statistica | Parolacce https://www.parolacce.org L'unico blog italiano di studi sul turpiloquio, dal 2006 - The world famous blog on italian swearing, since 2006 - By Vito tartamella Mon, 18 Oct 2021 17:17:36 +0000 it-IT hourly 1 https://www.parolacce.org/wp-content/uploads/2015/06/cropped-logoParolacceLR-32x32.png statistica | Parolacce https://www.parolacce.org 32 32 I mille modi di dire “bunga bunga” https://www.parolacce.org/2017/11/14/vocabolario-atti-sessuali/ https://www.parolacce.org/2017/11/14/vocabolario-atti-sessuali/#respond Tue, 14 Nov 2017 10:28:53 +0000 https://www.parolacce.org/?p=13218 Ho fatto un giro di giostra. Me la sono fatta. L’ho battezzata. Ho inzuppato il biscotto. L’ho aperta come una cozza…. Quando si parla di un rapporto sessuale, si usano espressioni colorite. Molte, però, non sono il massimo della gentilezza:… Continue Reading

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T-shirt goliardica di Fermento Italia (Lecce).

Ho fatto un giro di giostra. Me la sono fatta. L’ho battezzata. Ho inzuppato il biscotto. L’ho aperta come una cozza….
Quando si parla di un rapporto sessuale, si usano espressioni colorite. Molte, però, non sono il massimo della gentilezza: sono verbi nel migliore dei casi goliardici, ma spesso crudi e a volte offensivi per le donne.
Perché è così? Quanti modi abbiamo per descrivere l’atto sessuale? Ci sono metafore più efficaci di altre? E cosa svelano sul significato dell’erotismo?
Tempo fa, avevo fatto un censimento degli appellativi dei genitali: ne era emerso un quadro ricchissimo (avevo trovato 744 nomi per il pene, 595 per la vulva), e quel  post è diventato uno dei più letti di questo sito.
Ora ho esaminato le parole sugli atti sessuali: a quanto ne so, è il primo censimento (meglio: analisi semantico-statistica) di questo genere in Italia. E anche in questo caso il risultato è stato sorprendente: in italiano – escludendo le espressioni dedicate a  masturbazione, rapporto orale e anale – abbiamo 987 termini per designare l’amplesso, da “annaffiare” a “zappare” (in quel senso lì).
Sono circa 1/3 di tutto il lessico erotico. E rivelano due modi fondamentali con cui intendiamo il sesso: come piacere condiviso, o come atto di sopraffazione. Uno scenario che si registra non solo nella cultura italiana, ma anche in altre lingue: inglese, francese, portoghese, spagnolo, tedesco, russo, greco (vedi box più sotto)… Ora scopriremo perché.

Censimento a luci rosse

Doppio senso provocatorio uscito su “Libero”.

Ma prima di approfondire questo punto, val la pena raccontare come sono arrivato a questo risultato. Per censire tutte le parole del sesso ho consultato il monumentale “Dizionario storico del lessico erotico” di Valter Boggione e Giovanni Casalegno (Tea/Utet, 1999). Un’opera che tiene conto di tutti, ma proprio tutti i termini sessuali usati in 8 secoli di letteratura italiana: dalle metafore alle allusioni, dai termini arcaici a quelli moderni, dagli eufemismi infantili ai termini scientifici, fino alle espressioni più volgari.

Gli autori, con pazienza certosina, hanno catalogato le espressioni a seconda del tipo di metafora usata: “Da quando ha raggiunto la civiltà, l’uomo si è scontrato con la necessità di nominare l’innominabile” scrive Boggione. “Per far questo, ha fatto innanzitutto ricorso ai termini che gli erano messi a disposizione delle altre funzioni corporali: il mangiare e il bere, il dormire, il muoversi e il camminare; poi dalle attività quotidiane, il lavoro, la guerra, il divertimento”.

I risultati: movimento, lavoro e guerra

Le statistiche sulle metafore dell’atto sessuale (clic per ingrandire).

