turchi e carrettieri, sono citati anche calzolai, birrai, pescivendoli, stagnini e molti altri mestieri… Ma andiamo con ordine, partendo dai modi di dire italiani.

Bestemmiare (o imprecare) come…

Un turco arrabbiato in una caricatura

♦ un luterano: il paragone è nato dopo la Riforma luterana (1517)  che spaccò i cristiani; era, evidentemente, una propaganda per dipingere i luterani come miscredenti ed eretici, come facevano nell’antichità con i pagani

♦ un turco: anche questo paragone è molto antico e cavalca il timore verso i turchi – di fede islamica – che iniziarono a invadere l’Italia già alla fine del 1400

♦ un porco: sebbene sia un animale molto intelligente, nella cultura occidentale il maiale è diventato il simbolo dello sporco, del vizio e della volgarità, come raccontavo in questo articolo; quanto di più terreno e quindi di lontano da Dio

♦ un carrettiere: prima dell’avvento delle automobili, le merci si trasportavano con un carretto trainato da un cavallo o un asino; forse i conducenti imprecavano nel traffico (oggi, del resto, diciamo “parla come un camionista”, vedi più sotto)

♦ un marinaio: il detto trae origine dall’abitudine (vera o presunta) degli uomini di mare a un linguaggio rude

♦ un camallo, uno scaricatore di porto, un facchino: i tre termini sono sinonimi, e si riferiscono al linguaggio scurrile adoperato dagli uomini di fatica per sfogare il dolore

Parlare come…

Un camionista senza filtro

♦ un camionista: gli autotrasportatori sono considerati, nell’immaginario collettivo, come particolarmente scurrili

♦ un cafone, un villano, un bifolco, un burino: da quando nel Medioevo si sono formate le città, gli agricoltori sono stati sempre considerati rozzi e ignoranti

♦ un pecoraio: vedi sopra 

♦ uno stalliere: vedi sopra

♦ un tamarro: il termine in origine designava un venditore di datteri, disprezzato per i suoi modi rozzi

♦ un pescivendolo: professione considerata volgare perché svolta per strada; in più il pesce è un simbolo fallico (e questo è un elemento che contribuisce a svilire il mestiere)

♦ un coatto/ un avanzo di galera: il primo termine indicava chi era recluso (a domicilio o in carcere); in generale, i detenuti sono stati sempre considerati scurrili

♦ una vaiassa: il termine, napoletano, indica una donna popolana, spesso una serva, dai modi sguaiati e volgari

Usare un linguaggio da…

Il sergente maggiore Hartmann

♦ caserma: i soldati usano un linguaggio pesante come nella celebre scena del sergente Hartmann nel film “Full metal jacket” (1987) di Stanley Kubrick:

«Io sono il sergente maggiore Hartmann, vostro capo istruttore. Da questo momento potrete parlare soltanto quando vi sarà richiesto, e la prima e ultima parola che uscirà dalle vostre fogne sarà “signore”. Se voi signorine supererete questo corso, sarete un’arma, sarete dispensatori di morte e pregherete per combattere, ma sino a quel giorno siete uno sputo, la più bassa forma di vita che ci sia nel globo, non siete neanche fottuti esseri umani, sarete solo pezzi informi di materia organica anfibia comunemente detta merda. Dato che sono un duro non mi aspetto di piacervi, ma più mi odierete più imparerete. Io sono un duro, però sono giusto. Qui non si fanno distinzioni razziali, qui si rispetta gentaglia come negri, ebrei, italiani e messicani. Qui vige l’uguaglianza, non conta un cazzo nessuno. I miei ordini sono di scremare tutti quelli che non hanno le palle per servire nel mio beneamato corpo. Capito bene, luridissimi vermi?!».

♦ strada: è il linguaggio urbano, da periferia, dei giovani, degli sbandati o dei diseredati, rozzo e senza filtro

♦ bordello/postribolo: le prostitute, per lavoro, devono parlare di sesso in modo diretto

♦ taverna/osteria/bettola: il riferimento è a locali di infimo rango, frequentati da gente incolta e poco raccomandabile

Nelle altre lingue? Dal muratore al boscaiolo

Il linguista Stan Carey ha collezionato le varianti di questi modi di dire in diverse lingue, dopo aver lanciato un appello su Mastodon: i paragoni più diffusi sono con il marinaio, il carrettiere e lo scaricatore di porto. In definitiva, tutti lavori manuali. Ci sono diverse corrispondenze con l’italiano ma anche diverse espressioni legate alla specifica cultura del luogo, dal boscaiolo al fabbricante di scope.

Imprecare come un… lingue
marinaio 
  • danese (sømand)
  • finlandese (kiroilla kuin merimies)
  • tedesco (Seemann)
  • portoghese brasiliano (xinga mais que um marinheiro / fala mais palavrão que um marinheiro)
  • svedese  (sjöman)
  • inglese (sailor)
carrettiere, cocchiere
  • francese  (jurer comme un charretier)
  • tedesco (Kutscher)
  • ungherese  (kocsis)
  • russo (ругаться как извозчик)
  • spagnolo messicano (hablar como carretonero)
portuale, scaricatore di porto
  • danese (havnearbejder)
  • olandese  (vloeken als een dokwerker/bootwerker)
  • norvegese (banne som en bryggesjauer)
  • portoghese brasiliano (fala como um estivador)
soldato 
  • olandese (dragonder, soldato a cavallo)
  • portoghese (sargento de cavalaria, letteralmente sergente di cavalleria)
  • inglese (trooper)
camionista 
  • greco  (βρίζω σαν νταλικέρης)
  • spagnolo messicano (camionero)
  • inglese (trucker)
stagnino
  • olandese  (ketellapper)
  • tedesco (Kesselflicker)
pescivendolo/a
  • olandese (viswijf, letteralmente “moglie del pescivendolo”),
  • francese (une poissonnière)
eretico, pagano, infedele
  • olandese (ketter)
  • francese (païen)
fabbricante di scope
  • tedesco (Bürstenbinder)
  • svedese (svär som en borstbindare)
calzolaio
  • polacco (kląć jak szewc)
  • russo  (материться как сапожник)
turco finlandese (turkkilainen)
boscaiolo finlandese (tukkijätkä)
birraio tedesco (fluchen wie ein Bierkutscher)
bracciante, contadino tedesco (Landsknecht)
tassista tedesco (Droschkenkutscher)
migliarino di palude (uccello) tedesco (schimpfen wie ein Rohrspatz)
muratore spagnolo messicano (Eres tan vulgar que harías sonrojar a un albañil: sei così volgare che faresti arrossire un muratore)
diavolo irlandese (mallachtú ar nós an diabhail)
turco danese (at bande som en tyrk)
ortolano, fruttivendolo/a spagnolo (tener boca de verdulera, hablar como una verdulera)

L’origine? Stereotipi e classismo

Meme sul giornalista veneto Germano Mosconi, noto per le sue bestemmie

Leggendo tutti questi modi di dire, salta subito all’occhio che sono stereotipi, ovvero pregiudizi, etichette applicate a un intero gruppo sociale. Per lo più quello rappresentato dalle persone di classi socio-economiche inferiori, dedite a lavori di fatica: un modo, insomma, per rimarcare la loro inferiorità sociale giudicandoli anche maleducati, ignoranti e scurrili. Ovviamente, gran parte di questi modi di dire sono stati coniati da persone delle classi superiori, istruite (ma non necessariamente meno volgari). Da sempre infatti i lavori manuali sono considerati umili e appannaggio di persone ignoranti e rozze, come già avevo raccontato in questo articolo sui termini che disprezzano vari mestieri. Del resto, la stessa parola “volgare” deriva da “vulgus”, “popolo” inteso in senso spregiativo e classista. I rozzi, i volgari, insomma, sono sempre gli altri.
Va aggiunto, peraltro, che le parolacce aiutano effettivamente a sfogare il dolore, come hanno dimostrato molte ricerche: e per chi svolge un mestiere fisicamente faticoso, possono essere un’abitudine più diffusa che in altre professioni.
Non è l’unico pregiudizio veicolato da queste espressioni, che sono pure sessiste. Tutti questi modi di dire (con l’eccezione della vaiassa e del riferimento alle prostitute) si riferiscono infatti a maschi, nella convinzione che il “sesso forte” sia anche più incline (o legittimato) a dire più parolacce. Anche questa differenza si sta molto riducendo, visto quanto è diffuso il turpiloquio anche fra le donne, come avevo raccontato in questo articolo.

Francobollo ucraino con un “vaffa” a una corazzata russa.

Occorre aggiungere, tuttavia, che in alcuni casi i paragoni hanno un fondo di verità. Ad esempio, quando si parla di militari (“linguaggio da caserma”): la guerra, infatti, scatena emozioni negative (rabbia, dolore, aggressività, paura) che spesso si sfogano con le parolacce. Perché il contatto con la violenza e la morte, la lotta per la sopravvivenza è fatta anche di imprecazioni e di insulti contro il nemico: sta avvenendo anche nel conflitto in Ucraina, come avevo raccontato in questo articolo. Senza contare che fra commilitoni si usa un linguaggio direttorude, che serve a rimarcare l’appartenenza al gruppo, la propria virilità o le crudeli gerarchie fra commilitoni.
Analoghe considerazioni valgono per il linguaggio da strada e da bordello, due contesti che, per motivi diversi, sono caratterizzati da un linguaggio senza filtro, informale e diretto.
Ma che senso ha oggi dire “bestemmia come un turco” o come un carrettiere? Questi paragoni sono ormai superati e inadatti a descrivere la realtà attuale. Esistono categorie di persone che dicono più parolacce di altre? Potremmo aggiornare le espressioni dicendo che Tizio impreca come un rapper o un tronista? Se avete proposte, scrivetele nei commenti.

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Il deretano globale: i modi di dire chiappeschi nel mondo https://www.parolacce.org/2021/08/25/espressioni-culo-altre-lingue/ https://www.parolacce.org/2021/08/25/espressioni-culo-altre-lingue/#comments Wed, 25 Aug 2021 13:10:51 +0000 https://www.parolacce.org/?p=18802 Se non fosse per le sue poco nobili apparenze, potrebbe diventare il simbolo del linguaggio universale: il deretano, infatti, ha ispirato un ventaglio di espressioni simili in diverse lingue del mondo. In italiano il lato B è presente in 270… Continue Reading

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I modi di dire sul sedere sono diffusi in tutto il mondo.

Se non fosse per le sue poco nobili apparenze, potrebbe diventare il simbolo del linguaggio universale: il deretano, infatti, ha ispirato un ventaglio di espressioni simili in diverse lingue del mondo. In italiano il lato B è presente in 270 modi di dire, ma anche all’estero non scherzano. L’ossessione per il posteriore c’è anche in inglese, francese, spagnolo e portoghese, lingue ricche di diverse espressioni chiappesche (licenza poetica), in alcuni casi del tutto identiche alle nostre, in altri del tutto diverse.
Partiamo da un punto culturale comune. Anche in questi altri idiomi il sedere è usato con gli stessi 3 grandi valori simbolici dell’italiano: sessualità (compresa la fecondità e l’ano inteso come zona sensibile), parte posteriore e defecazione (e il disvalore ad essa attribuito).

“Onore al presidente faccia da culo”: T-Shirt satirica su Trump.

I modi di dire più universali sono quelli che usano la metafora della sodomizzazione come forma di inganno, minaccia o prevaricazione, il servilismo descritto come “leccare/baciare il culo” e il deretano inteso come sinonimo di persona.
Ma è ancora più divertente addentrarsi nei modi di dire che non hanno un corrispettivo in italiano: da “avere la penna in culo” a “avere il culo foderato di tagliatelle“… Espressioni saporose, avrebbe detto Umberto Eco. Perché divertono e stimolano la fantasia.
Insomma, un viaggio in culo al mondo, verrebbe da dire. Per quanto ricca, però, questa mia raccolta non ha la pretesa d’essere esaustiva: anzi, sono così consapevole delle sue lacune  da lanciare subito un appello. Invito tutti i lettori a segnalare espressioni che mi sono sfuggite, o inesattezze, o anche modi di dire in altre lingue (tedesco, russo, olandese….). Così le inserirò questo insolito atlante.
Nel frattempo, buona lettura.