Per descrivere l’amplesso – clicca sulla torta qui a lato – si usano soprattutto le metafore ricavate da atti e movimenti (chiavare, ficcare:, 21,4%), dai lavori (scopare, seminare: 14,7%), e dalla guerra (dare un colpo, fare un giro di giostra: 9,6%). Questi tre tipi di metafore, insieme, rappresentano quasi la metà (45,7%) di tutte le metafore sul sesso. Ed è logico, dato che il sesso è un’attività dinamica.
Fra queste espressioni, possiamo approfondire quella più usata in italiano: “scopare” (che è l’8a parolaccia più pronunciata, come scrivevo in questo altro articolo).
In questa espressione, il pene è paragonato a una scopa, e l’organo femminile come locale da ripulire. Questa immagine era già stata usata nell’antica poesia greca (Saffo, Anacreonte) e nella commedia classica di Aristofane. Ed è riapparsa in italiano fra fine ‘400 e inizio ’500, nella tradizione dei canti carnevaleschi toscani. All’epoca si usavano anche altre metafore: nettare, ripulire, spazzare, rimonare. Inizialmente il complemento oggetto di questi verbi era l’organo femminile (designato con immagini tipo “cameretta”); solo negli ultimi due secoli poi avrà come complemento oggetto la donna (“Ho scopato quella tipa”).
Come nel canto rinascimentale “Scope, scope, o bone gente”: “Queste scope allo spazzare non faran polvere niente; se sapete pur menare con la scopa destramente (…)  Se la donna con destrezza nostra scopa adopra piano, averà tal contentezza che restar mai vorrà invano”.

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METAFORE SESSUALI

TIPI DI METAFORE QUANTITA’ % SUL TOTALE
azioni (farsi, maneggiare) 27 2,7
alimentazione (infornare, inzuppare, pestare, pappare) 79 8,0
cura del corpo (fregare, grattare, pettinare) 17 1,7
abbigliamento (alzare la gonna) 5 0,5
atti e movimenti (sbattere, montare, pestare, chiavare, trapanare, ficcare, impalare, sfondare) 211 21,4
sonno (giacere, andare a letto) 19 1,9
desideri (starci, soddisfare, darsi) 41 4,2
proprietà (possedere, usare, ingrufare) 25 2,5
vita sociale (conoscersi, accompagnarsi, amarsi, fare l’amore) 91 9,2
guerra (dare un colpo/una botta, fare un giro di giostra, ficcare) 95 9,6
lavori (annaffiare, arare, pompare, seminare, scopare) 145 14,7
piaceri (ruzzare, trastullarsi, trombare) 86 8,7
vita morale (libidinare, fornicare, peccare) 46 4,7
natura (beccare, cavalcare, uccellare, montare, ingroppare, deflorare) 80 8,1
altre voci (fottere, picciare, sveltina) 20 2,0
TOTALE 987 100

COME SI DICE ALL'ESTERO

Inzuppare il biscotto: una metafora sessuale sia in spagnolo che in italiano.

I modi linguistici di descrivere l’amplesso hanno ispirato una giovane brianzola, Laura Mangone, 28 anni. Si è laureata all’Accademia di Design di Eindhoven (Paesi Bassi) con una tesi su questo argomento: ha raccolto una serie di espressioni crude sull’atto sessuale in varie lingue, e le ha rappresentate in disegni (sono visibili sul suo sito sexpressions), per mostrarne la carica offensiva Alcuni esempi?