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SESSUALITA’, FECONDITA’, ZONA SENSIBILE
 

italiano inglese francese spagnolo portoghese
farsi il culo to bust oneself ass (rompersi il culo) se casser le cul, se fendre le cul (rompersi, fendersi il culo) ponerse el culo como un tomate (farsi il culo come un pomodoro, cioè rosso) não ter/haver cu para (lett: non avere culo, cioè pazienza, per qualcosa)
essere un dito/una spina al culo, bruciare il culo pain in the ass (dolore nel culo)
mandare affanculo suck my ass (succhiami il culo) mandar a tomar per culo (mandare a prenderlo in culo) vai tomar no cu (vai a prenderlo nel culo)
mettere qualcosa nel culo shove it up your ass  meter en el culo algo (mettere qualcosa nel culo)
culo rotto cu roto, cu de burro (culo rotto, culo di mulo)
bruciarsi il culo, battere il culo per terra avoir le cul sur la paille (avere il culo sulla paglia, come i carcerati)

 

cul de sac (situazione senza via d’uscita)

estar con el culo al aire (stare col culo all’aria, essere in una situazione difficile)
couter la peau du cul (costare la pelle del culo, cioè molto)
asshole (stronzo, lett. buco di culo) trou du/de cul (imbecille, lett. buco del culo) tonto del culo
pararsi/parare il culo cover/save someone’s ass (parare, salvare il culo a qualcuno)
stare sul culo en avoir plein le cul (essere esasperato) estoy hasta el culo (sono stufo, lett. sono pieno fino al culo)
Avere il pepe al culo fogo no cu (fuoco al culo)
un film de cul (film porno)
prenderlo nel culo to take it up in the ass prendre dans le cul tomar por el culo levar/tomar no cu
avere culo avoir du cul

avoir le cul bordé de nouilles (avere il culo foderato di tagliatelle)
nascer de cu virado para a lua

(tìlett: nascere con culo di fronte alla luna)

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POSTERIORE
 

italiano inglese francese spagnolo portoghese
avoir la  tête dans l’cul (essere rincoglionito)
avoir le cule entre deux chaises (avere il culo tra due sedie, essere indeciso)
    caerse de culo ( col significato di rimanere stupefatti) cair de cu (restare stupefatto)
il culo del mondo el culo del mundo No cu do mundo
Mi ride il culo Ponerse hasta el culo (abbuffarsi a dismisura) 

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DEFECAZIONE, DISVALORE
 

italiano inglese francese spagnolo portoghese
avere la penna in culo (vantarsi) péter plus haut que son cul (scoreggiare più in alto del proprio culo)
leccare il culo (adulare) lick/kiss /suck someone’s ass lèche-cul lamer el culo lambe-cu

beijar o cu

pulircisi il  culo limpiarse el culo con algo
stringere il culo serrer les fesses (stringere le chiappe, aver paura)
battersene il culo, non incularsi mon cul (il mio culo)
faccia da culo ass face cara de culo
baciami il culo kiss my ass

Paese che vai, gesto  che trovi

Lino Banfi ne “L’allenatore nel pallone” (1984).

Mentre nei modi di dire il sedere è un simbolo universale, cambia (e molto) il modo di rappresentarlo con i gesti da Paese a Paese. 

In Italia, il culo è rappresentato con pollice e indice a forma di “L” con l’indice rivolto verso terra. Fatto con due mani che oscillano in senso verticale, in italiano il gesto può significare “che culo” (= che fortuna), ma può diventare anche un gesto di minaccia (=“Ti faccio un culo così). 

Ma in altre culture è rappresentato in modo e in sensi diversi. In Germania, Turchia, Tunisia, Grecia e Medio-oriente, il gesto fatto unendo pollice e indice non significa “OK” ma “ano”: o nel senso di insulto (buco di culo, stronzo) o nel senso di omosessualità o rapporto anale. In Brasile il gesto equivale al “vaffa”.

In Iraq, Africa, Russia, Grecia, Australia e in alcune zone della Sardegna, il pollice rivolto verso l’alto non vuol dire “Ok, sono d’accordo”, ma “ficcatelo nel culo”. Quindi bisogna fare molta attenzione a fare l’autostop usando questo gesto: in alcuni Paesi gli automobilisti potrebbero fermarsi sì, ma per….farvi il culo..

Protesta all’università di Stanford contro la censura nei media (1995).

Sembra avere un senso universale, invece, il gesto del “mooning” ovvero lo scoprire i glutei in senso di sfida, disprezzo, presa in giro. Il gesto, di fatto, consiste nel dire a un’altra persona di essere degno di guardare il deretano (la parte meno nobile) invece della faccia. Uno sberleffo inequivocabile.

 

 

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15 strani (e divertenti) modi di dire in italiano https://www.parolacce.org/2018/06/12/espressioni-volgari-originali/ https://www.parolacce.org/2018/06/12/espressioni-volgari-originali/#comments Tue, 12 Jun 2018 08:05:57 +0000 https://www.parolacce.org/?p=14293 Di solito ce ne accorgiamo quando parliamo con uno straniero: diciamo una frase, e vediamo la sua espressione attonita… Perché abbiamo usato un modo di dire volgare che esiste solo in italiano. Molte lingue, infatti, hanno le nostre stesse espressioni… Continue Reading

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Alcune espressioni volgari sono incomprensibili agli stranieri (montaggio foto Shutterstock).

Di solito ce ne accorgiamo quando parliamo con uno straniero: diciamo una frase, e vediamo la sua espressione attonita… Perché abbiamo usato un modo di dire volgare che esiste solo in italiano.

Molte lingue, infatti, hanno le nostre stesse espressioni scurrili, spesso basate su metafore sessuali o escrementizie: per esempio, “rompere le balle” ha equivalenti in tutte le lingue (e questo avviene in molti altri modi di dire testicolari, come raccontavo in questo articolo).

Ma altrettanto spesso, queste espressioni sono usate in combinazioni del tutto originali. Facciamo un esempio. In spagnolo, per dire che qualcosa è molto lontano, si dice “en el quinto coño”, letteralmente “nella quinta fica”. Perché? L’espressione è una variante – volgare – di “el quinto pino” (il quinto pino), modo di dire che si riferiva all’ultimo (e lontano) albero di una strada di Madrid, dove spesso si nascondevano le coppiette per baciarsi.

In questo articolo, però, non parlo di modi di dire stranieri: ho raccolto le espressioni volgari più originali dell’italiano, che non hanno equivalenti in altre lingue.

Le abbiamo sotto gli occhi (o nelle orecchie) tutti giorni, e le usiamo in modo automatico, senza farci caso. Ma se le guardate con occhi nuovi, vi accorgerete di quanto siano straordinariamente creative ed efficaci. Provate a tradurle letteralmente in un’altra lingua (inglese, francese, spagnolo), e il risultato sarà straniante. Oltre che comico.

 

FIGA

1) ESSERE UNA FIGA DI LEGNO (= donna che non si concede mai): la metafora accosta la frigidità all’insensibilità dell’organo sessuale, come se non fosse fatto di carne. In inglese suonerebbe “to be a wooden cunt”: una frase del tutto insensata.

2) MORTO DI FIGA (= allupato che sbava per ogni donna) : l’espressione è un calco volgare di “morto di fame”. Indica un uomo che cerca una partner a ogni costo, senza dignità, sbavando per ogni donna e tentando approcci continui e maldestri.

3) SFIGATO (= sfortunato, privo di fascino, insignificante): letteralmente sfigato significa “senza figa”, cioè senza donna. Da sfigato deriva la parola sfiga, che significa sfortuna, iella: non avere una partner è considerato sinonimo della malasorte più dura da affrontare. A dire il vero c’è di molto peggio (la malattia, per esempio) ma tant’è.

 

CAZZO

Un’ironica rivisitazione di “Toy story” (da memegen.it).

4) A CAZZO DI CANE (= azione eseguita senza cura, malamente, in modo approssimato, a casaccio, con imperizia, maldestramente, in modo sconclusionato, senza criterio): è un riferimento all’organo sessuale del cane, ciondolante e sempre in bella vista. L’espressione nasce anche dal disprezzo, diffuso nell’antichità, verso questo animale, perché non si vergogna di accoppiarsi in pubblico (come raccontavo in questo articolo a proposito dell’espressione “porco cane”).

5) CON I CONTROCAZZI / CONTROCOGLIONI (= alla grande, forte, imbattibile): è un rafforzativo di “cazzo” (nel senso di cazzuto, forte). Deriva da “contro” inteso come contrario (come in contraltare, contrammiraglio, contrordine). Dunque, l’espressione è un modo di indicare qualcosa (coi cazzi) e il suo contrario (controcazzi), come a coprire l’intero spettro delle possibilità.

6) FARSI I CAZZI PROPRI (= occuparsi dei propri affari senza ficcare il naso in quelli degli altri): se l’organo sessuale è sinonimo di intimità, si capisce che possa essere usato come sinonimo di vicende private. L’uso del termine osceno rafforza il senso diretto e minaccioso della frase. Varianti: farsi una fialetta / una padellata / un piatto / una carriola / una vagonata / una camionata di cazzi propri.

7) NON CI SONO CAZZI (= non ci sono dubbi o obiezioni di sorta): l’organo sessuale maschile è usato spesso come sinonimo di problema (“sono nei cazzi”, “sono cazzi amari”) o di situazioni di scarso valore (“cazzate”). Questa espressione è usata quindi per rafforzare il concetto di una situazione senza alternative.

8) CAGACAZZI (= persona fastidiosa, seccatore): quando qualcosa fa “cagare il cazzo” significa che risulta ruipugnante perfino all’organo sessuale (considerato la parte anatomica di minor valore). Perciò il “cagacazzi” è una persona che suscita questo tipo di disgusto. L’espressione si è diffusa anche grazie alla sua musicalità, data dalle tre sillabe quasi identiche (ca-ga-ca) che si susseguono nella parola.

 

CULO

Una traduzione per anglofoni (da italianformygirlfriend).

9) AVERE CULO (= avere fortuna): perché il deretano è sinonimo di fortuna? Perché è simbolo di fecondità (e non solo), come ho raccontato più ampiamente in questo articolo.

10) PRENDERE PER IL CULO (= prendere in giro): spesso il sesso è usato come metafora per esprimere sfruttamento, sopraffazione (mi hanno fottuto, l’ho inculato…). Afferrare qualcuno per il deretano prelude a questo.

11) STARE SUL CULO (= avere in antipatia): questo detto deriva probabilmente da “stare sui coglioni” (ben più delicati), ovvero avere un peso fastidioso e doloroso sull’apparato riproduttivo. Un’ulteriore variante è “stare sul cazzo”.

12) FARE IL CULO A QUALCUNO (= rimproverare aspramente) e  farsi il culo (= faticare): l’origine di questo modo di dire deriva probabilmente dal rapporto anale.

13) IN CULONIA / CULANDIA (= lontano): deriva dall’espressione “in culo al mondo” dove “culo” sta per parte posteriore, lontana, difficilmente raggiungibile. E’ l’equivalente italiano dello spagnolo “en el quinto coño”.
Questo, comunque, è solo un assaggio degli innumerevoli modi di dire costruiti sulla metafora del deretano: se volete saperne altri, li trovate in questo articolo.

 

MERDA

Un libro-antologia sulle figuracce.

14) FIGURA DI MERDA (= brutta figura): si usa questo modo di dire per indicare una pessima impressione sugli altri. Dato che gli escrementi suscitano il massimo del disgusto.

E’ un’espressione molto efficace: basta paragonarla all’inglese “bad impression” (cattiva impressione) che ne è il suo equivalente. “Lasciami perdere, oggi ho fatto una figura di merda….”.

SEGA

Un best seller senza filtri.

15) FARSI LE SEGHE MENTALI (= avere pensieri inutili e ossessivi): spesso la masturbazione è usata come metafora di attività ripetitive e noiose. Questa espressione denota quindi i pensieri vuoti, inutili, ossessivi. Ed è stata usata come titolo di un best seller psicologico di Giulio Cesare Giacobbe “Come smettere di farsi le seghe mentali e godersi la vita”.
E’ per questo stesso motivo che un sinonimo di “discorso lungo, noioso e devastante” è l’accrescitivo “pippone” (da “pippa”, autoerotismo): “quella mi ha attaccato un pippone”…

 Conoscete altri modi di dire – in italiano o in altre lingue – altrettanto sorprendenti, che meritano di essere ricordati? Segnalateli nei commenti.

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https://www.parolacce.org/2018/06/12/espressioni-volgari-originali/feed/ 1
Fenomenologia del “suca” (e le sue varianti) https://www.parolacce.org/2018/01/23/insulti-sesso-orale/ https://www.parolacce.org/2018/01/23/insulti-sesso-orale/#comments Tue, 23 Jan 2018 09:30:28 +0000 https://www.parolacce.org/?p=13710 E’ uno dei tabù più forti, ma è un mito pop: è diventato un modo di dire planetario, ispirando graffiti, canzoni, romanzi e slogan. In Italia il rapporto orale è citato in 3 espressioni dialettali: “suca” (“succhia”, Palermo), “socc’mel” e “soccia” (“succhiamelo”, Bologna), e “vafammocc”… Continue Reading

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La scritta “suca” è ubiquitaria: qui è tracciata anche sulla neve.

E’ uno dei tabù più forti, ma è un mito pop: è diventato un modo di dire planetario, ispirando graffiticanzoni, romanzi e slogan. In Italia il rapporto orale è citato in 3 espressioni dialettali: “suca” (“succhia”, Palermo), “socc’mel” e “soccia” (“succhiamelo”, Bologna), e “vafammocc” (“vai a fare in bocca”, Napoli). Il loro significato, però, va oltre il sesso: esprimono un ventaglio di emozioni che non è semplice tradurre a parole.
E non succede solo in Italia: modi di dire equivalenti esistono anche in inglese, spagnolo, francese.
Ma perché? Com’è possibile che un atto erotico sia diventato un’offesa? Il tema è spinoso, ma ho deciso di indagare. Anche perché il mese scorso il “suca” è stato elevato a dignità accademica, diventando l’argomento di una tesi di laurea discussa all’università di Palermo.  

Il sesso orale come simbolo

Che cosa vuol dire l’espressione “suca” (succhia)? Letteralmente, si ordina a qualcuno il sesso orale. Dunque, per capire il valore simbolico di questo modo di dire, bisogna prima capire il significato biologico del rapporto orale.
Secondo l’etologo britannico Desmond Morris, più un atto sessuale è considerato “spinto”, più è probabile che sia proibito in pubblico. «Dunque, usare il segno più “sporco”, più tabù possibile può diventare una forma simbolica di attacco: invece di colpire l’avversario, lo insulto con un gesto sessuale». Diverse scimmie, infatti, mimano atti sessuali come forma di minaccia: si avvicinano a un loro simile, si mettono in posizione di monta e fanno qualche simbolica spinta pelvica. Spiega Morris nel libro “L’uomo e i suoi gesti” (Mondadori). «Mimare un atto sessuale rappresenta un sentimento di superiorità: “Non mi fai paura, io ti sono superiore”. E’ un gesto di auto-affermazione anche in situazioni non sessuali».

Saggezza trasgressiva su un muro (dal sito “suca forte“).

Queste considerazioni valgono anche per il sesso orale, sia esso mimato (con un gesto), oppure pronunciato o scritto.
Ma qual è il significato biologico e simbolico del sesso orale? L’uomo – insieme ai bonobo e ai pipistrelli della frutta – è l’unico mammifero a praticarlo. E’ un’intensa forma di piacere erotico, che si apprende per abitudine culturale. E’ piacevole riceverlo, ma non per tutti praticarlo. E non ha uno scopo riproduttivo: secondo i biologi è uno dei modi per rinforzare il legame fra partner.
Dunque, dal punto di vista simbolico il sesso orale è:

  • un intenso piacere, che può essere condiviso o unilaterale
  • un tabù molto forte;
  • una forma di attacco/minaccia;
  • un atto di auto-affermazione, di superiorità: la parte più nobile (la testa) dà piacere alla nostra parte più bassa (il sesso).

Tutto questo ci aiuta a capire il significato di “suca”. Il verbo è un imperativo: ma non è un’azione o un invito all’azione. Questa espressione, diffusa sui muri di Palermo fin dagli anni ‘70, è usata infatti come modo per esprimere uno stato d’animo. Che cosa significa allora?
Innanzitutto è un’espressione di superiorità, proprio come le scimmie di cui parla Morris: significa “io sono superiore a te, ti ho sottomesso”. Al punto che, nella mia fantasia, utilizzo il tuo corpo a mio esclusivo godimento. Dunque, anche un modo per dire: “ti svilisco, sei buono/a solo per soddisfare i miei impulsi sessuali”.
Un gesto di vittoria, di scherno, di rivalsa. Ecco perché la scritta “suca” appare frequentemente nella zona dello stadio di Palermo per dileggiare i tifosi delle squadre avversarie, oppure le forze dell’ordine o le istituzioni (prefettura, polizia, carabinieri).
Essendo un tabù molto forte, inoltre, basta dirlo per provocare uno choc nell’ascoltatore/lettore: si introduce uno scenario del tutto intimo, abbassando il livello della conversazione su un piano animalesco.
Ma “suca” è usato anche in senso assoluto, senza un destinatario particolare: è un modo per dar sfogo alla rabbia o alla noia. Si scrive per spirito goliardico o per provocazione, per sfidare i benpensanti: è un modo di dire “me ne frego di tutti, siete tutti inferiori, voglio solo usarvi per godere”. Insomma, un insulto totale. Un concetto che viene espresso anche a gesti, mettendo le mani aperte ai lati dei genitali.
E pur essendo nato come insulto maschile, per esprimere i rapporti di dominanza fra uomini, oggi questo modo di dire (e il suo corrispettivo gestoè usato anche dalle donne.

UN MITO POP A PALERMO

Lo scrittore siciliano Fulvio Abbate nel suo romanzo “Zero Maggio a Palermo”(1990) lo definisce “un punto fisso nello spazio”:

La scritta su una panchina (Suca forte).

SUCA (…) è la scritta che a Palermo viene tracciata su ogni parete bene in vista. La scritta di benvenuto. (…) Suca può anche essere trasformata: la S diventa un 8, la U e la C due zeri, soltanto la A resta tale, e alla fine di quest’operazione si legge 800A, ossia la stessa offesa, se è vero che molti palermitani talvolta scrivono direttamente in questo modo. (…)
L’umanità che vive a Palermo si divide in due categorie: quelli che scrivono suca e gli altri che cancellano suca. Questi ultimi, come Sisifo, sono i palermitani più infelici, i vinti, perché, come è evidente guardando i muri, suca vince sempre: su insegne e saracinesche, cassonetti dell’immondizia, porte e anche monumenti; ne riappaiono a centinaia e di tutte le dimensioni (…).
Non è importante che suca accompagni un nome, suca non ha genere, non è maschile né femminile, e solo di rado ha bisogno di un volto certo cui rivolgersi: suca è come un punto fisso dello spazio e può bastare, come ogni insulto, anche soltanto a se stesso. Si sa che prima o poi qualcuno leggerà, soprattutto uomini perché, questo sì, suca è un insulto maschile, rivolto castamente al mondo degli uomini, nonostante esprima una cosa che si desidera quasi sempre venga fatta da una ragazza. Talvolta suca è accompagnato dalla raccomandazione FORTE, ma il SUCA FORTE non muta l’essenza dell’offesa, piuttosto fa comprendere senza fatica cos’è il plusvalore. (…) suca, come il muschio, vive sui muri anche dopo essersi seccato, quindi per anni e anni aspetta di sbiadire senza mai cancellarsi”.

Insomma, il sesso orale è un simbolo sfaccettato e poliedrico. «Un mito pop virale», come lo definisce Alessandra Agola, 26 anni, che lo scorso dicembre si è laureata in Scienze della comunicazione all’Università di Palermo proprio con una tesi sul “suca”, ma non tanto dal punto di vista linguistico, quanto come graffito urbano e fenomeno culturale (“S-Word: segni urbani e writing”, relatore il semiologo Dario Mangano).

Il “suca” trasformato in 800A.

La neolaureata ha passato in rassegna i centinaia di “suca” sui muri e le panchine di Palermo, raccontando come sia entrato nell’identità cittadina: «Un verbo liberatorio grazie alla sua pronuncia morbida ma veloce», scrive. «Quando lo si vuole rafforzare, si vuole insultare, allora si allunga la “u”». Ma l’espressione può essere rafforzata anche in altri modi: “suca forte” o “suca c’a pompa” (con la pompa).
L’eufemismo grafico “800A” (per un palermitano, un messaggio in codice), racconta Agola, ha ispirato anche portachiavi, una casa discografica (800a records),  e opere d’arte.

⇒ L’espressione “suca” è un’offesa per cui si può rischiare una denuncia? Sulla questione ho espresso il mio parere: potete leggerlo qui (nelle risposte ai commenti dei lettori).


In ogni caso, “suca” non è affatto un fenomeno locale: l’espressione, infatti, ha equivalenti in molte lingue del mondo. Dall’inglese (“suck it”), allo spagnolo (“chupala”, “chupame la pinga/pija”) al francese (“suce ma bite”).

Il gesto irridente di X-Pac, wrestler della D-Generation X.

Negli Usa, “suck it” è diventato il tormentone ufficiale di D-Generation X, un gruppo di wrestling professionista attivo dal 1997 al 2010. Era una squadra che puntava tutto sulla provocazione, mostrandosi come gruppo di anarchici e menefreghisti: il loro slogan era «we got two words for ya: SUCK IT!» (abbiamo due parole per voi: succhialo!), accompagnato dal gesto di portare le braccia (laterali o incrociate a X) all’altezza dei genitali. Una scelta che li ha portati sotto i riflettori, in un Paese puritano.
Proprio questo gesto, tra l’altro, è usato – non solo negli Usa – anche dai tifosi delle squadre di calcio per irridere avversari fisicamente lontani, come raccontavo nell’
enciclopedia dei gestacci. Anche a lunghe distanze, insomma, l’offesa arriva a destinazione.

La versione bolognese: “soccia” e “socc’mel”

Palermo non è l’unica città italiana che utilizza le metafore del sesso orale in un modo di dire. Altrettanto virale è il suo equivalente bolognesesocc’mel” (e “soccia”). Ma qui il verbo si arricchisce di sfumature diverse: non esprime solo derisione, superiorità e strafottenza. A Bologna il verbo è usato molto più spesso come esclamazione di stupore, incredulità, ammirazione: è l’equivalente (molto più forte) di “accidenti”. L’origine di questo modo di dire è semplice: le intense sensazioni psicofisiche che si vivono durante un rapporto orale sono usate per esprimere un’emozione intensa, anche non di tipo erotico.
Anche in bolognese sono presenti rafforzativi e varianti: sócc’mel bän (succhiamelo bene), e sócc’mel bän in pónta (succhiamelo bene in punta).
Nel 2010 è stato pubblicato un gioco a carte intitolato Sócc’mel, cui ha fatto seguito, nel 2012, un’espansione denominata Sócc’mel va in vacanza!
Insomma, anche in questo caso un modo di dire poliedrico e popolare, tanto che il cantautore bolognese Andrea Mingardi gli ha dedicato una canzone:

Alla napoletana: “vafammocc”

Una tazza con l’espressione napoletana.

In Campania c’è un’espressione che allude al sesso orale: “vafammocc”, letteralmente “vai a fare in bocca”. Un equivalente (vafanvuocc) è diffuso anche in  Puglia.
In questo caso, il senso di scherno, offesa e superiorità è giocato ricalcando il suono di un’altra celebre espressione: vaffanculo (di cui ho raccontato l’origine qui). Si tratta quindi, linguisticamente parlando, di una “maledizione”: si augura il male a qualcuno.
Questa espressione, infatti, è usata per cacciare via una persona, mettendola (
a livello immaginario) in una situazione sgradevole o dolorosa (trovate un campionario di maledizioni, italiane ed estere, qui). Ma in questa espressione
il parlante ordina al destinatario di praticare il sesso orale non a lui, ma ad altri.
Infatti, il “vafammocc” non è usato in modo assoluto. Spesso si indicano anche i destinatari (immaginari) dell’atto: a “ziet”, a “soreta”,  a “mammeta”, a “chi t’è mmuort” (a tua zia, a tua sorella, a tua mamma, ai tuoi defunti). Si infrange, insomma, un doppio tabù: si parla di sesso orale e lo si immagina per scopi incestuosi o addirittura necrofili.
Nonostante cotanta pesantezza, anche questa espressione è entrata nella cultura popolare: il rapper napoletano Uomodisu ne ha fatto una canzone, “Vafammock”: ha avuto più di un milione di visualizzazioni. Notevole, per un modo di dire così pesante.

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I mille modi di dire “bunga bunga” https://www.parolacce.org/2017/11/14/vocabolario-atti-sessuali/ https://www.parolacce.org/2017/11/14/vocabolario-atti-sessuali/#respond Tue, 14 Nov 2017 10:28:53 +0000 https://www.parolacce.org/?p=13218 Ho fatto un giro di giostra. Me la sono fatta. L’ho battezzata. Ho inzuppato il biscotto. L’ho aperta come una cozza…. Quando si parla di un rapporto sessuale, si usano espressioni colorite. Molte, però, non sono il massimo della gentilezza:… Continue Reading

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T-shirt goliardica di Fermento Italia (Lecce).

Ho fatto un giro di giostra. Me la sono fatta. L’ho battezzata. Ho inzuppato il biscotto. L’ho aperta come una cozza….
Quando si parla di un rapporto sessuale, si usano espressioni colorite. Molte, però, non sono il massimo della gentilezza: sono verbi nel migliore dei casi goliardici, ma spesso crudi e a volte offensivi per le donne.
Perché è così? Quanti modi abbiamo per descrivere l’atto sessuale? Ci sono metafore più efficaci di altre? E cosa svelano sul significato dell’erotismo?
Tempo fa, avevo fatto un censimento degli appellativi dei genitali: ne era emerso un quadro ricchissimo (avevo trovato 744 nomi per il pene, 595 per la vulva), e quel  post è diventato uno dei più letti di questo sito.
Ora ho esaminato le parole sugli atti sessuali: a quanto ne so, è il primo censimento (meglio: analisi semantico-statistica) di questo genere in Italia. E anche in questo caso il risultato è stato sorprendente: in italiano – escludendo le espressioni dedicate a  masturbazione, rapporto orale e anale – abbiamo 987 termini per designare l’amplesso, da “annaffiare” a “zappare” (in quel senso lì).
Sono circa 1/3 di tutto il lessico erotico. E rivelano due modi fondamentali con cui intendiamo il sesso: come piacere condiviso, o come atto di sopraffazione. Uno scenario che si registra non solo nella cultura italiana, ma anche in altre lingue: inglese, francese, portoghese, spagnolo, tedesco, russo, greco (vedi box più sotto)… Ora scopriremo perché.

Censimento a luci rosse

Doppio senso provocatorio uscito su “Libero”.

Ma prima di approfondire questo punto, val la pena raccontare come sono arrivato a questo risultato. Per censire tutte le parole del sesso ho consultato il monumentale “Dizionario storico del lessico erotico” di Valter Boggione e Giovanni Casalegno (Tea/Utet, 1999). Un’opera che tiene conto di tutti, ma proprio tutti i termini sessuali usati in 8 secoli di letteratura italiana: dalle metafore alle allusioni, dai termini arcaici a quelli moderni, dagli eufemismi infantili ai termini scientifici, fino alle espressioni più volgari.

Gli autori, con pazienza certosina, hanno catalogato le espressioni a seconda del tipo di metafora usata: “Da quando ha raggiunto la civiltà, l’uomo si è scontrato con la necessità di nominare l’innominabile” scrive Boggione. “Per far questo, ha fatto innanzitutto ricorso ai termini che gli erano messi a disposizione delle altre funzioni corporali: il mangiare e il bere, il dormire, il muoversi e il camminare; poi dalle attività quotidiane, il lavoro, la guerra, il divertimento”.

I risultati: movimento, lavoro e guerra

Le statistiche sulle metafore dell’atto sessuale (clic per ingrandire).

Per descrivere l’amplesso – clicca sulla torta qui a lato – si usano soprattutto le metafore ricavate da atti e movimenti (chiavare, ficcare:, 21,4%), dai lavori (scopare, seminare: 14,7%), e dalla guerra (dare un colpo, fare un giro di giostra: 9,6%). Questi tre tipi di metafore, insieme, rappresentano quasi la metà (45,7%) di tutte le metafore sul sesso. Ed è logico, dato che il sesso è un’attività dinamica.
Fra queste espressioni, possiamo approfondire quella più usata in italiano: “scopare” (che è l’8a parolaccia più pronunciata, come scrivevo in questo altro articolo).
In questa espressione, il pene è paragonato a una scopa, e l’organo femminile come locale da ripulire. Questa immagine era già stata usata nell’antica poesia greca (Saffo, Anacreonte) e nella commedia classica di Aristofane. Ed è riapparsa in italiano fra fine ‘400 e inizio ’500, nella tradizione dei canti carnevaleschi toscani. All’epoca si usavano anche altre metafore: nettare, ripulire, spazzare, rimonare. Inizialmente il complemento oggetto di questi verbi era l’organo femminile (designato con immagini tipo “cameretta”); solo negli ultimi due secoli poi avrà come complemento oggetto la donna (“Ho scopato quella tipa”).
Come nel canto rinascimentale “Scope, scope, o bone gente”: “Queste scope allo spazzare non faran polvere niente; se sapete pur menare con la scopa destramente (…)  Se la donna con destrezza nostra scopa adopra piano, averà tal contentezza che restar mai vorrà invano”.

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METAFORE SESSUALI

TIPI DI METAFORE QUANTITA’ % SUL TOTALE
azioni (farsi, maneggiare) 27 2,7
alimentazione (infornare, inzuppare, pestare, pappare) 79 8,0
cura del corpo (fregare, grattare, pettinare) 17 1,7
abbigliamento (alzare la gonna) 5 0,5
atti e movimenti (sbattere, montare, pestare, chiavare, trapanare, ficcare, impalare, sfondare) 211 21,4
sonno (giacere, andare a letto) 19 1,9
desideri (starci, soddisfare, darsi) 41 4,2
proprietà (possedere, usare, ingrufare) 25 2,5
vita sociale (conoscersi, accompagnarsi, amarsi, fare l’amore) 91 9,2
guerra (dare un colpo/una botta, fare un giro di giostra, ficcare) 95 9,6
lavori (annaffiare, arare, pompare, seminare, scopare) 145 14,7
piaceri (ruzzare, trastullarsi, trombare) 86 8,7
vita morale (libidinare, fornicare, peccare) 46 4,7
natura (beccare, cavalcare, uccellare, montare, ingroppare, deflorare) 80 8,1
altre voci (fottere, picciare, sveltina) 20 2,0
TOTALE 987 100

COME SI DICE ALL'ESTERO

Inzuppare il biscotto: una metafora sessuale sia in spagnolo che in italiano.

I modi linguistici di descrivere l’amplesso hanno ispirato una giovane brianzola, Laura Mangone, 28 anni. Si è laureata all’Accademia di Design di Eindhoven (Paesi Bassi) con una tesi su questo argomento: ha raccolto una serie di espressioni crude sull’atto sessuale in varie lingue, e le ha rappresentate in disegni (sono visibili sul suo sito sexpressions), per mostrarne la carica offensiva Alcuni esempi?

  • In spagnolo far l’amore si dice “Ti misuro il livello dell’olio” (Te mido el aceite) o “Ti taglio come un formaggio” (Te parto como un queso)
  • in portoghese, le crude espressioni “Affogare l’oca” (Afogar o ganso) e “Aprire il granchio” (Abrir o caranguejo)
  • in inglese,Lanciare il missile di carne” (Launching the meat missile) o “Sbattere il salmone” (To smack the salmon) o “L’ho avvitata” (I screwed her)
  • in greco, il cruento “Ho strozzato il coniglio” (πνιγω το κουνελι)
  • in rumenoL’ho gonfiata come un palloncino” (Am umflat-o)
  • in tedesco, lingua poco incline alle volgarità: “Ho fatto entrare il treno” (Den zug einfahren lassen)
  • in francesePiantare un giavellotto nella moquette” (Je plante le javelot dans la moquette), forse per alludere all’eccezionalità del risultato
  • in austriacoDemolire la casa” (das haus abreißen), “Ripulire la cantina” (ihre kantine putzen) o “Nascondere la banana” (die banane verstecken).

«Con questi modi di esprimerti ti abbassi come persona» dice Laura. «La donna è trattata  come oggetto e non come soggetto, in una prospettiva maschilista. C’è un io che fa qualcosa ma mai un noi». La posizione, come vedremo qui sotto, non è nuova. Ma va inquadrata in un’ottica più ampia: lo scontro fra natura e cultura. Per capirlo, dobbiamo analizzare i verbi dell’amplesso.

Sesso transitivo e sesso intransitivo

L’antropologo Ashley Montagu definisce “fottere” un verbo transitivo per il più “transitivo” degli atti umani:  i verbi transitivi sono quelli in cui il verbo non esaurisce l’azione in sé ma la estende su un “oggetto” (“Ho scopato Maria”).
Così ho voluto verificare quanto siano diffusi i verbi nel vocabolario italiano dell’erotismo: ne ho trovati 593, pari al 60,1% del totale dei lemmi. Quando si tratta di descrivere l’atto sessuale, insomma, i verbi sono i più usati rispetto ai sostantivi (botta, colpo, coito, amplesso).

Pubblicità contro corrente: è la donna che “si fa” l’uomo.

Ma sono tutti transitivi questi verbi? In realtà, quelli usati nelle espressioni meno volgari sono proprio i verbi intransitivi: fare sesso, fare l’amore, andare a letto insieme, avere un rapporto, accoppiarsi, copulare. Non sono nemmeno verbi a sè stanti, ma espressioni idiomatiche costruite associando un sostantivo o un aggettivo a un ausiliare. Non descrivono un cambiamento (fatto o subìto) ma sono azioni simmetriche: Mario ha fatto l’amore con Lucia o Lucia ha fatto l’amore con Mario (per quanto anche i verbi transitivi volgari ammettono questa simmetria: una donna può dire “Ho scopato con Mario”). Nei verbi intransitivi si descrive un’azione volontaria comune, come in ballare, parlare, lavorare. Nei modi di dire accettabili, quindi, il sesso è un’attività, dalla modalità non specificata, a cui  due persone si dedicano insieme.

Vista questa importante distinzione, ho cercato di calcolare quanti fossero transitivi e quanti intransitivi, ma i confini fra le due categorie sono labili. E i verbi transitivi (scopare) possono essere usati sia con un complemento oggetto (ho scopato qualcuno) ma anche in senso assoluto (ho scopato). Come criterio, ho classificato come transitivi anche i verbi che ammettono costruzioni intransitive.
Detto questo, comunque, i verbi transitivi sono la grande maggioranza: sono il 76,5% dei verbi, e il 46% del totale dei lemmi, contro il 14,1% dei verbi intransitivi (vedi box qui sotto).
Le metafore sui piaceri, il sonno e l’alimentazione hanno percentuali simili di verbi sia transitivi che intransitivi. Insomma, quando si pensa al sesso in questi termini, c’è una “par condicio” uomo-donna: è un’attività in condivisione, alla pari.

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TRANSITIVI E INTRANSITIVI

VERBI TRANSITIVI % SULLA CATEGORIA VERBI INTRANSITIVI % SULLA CATEGORIA
azioni 4 14,8 6 22,2
alimentazione 21 26,6 22 27,8
cura del corpo 9 52,9 1 5,9
abbigliamento 5 100,0 0 0,0
atti e movimenti 138 65,4 12 5,7
sonno 6 31,6 5 26,3
desideri 19 46,3 6 14,6
proprietà 16 64,0 2 8,0
vita sociale 26 28,6 15 16,5
guerra 37 38,9 20 21,1
lavori 102 70,3 7 4,8
piaceri 15 17,4 17 19,8
vita morale 16 34,8 9 19,6
natura 37 46,3 11 13,8
altre voci 3 15,0 6 30,0
TOTALE 454  46,0 139 14,1
TOTALE VERBI 593 (60,1% sul totale dei lemmi)

Fare sesso = sfruttare o danneggiare?

Nelle espressioni volgari, i verbi sessuali hanno quasi sempre un soggetto maschile. E il soggetto è la parte attiva. E se la donna è l’oggetto, come viene modificata dall’azione? Per rispondere, osserva Steven Pinker, psicolinguista ad Harvard, basta ricordare alcuni modi di dire: “l’ho fottuta”, “l’ho presa in culo”. «Queste espressioni» scrive nel libro “Fatti di parole” «rivelano che fare sesso significa sfruttare o danneggiare qualcuno».

Copertina di Internazionale: è la traduzione letterale di una dell’Economist.

La scrittrice femminista Andrea Dworkin, famosa per il suo attivismo contro la pornografia e la tesi secondo cui ogni rapporto sessuale è uno stupro, ha collegato il linguaggio scurrile all’oppressione delle donne. Nel 1979 scriveva (in “Pornography: men possessing women”): «Scopare implica che il maschio agisca su qualcuno dotato di minore potere, e tale giudizio di valore è così radicato, fino in fondo implicito nell’atto, che chi è scopato è bollato… Nel sistema maschile il sesso è il pene, il pene è potere sessuale, usarlo per scopare è virilità».
Non tutte le donne, però, la pensano così. Nel libro “Dimmi le parolacce: l’immaginario erotico femminile”, la scrittrice statunitense Sallie Tisdale dice: «“Scopare”: ormai ho sentito usare questa parola così tante volte in accezioni semplicemente descrittive, che mi sembra la possibilità più neutra, ben spesso più precisa e meno impegnativa dell’espressione “fare l’amore” che riempie la bocca, o dell’assurdo “andare a letto”. Una mia amica, l’altro giorno, mi ha lasciato allibita dicendomi che lei e il marito, quella mattina, avevano “avuto un rapporto carnale”. Mi ero quasi dimenticata di quell’espressione».

Le due facce del sesso

Che fare dunque? In realtà, sottolinea Pinker, verbi transitivi e intransitivi sono due facce della stessa medaglia. «Esprimono due modelli di sessualità ben diversi. Il primo, quello dei verbi intransitivi, ricorda i manuali di educazione sessuale: il sesso è un’attività, non meglio specificata, cui si dedicano insieme due partner su un piano di uguaglianza. Il secondo, quello dei verbi transitivi, riflette una visione più fosca, a cavallo fra la sociobiologia dei mammiferi e il femminismo stile Dworkin: il sesso è un atto di forza promosso da un maschio attivo che ricade su una femmina passiva, sfruttandola o danneggiandola. Entrambi i modelli esprimono la sessualità umana in tutta la sua gamma di manifestazioni, e se il linguaggio è la nostra guida, il primo è approvato per il discorso pubblico, mentre il secondo è tabù, anche se è ampiamente riconosciuto in privato».

Campagna osè di un candidato alle comunali di Torino 2011: alla fine fu “spazzato” lui, prendendo solo lo 0,37% dei voti.

Insomma, in questi due modi di descrivere il sesso si cela l’eterno dissidio fra natura e cultura. I verbi transitivi sono tabù perché descrivono in modo concreto, nudo e crudo, l’atto sessuale, mostrandone il lato animalesco (da cui vorremmo prendere le distanze); i verbi intransitivi, invece, sono considerati più accettabili perché nascondono l’atto sessuale offrendone una descrizione vagaparitaria e disinfettata.
Un dissidio inevitabile, tanto più che le prospettive maschile e femminile sono opposte anche biologicamente: una
ricerca recente ha scoperto che i centri cerebrali che controllano il sesso e l’aggressività sono separati nelle femmine ma sovrapposti nei maschi.  Questo è stato riscontrato nei topi, ma è plausibile che sia così anche per gli uomini. Ma anche trascurando questo aspetto, nella sessualità maschile e femminile c’è una differenza di fondo: la donna può rimanere incinta, e questo rende il suo approccio verso il sesso meno goliardico e superficiale rispetto a quello degli uomini.

Come uscirne? Una possibile soluzione arriva dalla Francia, dove amoreggiare si dice, in modo onomatopeico, fare “tactac boumboum”: si salva la concretezza dell’atto, ma al tempo stesso la si descrive solo nel suo aspetto acustico. Proprio come avviene nella nostra espressione “fare zum zum”. A questo punto, si potrebbe rivalutare anche il berlusconiano “bunga bunga”.

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Modi di dire del piffero https://www.parolacce.org/2017/09/26/significati-linguistici-pene/ https://www.parolacce.org/2017/09/26/significati-linguistici-pene/#comments Mon, 25 Sep 2017 22:01:08 +0000 https://www.parolacce.org/?p=12991 Lo scrittore Italo Calvino aveva lodato la sua “espressività impareggiabile”, che non ha eguali nelle altre lingue. Aveva ragione: la parola “cazzo”  non è solo la parolaccia più pronunciata in italiano (come raccontavo qui). E’ anche una delle parole più… Continue Reading

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“Le più belle frasi di Osho”, un sito umoristico.

Lo scrittore Italo Calvino aveva lodato la sua “espressività impareggiabile”, che non ha eguali nelle altre lingue. Aveva ragione: la parola “cazzo”  non è solo la parolaccia più pronunciata in italiano (come raccontavo qui). E’ anche una delle parole più ricche di significati: indica non soltanto l’organo sessuale maschile, ma, a seconda dei contesti,  può significare errore, ostacolo, affare, nulla, noia, arrabbiatura, forza…. E può esprimere un’ampia gamma di emozioni: rabbia, sorpresa, irritazione, affetto, disprezzo, provocazione… Insomma, è un vero jolly linguistico.
Tutti questi significati si sono accumulati in diverse frasi idiomatiche, nelle quali cazzo e i suoi derivati (scazzo, incazzarsi, cazzone, etc) significa tutto tranne che pene. Facciamo un esempio: “E che cazzo! Sei proprio un cazzone, mi hai rotto il cazzo con le tue richieste del cazzo, col cazzo che ti rispondo. Fatti i cazzi tuoi e vedi di toglierti dal cazzo altrimenti mi incazzo!”. Pur nella sua ripetitività, è molto più incisiva rispetto alla sua traduzione forbita: “Sono esacerbato! Sei proprio un irresponsabile, mi hai infastidito con le tue richieste assurde, non ti rispondo per niente. Fatti gli affari tuoi e vedi di andartene via, altrimenti mi arrabbio”.

Il “vino del cazzo”, bevanda per goliardi.

In questo articolo ho riunito tutti questi modi di dire: ne ho raccolti 37 (vedi tabelle qui sotto) ma è probabile che l’elenco sia ancora più lungo. Il che, come dicevo prima, mostra la polisemia (stratificazione di significati) di questa parola: l’unica altra parolaccia altrettanto ricca di sensi è “culo”, come raccontavo qui. Quindi, se qualcuno afferma che “dire parolacce è segno di povertà linguistica”, potrete rispondergli che è un cazzaro.
E questo accade anche in altre lingue: per esempio in russo (l’equivalente huy è usato in molti modi di dire simili all’italiano) e in brasiliano (con caralho, come raccontavo qui). Altre lingue, invece, preferiscono diverse espressioni sessuali: fottere, in inglese (fuck: per esempio, e che cazzo si dice “What the fuck”) e in messicano (chingar). Mentre il francese e lo spagnolo preferiscono la vulva (rispettivamente coi termini con e coño):  in francese “testa di cazzo” si dice “con” o “connard”, e in spagnolo “che cazzo dici” è reso con “Que coño dices?”.

“Cuore”, settimanale satirico.

Grazie a questo ampio ventaglio di significati, non stupisce che il termine cazzo (qui avevo raccontato la sua origine) abbia un enorme successo, e non da ora. La usava anche un intellettuale del calibro di Giacomo Leopardi, nel 1800 (nelle lettere al fratello Carlo scriveva ad esempio: “la vera letteratura non vale un cazzo con gli stranieri!”), fino al celebre “Vada a bordo, cazzo!” che il colonnello Gregorio De Falco urlò indignato a Francesco Schettino quando aveva fatto affondare la Concordia.
E’ per questo che, come cantavano i Gem Boy (gruppo demenziale bolognese) in un canzone del 2002 “siamo peggio di Cicciolina, l’abbiamo in bocca da sera a mattina”. Ovviamente, il titolo del brano è “Canzone del cazzo”, ed è una rassegna, in musica, dei modi di dire basati sull’organo genitale:

Se leggete la lista qui sotto, comunque, un dato salta all’occhio: pur nelle sue numerose varianti, cazzo ha per lo più significati negativi. Significa problema, contrattempo, errore, menzogna, cosa da nulla, errore… Al contrario, il sesso femminile esprime invece più significati positivi (figo, figata, etc).

Un altro fotomontaggio umoristico dal sito di Osho.

Un contrasto che fa riflettere: nonostante il maschilismo della nostra cultura, alla fine la prevalenza del sesso femminile è netta. In passato si pensava perfino che la vulva non fosse solo simbolo di vita e di fecondità, ma avesse anche il potere di scacciare le sciagure e i nemici, come raccontavo qui.
Perché abbiamo dato al pene tanti significati simbolici negativi? Difficile dirlo: credo che questa scelta sia stata frutto del caso. Come ho detto sopra, infatti, questo tipo di significati possono essere espressi sia con l’organo maschile che con quello femminile e, in generale, con l’atto sessuale. Perché la nostra evoluzione culturale ci ha portati a vedere con un certo disprezzo, dall’alto al basso, il nostro lato più istintivo e animalesco. Senza contare che il sesso è un veicolo eccezionale per esprimere le emozioni più forti.

Dopo questa premessa, ecco i 37 modi di dire del cazzo. Li ho riuniti per affinità di significato nei riquadri qui sotto, divisi in 5 categorie: cosa da nulla, forza, problema, enfasi, parte sensibile.

[ clicca sul + per aprire i riquadri ]

COSA DA NULLA, BRUTTA, SBAGLIATA
cazzata affermazione stupida, errata o priva di senso (“dice / spara / fa cazzate”);

azione sconsiderata, pericolosa, dannosa (“Ha fatto veramente una cazzata!”).

cazzaro, cazzarone, cazzataro persona che dice cazzate, cioè cose stupide, errate, false, senza senso
cazzone persona stupida, irresponsabile o incompetente (anche se si crede capace).
un cazzo niente: nelle locuzioni “non me ne frega un cazzo”,”non ho capito un cazzo”, “non vale un cazzo”,  “non vedo un cazzo”, “non sento un cazzo”
cazzeggiare perdere tempo in attività insensate, oziose, giocose, scherzose, infantili
a cazzo / a cazzo di cane lavoro o oggetto fatto in modo errato, a casaccio, svogliato, maldestro, sconclusionato, superficiale, senza cura né criterio
del cazzo/quel cazzo di…. di nessun valore, importanza o interesse: “questo è proprio un film del cazzo”;

da niente, stupido, assurdo: “ha un atteggiamento del cazzo”, “è un divertimento del cazzo”;

spiacevole, pessimo, bruttissimo: “è una situazione del cazzo” “è stata una giornata del cazzo”;

maledetto, importuno, molesto: in locuzioni esclamative esprime forte disappunto o irritazione: “spegni quella radio del cazzo!” (o quella cazzo di radio)

fancazzista perditempo, lavativo, pigro, svogliato, inconcludente: colui che non fa un cazzo
faccia di cazzo persona sgradita, antipatica a prima vista

persona brutta

persona sfacciata (come “faccia di bronzo”).

grazie al cazzo “grazie per niente”: reazione provocatoria o indispettita  a un’affermazione ovvia e inutile.  
‘sti cazzi “non me ne importa nulla, chi se ne frega, non mi riguarda”: in risposta a un’affermazione esagerata, o di scarsa importanza. (Da non confondere con “Me cojoni”, come raccontavo qui). E’ diverso da “sto cazzo” (v. sotto)
testa di cazzo persona (uomo o donna) stupida, ignorante, stolta, irresponsabile, priva di raziocinio, totalmente refrattaria a qualsiasi tentativo di migliorarla o farla ragionare. Può essere enfatizzato con un aggettivo rafforzativo: “è un’emerita/grandissima testa di cazzo”.
supercazzola nonsenso, parola senza senso usata in scherzi e gag
sa il cazzo non lo sa nessuno, chissà, vai a saperlo
FORZA, ABILITA'
cazzuto persona dotata di attributi virili, sia in senso morale (coraggioso, abile, capace) che in senso fisico (robusto, forte, sessualmente dotato)
cazzo cazzo persona presuntuosa, prepotente, inutilmente tronfia:, “camminava cazzo cazzo” (vedi anche “‘sto cazzo”)
controcazzi eccellente, magnifico, coi fiocchi: “una pizza con i controcazzi”
cazziare sgridare, rimproverare aspramente
cazziata / cazziatone pesante rimprovero
cazzimma persona egoista ed arrivista,cinica, senza scrupoli, lunatica e dispettosa. Talvolta il termine ha un significato positiva: atteggiamento risoluto, segno di forte personalità, pur incurante dei danni che può arrecare agli altri
incazzarsi, incazzatura arrabbiarsi, infuriarsi, perdere il controllo di sè, arrabbiatura
incazzato arrabbiato, furibondo
incazzoso persone nervosa, facile al litigio
scazzarsi litigare, irritarsi: “Mi sono scazzato con Carlo“

avvilirsi, abbattersi, annoiarsi, deprimersi, demotivarsi: “Mi hai proprio scazzato”

scazzo litigio

noia, fastidio, indolenza, abbattimento

‘sto cazzo persona presuntuosa, prepotente, inutilmente tronfia: “si sente ‘sto cazzo” (si sente chissà chi, ma invece non è nessuno)
PROBLEMA, OSTACOLO, AFFARE
cazzi problemi, preoccupazioni (ho i miei cazzi, sono cazzi), affari (“mi faccio i cazzi miei”, “fatti i cazzi tuoi”). “Piovono cazzi”: ci aspettano problemi in abbondanza.

In dialetto romanesco l’espressione “e mo so’ cazzi” indica l’arrivo di problemi, di situazioni o di conseguenze spiacevoli e corrisponde all’italiano “adesso sono guai”.

cazzi amari, cazzi acidi, cazzi da cagare, cazzi per il culo gravi problemi e preoccupazioni

ENFASI
cazzo / oh cazzo / e che cazzo! esclamazione di rabbia, meraviglia, sorpresa, delusione, disappunto
che cazzo vuoi, dove cazzo vai è un rafforzativo, e sta a sottolineare la rabbia di chi pronuncia questa frase: vuol dire semplicemente che cosa vuoi, dove vai
alla faccia del cazzo! esclamazione di stupore, di sorpresa, sinonimo di “càspita”, “perbacco”, “accidenti”, “non l’avrei mai detto”, o semplicemente di “alla faccia!”
col cazzo per niente, neanche per idea, non se ne parla proprio, figurati: è usato come rafforzativo provocatorio ed enfatico di un diniego “Col cazzo che ti presto 100 euro”
chi cazzo se ne frega / me ne sbatto il cazzo anche in questo caso è un rafforzativo che enfatizza il supremo disinteresse di chi pronuncia la frase
PARTE SENSIBILE
cacacazzo o cagacazzo o cacacazzi / rompicazzo persona che dà fastidio o crea problemi ,  persona che dà fastidio o crea problemi, che rompe le scatole, che disturba quando non dovrebbe
cacare / cagare il cazzo sinonimo più volgare di “rompere le scatole” (Mi hai rotto il cazzo = mi hai veramente scocciato); in senso passivo significa invece “mi sono stufato, seccato, annoiato”
rompere il cazzo dare fastidio in maniera insopportabile a qualcuno
stare sul cazzo / darmi sul cazzo essere di fastidio a qualcuno, rompere le “scatole”, essere una persona insopportabile e decisamente non gradita.
levarsi dal cazzo

detto a chi “sta sul cazzo”, a chi dà fastidio; invito a farsi da parte, a scomparire, a togliersi dai piedi.

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51 modi creativi di mandare a quel paese. In tutte le lingue https://www.parolacce.org/2017/07/25/maledizioni-modi-di-dire/ https://www.parolacce.org/2017/07/25/maledizioni-modi-di-dire/#comments Mon, 24 Jul 2017 22:21:25 +0000 https://www.parolacce.org/?p=12522 “Ti hanno mai mandato a quel paese? Sapessi quanta gente che ci sta…”. Così cantava Alberto Sordi, attore celebre – tra l’altro – per il gesto dell’ombrello fatto a un gruppo di operai nel film “I vitelloni” di Fellini: anche questo… Continue Reading

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Massimo Boldi mentre sfancula (dal film “Tifosi”).

“Ti hanno mai mandato a quel paese? Sapessi quanta gente che ci sta…”. Così cantava Alberto Sordi, attore celebre – tra l’altro – per il gesto dell’ombrello fatto a un gruppo di operai nel film “I vitelloni” di Fellini: anche questo è un modo di mandare a quel paese…
In questo articolo parlo di queste espressioni, tanto usate quanto poco conosciute: pochi sanno, infatti, che hanno una storia millenaria, perché derivano da antichi riti magici, i malefici. Sono l’equivalente linguistico del malocchio. Ed è per questo che sono presenti in tutte le lingue: più sotto (nei riquadri azzurri) ne elenco 51, in 12 lingue e 5 dialetti. Questo lungo elenco mostra quanto l’uomo può essere crudele, creativo e anche divertente  persino nei momenti di rabbia: quando si tratta di sfanculare, la fantasia umana non conosce limiti di immaginazione, a ogni latitudine.
Le maledizioni – questo il nome tecnico di questo genere di espressioni – come tutte le parolacce non sono semplici parole: sono azioni (atti linguistici come diceva il linguista John Austin), tanto che spesso le accompagniamo con gesti delle mani e delle braccia (come raccontavo qui, elencando i gestacci più usati in Italia). Ma quali azioni facciamo con queste parole?

Come funzionano le maledizioni

Tipica maledizione veneta (la spiego nel riquadro delle situazioni imbarazzanti; da memegen.it).

Le maledizioni non si limitano a sfogare la rabbia, come le imprecazioni (porca vacca!). E non ledono l’autostima e l’immagine di una persona, come gli insulti (stronzo!).
Per capire come funzionano le maledizioni, facciamo un esempio: “va all’inferno!”. Dicendo questa frase, facciamo due azioni: cacciamo via una persona, e la mettiamo (a livello immaginario) in una situazione sgradevole o dolorosa (la morte e la dannazione eterna). Le maledizioni, infatti, sono l’esatto contrario degli auguri (buona Pasqua) o delle benedizioni (che tu possa essere felice): mentre con questi si immagina un futuro piacevole per un’altra persona, con le maledizioni si prefigura una cattiva sorte. Insomma, si augura al massimo livello “buona sfortuna”. 
Queste espressioni infatti sono un modo non solo per allontanare qualcuno, ma esprimono anche un desiderio di vendetta: “tu mi hai fatto soffrire? Vattene via, e prova anche tu qualcosa di brutto”. Anche solo a livello mentale, immaginando una situazione spiacevole.
La maledizione, dunque si basa su una mentalità magica, per la quale la parola e l’immaginazione hanno il potere di influenzare la realtà. Queste espressioni, infatti, si basano sulla fede che l’augurio (negativo) indirizzato a qualcuno si realizzi davvero. Dunque, parlare equivale a fare un sortilegio, un incantesimo, un malocchio: è una forza ostile che si può indirizzare a qualcuno per sopraffarlo.


In questo esercizio di immaginazione, ci sono infinite varianti. Nei riquadri qui sotto ho riunito 51 maledizioni, non solo in italiano ma anche in diversi dialetti (romanesco, veneto, napoletano, milanese, siciliano) e in varie lingue del mondo (inglese, francese, portoghese, arabo, cinese, norvegese, olandese, russo…) e li ho aggregati per tipo: si va dalle maledizioni più “pulp” e crudeli (persino dopo la morte e contro i defunti) a quelle bonarie. Molti di questi modi di dire evocano immagini terribili, altre prospettano situazioni assurde: è un viaggio nelle fantasie più creative e divertenti. Si augurano non solo morte, malattie e dolori fisici (una specie di contrappasso dantesco), ma anche di restare impegnati in attività senza senso: raddrizzare le banane, mungere tori, pettinare le oche…
Insomma, leggendo queste espressioni potete arricchire la vostra tavolozza espressiva a seconda del gusto e della situazione. Ma ne esistono molte altre ancora: alcune le trovate nel mio libro, altre, se volete, potete segnalarle nei commenti a questo post.

[ clicca sui + per aprire i riquadri ]

VIOLENZE SESSUALI
  1. VAFFANCULO (su questa celebre espressione trovate un approfondimento sulla sua origine qui), VAI A FARTI FOTTERE. Significa augurare una sodomizzazione, e ha  espressioni equivalenti in molte lingue, a dimostrazione che le metafore sessuali sono molto usate per esprimere emozioni forti: inglese (fuck off), francese (Va te faire foutre/enculer), spagnolo (vete a tomar por culo), brasiliano (vai tomar no cu), ungherese (baszon meg)

    Alberto Sordi fa il gesto dell’ombrello (dal film “I vitelloni”).

  2. FOTTITI. Che cosa vuol dire questa espressione? Potrebbe essere un invito alla masturbazione, ma secondo lo psicologo Steven Pinker, almeno in inglese (fuck you) potrebbe essere una contrazione di “God fuck you“, che Dio ti fotta. Ha anche un equivalente in tedesco (fick dich).
  3. VÀ A DÀ VIA I CIAP / VA A DÀ VIA IL CÙ (milanese) = vai a dare via le chiappe/il culo.
  4. VATTELA A PIJÀ ‘NDER CULO (DE RETROMARCIA) (romanesco) = vattela a prendere in culo (in retromarcia). Ha un equivalente in portoghese (Pau no cu, cioè cazzo in culo) e in ungherese (Baszon meg, possa qualcuno fotterti).
  5. ‘NCULO A SORETA/A MAMMETA (napoletano) = in culo a tua sorella/mamma; VAFFANCULO A MAMMETA E ‘NTA A FESSA E SORETA (napoletano) = vaffanculo a tua mamma e dentro la vulva di tua sorella. Offendere madri e sorelle, prefigurando che siano sodomizzate: tutte fantasie difficili da sopportare. Equivalente, ma iperbolica, la maledizione araba MILLE CAZZI NELLA FIGA DI TUA MADRE (Aleph Aeer Eb Koos Omak)
  6. VA’ A FOTTERE TUA MADRE: maledizione incestuosa in arabo (Kis em ick).
  7. UN CAZZO DI CAVALLO NEL TUO CULO: è un’espressione ungherese (Lofasz a segedbe). Avete presente le dimensioni?
  8. VAFAMMOCC A CHI T’È MUORT (napoletano) = vai a fare un bocchino a chi ti è morto. Terribile profanazione dei defunti!
  9. METTI LA TUA TESTA NELLA FIGA DI UNA MUCCA E ASPETTA FINCHÉ ARRIVA UN TORO A INCULARTI: lunghissima maledizione dal Sud Africa (Sit jou kop is die koei se kont en wag tot die bul jou kom holnaai)
VIOLENZE FISICHE, MALATTIE E ALTRI DANNI
  1. VAI ALLA MALORA = rovina. Ha un equivalente in messicano (mandar a alguien a la chingada, cioè mandare qualcuno a puttane).
  2. CHE DIO TI FULMINI / STRAFULMINI: ha origine dalla credenza dei pagani in Giove pluvio che lanciava fulmini sulla Terra.

    “Che Dio vi fulmini” (in romanesco): striscione allo stadio.

  3. CHE DIO TI MALEDICA / CHE TU SIA MALEDETTO. Si augura un destino rovinoso a una persona, per volontà di Dio stesso. Ha espressioni equivalenti in inglese (God damn you) e in arabo (Allah Yela’ an).
  4. CHE TE POSSINO CECATTE (romanesco) = accecarti. Si augura una grave e permanente menomazione fisica
  5. ACCIDENTI = che ti venga un accidente. Ha un equivalente in ungherese (A pokolba vele).
  6. MANNAGGIA = mal n’aggia, che tu abbia male
  7. VA GHETTA SANGU (siciliano) = vai a buttare sangue, ovvero che tu abbia una morte violenta per dissanguamento.
  8. VAI A GIOCARE A MOSCA CIECA IN AUTOSTRADA / SUI TETTI = vai a fare un’attività pericolosa dalla quale difficilmente uscirai vivo o incolume.
  9. VA A ONGES (milanese) = vai a ungerti. Si basa sulla credenza antica che la peste si prendesse a causa di misteriosi unguenti malefici che i malvagi spargevano sulle porte, sui muri, sulle cose
  10. CHE TI VENGA UN CANCRO: è una delle espressioni che nel volgarometro, un sondaggio fra i navigatori di questo blog, è risultata fra le più offensive in italiano.
  11. CHE TI VENGA UN COLPO: è una maledizione in tedesco (Den soll der schlag treffen).
  12. CHE TI VENGA IL COLERA: è un antico modo di dire olandese (krijg de keleren), retaggio di quando la malattia era diffusa.
  13. CHE TI VENGA UN’INFEZIONE ALL’UCCELLO: pesante maledizione araba (waj ab zibik), che probabilmente si riferisce alla gonorrea. Del resto ancora oggi in siciliano c’è l’esclamazione “Che camurria!” (= che seccatura) che deriva proprio dal termine gonorrea.  
MORTE E OLTRETOMBA
    1. La più celebre maledizione romanesca in versione inglese.

      VAI A QUEL PAESE / IN QUEL POSTO (= nell’aldilà, al cimitero= muori): è un modo eufemistico di augurare la morte a qualcuno. L’attore Alberto Sordi ha interpretato questo modo di dire in una celebre canzone ironica  “E va e va” (Te c’hanno mai mannato a quel paese, sapessi quanta gente che ce sta”)

    2. VAI AL DIAVOLO / ALL’INFERNO. Per chi crede nell’aldilà, si augura il tormento eterno nella vita ultraterrena. Ha espressioni equivalenti in olandese (Loop naar de hel), tedesco (hol’ dich der teufel), ungherese (Az ordog vigye).
    3. CHE IL DIAVOLO TI PRENDA. Anche questa frase fa leva sulla credenza nei diavoli e nell’inferno. Ha equivalenti anche in francese (Que le diable t’emporte), portoghese (Que o capeta carregue), danese (Fanden ta).
    4. VÀ A MORÌ AMMAZZATO (romanesco): vai a morire ammazzato.
    5. CHE TE POSSINO AMMAZZATTE (romanesco) = che possano ammazzarti. Può essere sintetizzato, in modo eufemistico, in “Te possino”.
    6. CREPA!  Dare l’ordine di morire è un assurdo, in realtà questo imperativo è in realtà un augurio (che tu possa crepare). In napoletano, infatti, si dice “Puozze schiattà”.
    7. CHE POSSA MORIRE TUTTA LA TUA FAMIGLIA: è una maledizione cinese (Hahm gaa chàan) e prefigura un’ecatombe familiare.
    8. LI MORTACCI TUA (romanesco) = i tuoi spregevoli defunti: la frase potrebbe essere una contrazione di “siano maledetti i tuoi spregevoli defunti”. Ha un equivalente in napoletano: “All’anm e chi t’è muort”, all’anima di chi ti è morto (abbreviato anche in “Chi te mmuort”) e in in arabo (Yin’al mayteen ehlak, siano maledetti i tuoi antenati).
    9. SPARATI! In questo caso, è davvero un ordine.
SITUAZIONI IMBARAZZANTI / RIDICOLE / ASSURDE
  1. CAGATI IN MANO E PRENDITI A SCHIAFFI: è un modo visionario di smerdare qualcuno.
  2. VAI IN MONA (veneto) = mona è la vulva: il detto significa quindi letteralmente “torna da dove sei venuto”, a cui si aggiunge lo sgradevole pensiero della vulva della propria madre.
  3. VAI A PETTINARE LE BAMBOLE / LE OCHE = a fare un’attività inutile e noiosa
  4. VA A CAGARE (SULLE ORTICHE) / VA A CAGHER (bolognese). A questa espressione ho dedicato un approfondimento qui. Il contatto con gli escrementi ha ispirato anche lingue, come lo spagnolo (vete a la mierda, vattene alla merda) e l’arabo (Khara alaik, che ci sia merda su di te).

    Versione goliardica (in bolognese) di “Keep calm”.

  5. VÀ SCUÀ L MAR CUN VERT L’UMBRELA (milanese)  = Vai a spazzare il mare con l’ombrello aperto. Impresa assurda e inutile, come le successive.
  6. VA A SCUÀ IN DUÈ CHE L’È NETT  (milanese) = Vai a scopare dove è pulito. Assurdo e inutile.
  7. VÀ SCUÀ L MAR CUN LA FURCHÈTA (milanese) = Vai a spazzare il mare con la forchetta. Provateci!
  8. VÀ A BAGG A SONÀ L’ORGAN (milanese) = vai a Baggio a suonare l’organo: nel quartiere milanese di Baggio c’è, in una piccola cappella votiva, un dipinto che rappresenta un organo, quindi si invita a fare una cosa impossibile.
  9. VÀ A MUNG AL TOR!  (milanese)  =  Vai a mungere il toro. Impresa non solo impossibile ma anche pericolosa.
  10. VÀ A TASTÀ I GAIJN  (milanese) =  Vai a tastare le galline. Impresa assurda oltre che difficile.
  11. VÀ A ‘DRISÀA I BANAN  (milanese)  = Vai a raddrizzare le banane. Impossibile correggere la natura! Almeno a mani nude…
  12. CHE POSSA CRESCERTI UN CAZZO IN FRONTE: immaginifica maledizione in russo (stoby u nego xuy na lbu vyros).
  13. UN MIGLIAIO DI CAZZI NELLA TUA RELIGIONE: maledizione araba (Elif air ‘ab tizak). La guerra santa si fa anche a colpi di maledizioni a sfondo sessuale.
  14. VAI A SCIARE IN UNA FIGA: maledizione finlandese (suksi vittuun). Evoca una situazione impossibile, per quanto interessante…  

MALEDIZIONI BONARIE
  1. Jean-Luc Picard (personaggio di Star Trek) con la maledizione bonaria in milanese (da memegen.it).

    VAI A FARTI BENEDIRE: una benedizione come maledizione… Sembra una contraddizione, ma è un modo per augurare la morte o un esorcismo.

  2. VAI A FARTI FRIGGERE: straordinaria fantasia culinaria!
  3. ATTACCATI AL TRAM: un tempo i tram avevano delle sporgenze esterne, utilizzabili come maniglie, che venivano utilizzate dai ritardatari che si “attaccavano” al tram in corsa. Questo valeva anche per tutti quelli che volevano viaggiare gratis
  4. VAI A RANARE (milanese) = vai a prendere le rane, compito non facile visto che saltano.
  5. VÀ A CIAPÀ I RATT (milanese) = Vai ad acchiappare i topi, impresa ancor più difficile a mani nude.
  6. VAI DOVE CRESCE IL PEPE: espressione norvegese (Dra dit pepper’ngror), è un modo per scacciare qualcuno lontano, visto che la pianta è di origine orientale.

Una storia millenaria

Come avrete notato, c’è una sorprendente corrispondenza fra i modi di dire di lingue anche lontane. Perché, come dicevo all’inizio, le maledizioni hanno una lunghissima storia. Un tempo, infatti, le maledizioni erano formule che si inserivano in un rito preciso. Gli antichi Greci (come anche gli ebrei, gli egizi e tutte le culture antiche) prendevano un’unghia o un capello del nemico, pronunciavano su di esso una formula di maledizione (“possa tu soffrire le pene più dolorose…”) e poi lo bruciavano o lo gettavano in un pozzo o in un fiume, con una tavoletta su cui era incisa la maledizione. Nella formula erano citati, con un crescendo meticoloso, tutti gli organi del nemico fino alla sua anima.

Il calciatore brasiliano Romario sembra mandare qualcuno a quel paese.

Lo storico inglese William Sherwood Fox spiega questo rito con una metafora postale: la tavoletta su cui era incisa la maledizione era la lettera; il pozzo, la buca per lettere; gli spiriti dei trapassati erano i postini; gli dèi degli inferi i destinatari; la formula di accompagnamento era il francobollo di posta prioritaria.
Centinaia di queste tavolette sono state ritrovate dagli archeologi: come ha scritto Sigmund Freud, “è una bella fortuna che tutti questi desideri non posseggano l’efficacia che gli uomini preistorici attribuivano loro, giacché altrimenti sotto il fuoco incrociato delle maledizioni reciproche l’intera umanità sarebbe già da gran tempo andata distrutta».
Un esempio – molto divertente – di maledizione all’antica è questo numero di cabaret di Antonio Albanese, qui nei panni del siciliano Alex Drastico, un tipo molto incazzoso. Ecco la sequela di disgrazie che Drastico augura al ladro che gli ha rubato il motorino (dal minuto 1:50): “Che si spenga in una notte tutta buia, mentre incrocia un grosso tir guidato da un camionista ubriaco, morto di sonno e per di più inglese, e che per questo tiene la sinistra….”

Mentalità superstiziosa

Le maledizioni, dunque, appartengono al regno dell’immaginazione: sono profezie rivolte al futuro, e si basano sull’effetto nocebo (il contrario del placebo): costringono il destinatario a fare un pensiero sgradevole, spingendolo ad avere aspettative negative sul proprio destino. E a volte ci si suggestiona al punto da fare davvero andar male le cose.
La nostra lingua (e molte altre, come abbiamo visto) sono piene di queste espressioni, che a volte non sono immediatamente riconoscibii: l’espressione “accidenti” è la contrazione di “che ti venga un accidenti”, “mannaggia” è la contrazione di “mal n’aggia”, cioè abbia male.

Mandare qualcuno a quel paese è come fargli un rito vudu (foto Shutterstock).

Del resto, nonostante ci professiamo razionali, viviamo ancora di superstizioni, anche in senso positivo.
per esempio, dire “buon mattino” significa indurre un’aspettativa positiva, soprattutto all’inizio della giornata, dato che fin dai tempi antichi si credeva che le prime ore del giorno fossero determinanti per il resto della giornata. E lo stesso valore hanno anche le espressioni “in bocca al lupo”, “buona fortuna“, “in culo alla balena“, etc.
La nostra letteratura è piena di maledizioni: basti dire che nella Bibbia (Genesi, 3:14-19) è Dio stesso a maledire il serpente che tentò Adamo ed Eva (“Poiché hai fatto questo, sii tu maledetto più di tutto il bestiame, sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita…”).
Volete approfondire? Trovate molti altri esempi e citazioni letterarie nel mio
libro.

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In quale lingua imprecano i bilingui? https://www.parolacce.org/2017/04/30/parolacce-e-bilinguismo/ https://www.parolacce.org/2017/04/30/parolacce-e-bilinguismo/#comments Sun, 30 Apr 2017 10:15:04 +0000 https://www.parolacce.org/?p=12188 Daniela è un’italiana che vive a Madrid da 5 anni. “Parlo in spagnolo e sogno in spagnolo. Ma quando mi arrabbio è più forte di me: comincio a imprecare in italiano. E’ qualcosa di viscerale e quindi uso la mia… Continue Reading

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(elaborazione foto Shutterstock)

Daniela è un’italiana che vive a Madrid da 5 anni. “Parlo in spagnolo e sogno in spagnolo. Ma quando mi arrabbio è più forte di me: comincio a imprecare in italiano. E’ qualcosa di viscerale e quindi uso la mia lingua. Per quanto si sappia bene un’altra lingua, è molto difficile che si riescano a usare correttamente le sue parolacce. Come ho letto in un libro: ‘Le parole sono quelle, ma manca la musica…’”.
Il racconto di Daniela pone una questione intrigante: come usano il turpiloquio le persone bilingui? E perché anche chi padroneggia un nuovo idioma continua a imprecare nella lingua madre?
Il fenomeno non è isolato, tanto che diversi studi scientifici – che vi racconto in questo articolo – ne hanno approfondito le ragioni con alcuni esperimenti. Ed è un tema d’attualità, visto che solo nel 2015 (ultimi dati Istat)  oltre 147mila italiani sono emigrati all’estero, per lo più in Regno Unito, Germania, Svizzera e Francia.
Dedico questo articolo a loro, tanto più che fra le centinaia di migliaia di navigatori di questo sito, il 28% risiede all’estero: soprattutto negli Usa, in Russia, Germania, Francia, Cina, Ucraina, Regno Unito, Svizzera, Brasile, Spagna, Paesi Bassi, Canada.

Quando si va a vivere in un nuovo Paese, spesso le parolacce sono una delle prime curiosità: come ci si manda affanculo in spagnolo? (Risposta: va a la mierda). Come si dice “culona” in inglese? (Fat ass). E così via.

Poster sulle parolacce italiane e inglesi (clic per ingrandire).

Queste domande, infatti, soddisfano una fantasia profonda: imparare le parole di un’altra lingua significa immergersi in una cultura diversa. Si può guardare il mondo da un altro punto di vista, e questo apre la mente a nuove prospettive, facendoci capire che il nostro sistema di valori non è l’unico possibile. Anche con le parole scurrili.
E oltre a stimolare la fantasia, conoscere il turpiloquio in un’altra lingua è utile. Anzi: è fondamentale.
Per vivere in un altro Paese, infatti, non basta saper chiedere un biglietto del treno in stazione o sapere se bisogna lasciare una mancia al bar. E’ altrettanto importante saper riconoscere gli insulti, per capire se qualcuno ci sta offendendo o prendendo in giro, come racconto nel mio
libro.
Dunque, anche se nessun testo scolastico le insegna, le espressioni volgari sono parte integrante della competenza linguistica, ovvero del saper parlare e capire un altro idioma.
Sfoggiare una parolaccia durante una chiacchierata con nuovi amici stranieri fa guadagnare punti e simpatia: si dà l’impressione di padroneggiare la nuova lingua, e di essere pienamente integrati. Ma è anche un azzardo: dire una parolaccia al momento sbagliato o alla persona sbagliata, fa fare pessime figure. L’abbiamo visto, per esempio, quando ho raccontato i gesti da non fare all’estero.

E lo stesso avviene quando si usano espressioni gergali. Ne sa qualcosa Emanuela, una milanese che vive a Dallas (Usa) dal 2006. Ecco che cosa le è successo durante un party estivo.

GAFFE
“Dopo un bel bicchiere di bianco a stomaco vuoto, ho detto a mr Johnson, il giapponese: “You’re a bad ass!”. Mr. Johnson mi ha guardato con aria interrogativa. Fra i presenti è calato il gelo. La mia amica mi ha dato una gomitata. Quell’espressione voleva dire “sei un gran figlio di puttana”; in realtà volevo dirgli che era un furbacchione (smart ass).
In totale imbarazzo ho cercato di giustificarmi: “Ma non è una brutta parola, vero? L’ho sentita usare tante volte…”.
La mia amica con lo sguardo severo mi ha detto: “Cara, non direi mai quell’espressione se sono fra persone educate”.

(elaborazione foto Shutterstock)

Ma non è tutta colpa mia! L’inglese è pieno di espressioni con ass (culo): asshole (stronzo), damn ass (coglione), asswipe (stronzo), pain in the ass (cagacazzi), sweat your ass off (farsi il culo), make an ass of yourself (fare la parte del cretino), kiss my ass (baciami il culo), ass head (testa di cazzo), ecc. E orientarsi è difficile: in un’altra lingua occorre tempo per distinguere un’espressione colorita e divertente da una considerata volgare e offensiva. Per questo si finisce a volte per usare espressioni che non si direbbero mai nella propria. E c’è un ulteriore problema: la stessa parola, se si vuole usare uno stile confidenziale e informale, detta da un madrelingua e da uno straniero può acquistare significati molto diversi, anche se è pronunciata correttamente”. 

Le parolacce, infatti, sono parole emotivamente cariche: e come è difficile tradurre le emozioni a parole, così è difficile tradurre tutte le sfumature di una parola volgare da una lingua all’altra (ne parlavo qui a proposito delle traduzioni, spesso inaccurate, dei film).
Dunque, padroneggiare le parolacce in un’altra lingua è davvero difficile, perché sono parole ricche di sfumature di significato, le connotazioni. E’ per questo, allora, che quando sono infuriati, gli emigrati imprecano nella loro lingua madre? Un esperimento ha dimostrato che non è tanto una questione di conoscenza linguistica: è soprattutto una questione emotiva.
Gli scienziati l’hanno accertato con un esperimento interessante: sono riusciti infatti a quantificare la carica emotiva delle parolacce nelle persone bilingui. In che modo? Misurando la loro… carica elettrica.
Le parolacce, infatti, oltre ad essere controllate dalle aree del cervello che elaborano le emozioni (vedi il mio articolo sull’anatomia del turpiloquio) hanno anche un effetto fisico: quando le si ascolta, nel giro di 1 secondo fanno aumentare la sudorazione della pelle, facendo salire per 2-6 secondi la sua conduttività elettrica, che si può misurare con alcuni elettrodi applicati alle dita della mano. Leggere o dire una parolaccia, infatti, significa rompere un tabù e questo è uno stress per il nostro corpo, oltre che per la nostra mente.

Un esperimento elettrico

Apparecchio per misurare la conduttanza della pelle.

Così due ricercatrici inglesi, Tina Eilola e Jelena Havelka, psicologa dell’università di Leeds (Uk) hanno deciso di sfruttare questo effetto per misurare, nei bilingui, le risposte emotive alle parolacce nella lingua madre (L1) e nella seconda lingua appresa (L2)Per fare questo studio hanno reclutato 72 volontari: 39 madre lingua inglese e 33 bilingui (greco e inglese).
A tutti hanno applicato alcuni elettrodi a due dita delle mano (v. foto): servivano a misurare la risposta galvanica (Galvanic skin response, la conduttività elettrica) della pelle mentre leggevano liste di parole (neutre, positive, negative e parolacce) in ambo le lingue. Queste parole erano stampate in diversi colori: i volontari, guardandole, dovevano dire ad alta voce il loro colore.
In  una riga, per esempio, poteva essere scritta una sequenza del genere:

ciao     merda     miele     incidente     auto

Il test sfruttava l’effetto Stroop, noto da decenni in psicologia: quando svolgono un compito del genere, le persone hanno un momento di esitazione (tempo di latenza), soprattutto se il colore di una parola è diverso dal suo significato (per esempio, se la parola blu è scritta in un altro colore, per esempio in rosso).

Questa esitazione avviene anche quando bisogna indicare il colore di parole forti, che fanno aumentare la conduttività della pelle.
Il risultato dell’esperimento è stato inequivocabile: sia i parlanti monolingua che i bilingui avevano le esitazioni più lunghe e i picchi più alti di corrente quando dovevano leggere parole negative o scurrili.
Nei bilingui, però, i valori elettrici erano più alti con le parolacce scritte nella lingua madre (L1) invece che in quella appresa poi (L2): segno inequivocabile che la seconda lingua è emotivamente meno carica.

Perché avviene questo? Secondo una ricerca di Jean-Marc Dewaele, linguista dell’Università di Londra, molto dipende dall’età e dal contesto in cui si impara una lingua: se la si apprende da bambini (entro i 12 anni di età), si assorbono anche i colori emotivi associati alle espressioni.

Uno dei pochi dizionari di parolacce in inglese.

Tanto più se si impara una lingua nei contesti naturali, attraverso le interazioni con altre persone: i significati di una parola non sono trasmessi solo da dizionari e regole grammaticali, ma soprattutto dai toni di voce e dalle espressioni facciali di chi le pronuncia. Uno psicologo statunitense, Albert Mehrabian, ha scoperto infatti che solo il 7% della comunicazione è espressa dalle parole; la maggior parte dei contenuti passano soprattutto attraverso i movimenti del corpo e la mimica facciale (55%) e da volume, tono, ritmo e di voce (38%). La comunicazione non-verbale trasmette più informazioni di quella verbale.
Ecco perché, in caso di tempesta emotiva, chi diventa bilingue in età adulta impreca nella propria lingua d’origine.
Ma questa differenza emotiva non è solo uno svantaggio: chi vive all’estero spesso racconta che nella nuova lingua – inglese, spagnolo o francese che sia – riesce a parlare meglio di argomenti spinosi o a prendere decisioni difficili. Una lingua meno “calda”, quindi, aiuta a guardare le cose con più distacco e lucidità.
Insomma, come diceva re Carlo V D’Asburgo e di Spagna (1500-1558) “parlo in spagnolo a Dio, in italiano alle donne, in francese agli uomini, e in tedesco al mio cavallo.”

TESTIMONIANZE

Avviene così anche per voi, se vivete fuori dall’Italia? E i vostri figli come dicono le parolacce? Nella lingua del Paese in cui vivete, o in italiano? E se avete un marito/moglie straniero, vostro figlio in quale lingua impreca?
Raccontate le vostre esperienze nei commenti a questo post. E’ un campo tutto da indagare.
Tra l’altro, proprio in questi giorni la Stampa ha parlato del successo di Gabriele Benni, un bolognese trapiantato in Cile. Ha un grande successo come comico perché usa con nonchalance un sacco di parolacce che – se fossero dette da un cileno – farebbero scandalo; lui invece, da straniero, le dice con innocente e incosciente leggerezza, anche se conosce benissimo il loro significato: e questo genera un effetto ridicolo irresistibile….

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Parolacce da colorare: funzionano? https://www.parolacce.org/2017/01/27/libro-disegni-parolacce/ https://www.parolacce.org/2017/01/27/libro-disegni-parolacce/#respond Fri, 27 Jan 2017 12:58:46 +0000 https://www.parolacce.org/?p=11624 Si possono urlare, ascoltare, leggere, mimare a gesti e disegnare (nei fumetti o nelle chat). E ora per le parolacce si apre un nuovo canale espressivo: si possono anche colorare. L’ho scoperto nelle scorse settimane: un editore francese, Procraste &… Continue Reading

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Si possono urlare, ascoltare, leggere, mimare a gesti e disegnare (nei fumetti o nelle chat). E ora per le parolacce si apre un nuovo canale espressivo: si possono anche colorare. L’ho scoperto nelle scorse settimane: un editore francese, Procraste & Nobel, ha pubblicato un volume intitolato “Il mio libro di parolacce da colorare” (74 pagine, 7,8 €), “per sfogarsi e rilassarsi”, recita il sottotitolo. Sono 34 tavole di eleganti disegni in bianco e nero, che si possono colorare a piacimento. A centro pagina, altrettante espressioni ingiuriose, da “bastardo” a “vaffa”.
L’iniziativa mi ha incuriosito: chi l’ha lanciata, e perché? A chi può piacere un libro del genere? E’ nata una nuova era per le parolacce? Ho fatto due chiacchiere con l’autore: si chiama Romuald Jay ed è un giornalista francese. 

“L’idea del libro è nata perché in Francia i libri da colorare hanno successo”, racconta. “Così ho cominciato a navigare su Internet, e ho visto che negli Usa c’erano diversi libri di parolacce da colorare. Dato che mi piace scherzare e dire battute, l’idea mi è piaciuta: così abbiamo migliorato i disegni e l’abbiamo pubblicato in Francia”.
Una delle curiosità principali che avevo era capire quali parolacce fossero state scelte per questa insolita pubblicazione, e con quale criterio. Ecco la lista, in ordine alfabetico:

Bastardo, Brutta Stronza, Cacchina, Canaglia, Coatto, Coglione, Cretino, Dannazione, Deficiente, Disgraziato, Farabutto, Imbecille, Manica di incapaci, Mannaggia, Me ne frego, Merda, Merdoso, Mezza calzetta, Mollusco, Porca Miseria, Porca Puttana, Rimbambito, Rompiballe, Rompicoglioni, Scemo, Schifoso, Scimunita, Sfigato, Stronza, Tamarro, Testa di Rapa, Vaccona, Vaffa.


Dunque, soprattutto insulti e qualche imprecazione, con un livello di offensività medio (come potete controllare sul mio
volgarometro). “Per fare un libro divertente e attraente, le parolacce dovevano essere offensive ma non troppo”, spiega Jay. “Dato che le parolacce sono stampate a caratteri cubitali, non sarebbe stato gradevole vedersi stampato in grande formato delle espressioni troppo offensive. E siccome non è facile tradurre le volgarità da una lingua all’altra, per l’edizione italiana ho chiesto aiuto a un amico italiano: abbiamo discusso a lungo sulla risonanza sociale di ciascuna di queste espressioni prima di elaborare l’elenco”.
Giusto scrupolo, ma devo dire che l’elenco mi convince solo in parte: alcune espressioni, incastonate nei ghirigori artistici mi fanno sorridere (canaglia, sfigato, mezza calzetta, cacchina, tamarro, vaccona); altre le trovo meno efficaci (mannaggia, dannazione, manica di incapaci, testa di rapa). In più la lista ha qualche scivolata sessista: perché stronzo è declinato solo al femminile? Visto che l’espressione è presente due volte, si poteva pensare a un’alternanza, tanto più che stronzo è una delle espressioni che più spesso le donne usano verso gli uomini che le feriscono o le deludono. L’idea, comunque, è simpatica: io però avrei osato di più. La pesantezza degli insulti sarebbe stata compensata dall’eleganza dei disegni. Ma capisco anche che un libro con un “Testa di cazzo” stampato su doppia pagina può creare qualche imbarazzo se lo si colorasse in treno, per esempio.

A parte questo, il libro funziona? “In Francia sta avendo un buon successo: è un modo originale di scaricare lo stress. In Italia è ancora presto per fare valutazioni, è uscito da poco”, risponde Jay.
Che le parolacce aiutino a sfogarsi, è un dato di fatto: sono un modo per esprimere l’aggressività verso una persona (ma senza fare a botte), e, si è scoperto con un esperimento che ho raccontato qui, aiutano a sopportare il dolore. Questo effetto si ha anche colorandole?
Ho tante passioni, ma non quella di colorare: non saprei cosa rispondere. Se qualcuno dei navigatori ha comprato questo libro e l’ha usato, sono curioso di saperne il parere.
Posso dire, però, che troverei più intrigante colorare le versioni del libro in altre lingue: non tanto quella tedesca o spagnola, quanto quella francese, perché alle orecchie di noi italiani le volgarità in questa lingua hanno un alone raffinato, in contrasto col loro significato: cagole (donna volgare, zoccola), bordel de merde (bordello di merda, usato come imprecazione: equivale a “e che cazzo!”), Madame connasse (signora cogliona), emmerdeur (rompicoglioni), vieux con (vecchio coglione), couille molle (palle mosce), petit caca (cacchetta).  Un insieme di offese anche pesanti, ma espresse con parole chic. Come regalo per un goliarda non è male.

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