  • In spagnolo far l’amore si dice “Ti misuro il livello dell’olio” (Te mido el aceite) o “Ti taglio come un formaggio” (Te parto como un queso)
  • in portoghese, le crude espressioni “Affogare l’oca” (Afogar o ganso) e “Aprire il granchio” (Abrir o caranguejo)
  • in inglese,Lanciare il missile di carne” (Launching the meat missile) o “Sbattere il salmone” (To smack the salmon) o “L’ho avvitata” (I screwed her)
  • in greco, il cruento “Ho strozzato il coniglio” (πνιγω το κουνελι)
  • in rumenoL’ho gonfiata come un palloncino” (Am umflat-o)
  • in tedesco, lingua poco incline alle volgarità: “Ho fatto entrare il treno” (Den zug einfahren lassen)
  • in francesePiantare un giavellotto nella moquette” (Je plante le javelot dans la moquette), forse per alludere all’eccezionalità del risultato
  • in austriacoDemolire la casa” (das haus abreißen), “Ripulire la cantina” (ihre kantine putzen) o “Nascondere la banana” (die banane verstecken).

«Con questi modi di esprimerti ti abbassi come persona» dice Laura. «La donna è trattata  come oggetto e non come soggetto, in una prospettiva maschilista. C’è un io che fa qualcosa ma mai un noi». La posizione, come vedremo qui sotto, non è nuova. Ma va inquadrata in un’ottica più ampia: lo scontro fra natura e cultura. Per capirlo, dobbiamo analizzare i verbi dell’amplesso.

Sesso transitivo e sesso intransitivo

L’antropologo Ashley Montagu definisce “fottere” un verbo transitivo per il più “transitivo” degli atti umani:  i verbi transitivi sono quelli in cui il verbo non esaurisce l’azione in sé ma la estende su un “oggetto” (“Ho scopato Maria”).
Così ho voluto verificare quanto siano diffusi i verbi nel vocabolario italiano dell’erotismo: ne ho trovati 593, pari al 60,1% del totale dei lemmi. Quando si tratta di descrivere l’atto sessuale, insomma, i verbi sono i più usati rispetto ai sostantivi (botta, colpo, coito, amplesso).

Pubblicità contro corrente: è la donna che “si fa” l’uomo.

Ma sono tutti transitivi questi verbi? In realtà, quelli usati nelle espressioni meno volgari sono proprio i verbi intransitivi: fare sesso, fare l’amore, andare a letto insieme, avere un rapporto, accoppiarsi, copulare. Non sono nemmeno verbi a sè stanti, ma espressioni idiomatiche costruite associando un sostantivo o un aggettivo a un ausiliare. Non descrivono un cambiamento (fatto o subìto) ma sono azioni simmetriche: Mario ha fatto l’amore con Lucia o Lucia ha fatto l’amore con Mario (per quanto anche i verbi transitivi volgari ammettono questa simmetria: una donna può dire “Ho scopato con Mario”). Nei verbi intransitivi si descrive un’azione volontaria comune, come in ballare, parlare, lavorare. Nei modi di dire accettabili, quindi, il sesso è un’attività, dalla modalità non specificata, a cui  due persone si dedicano insieme.

Vista questa importante distinzione, ho cercato di calcolare quanti fossero transitivi e quanti intransitivi, ma i confini fra le due categorie sono labili. E i verbi transitivi (scopare) possono essere usati sia con un complemento oggetto (ho scopato qualcuno) ma anche in senso assoluto (ho scopato). Come criterio, ho classificato come transitivi anche i verbi che ammettono costruzioni intransitive.
Detto questo, comunque, i verbi transitivi sono la grande maggioranza: sono il 76,5% dei verbi, e il 46% del totale dei lemmi, contro il 14,1% dei verbi intransitivi (vedi box qui sotto).
Le metafore sui piaceri, il sonno e l’alimentazione hanno percentuali simili di verbi sia transitivi che intransitivi. Insomma, quando si pensa al sesso in questi termini, c’è una “par condicio” uomo-donna: è un’attività in condivisione, alla pari.

[ clicca sul + per aprire il riquadro ]

TRANSITIVI E INTRANSITIVI

VERBI TRANSITIVI % SULLA CATEGORIA VERBI INTRANSITIVI % SULLA CATEGORIA
azioni 4 14,8 6 22,2
alimentazione 21 26,6 22 27,8
cura del corpo 9 52,9 1 5,9
abbigliamento 5 100,0 0 0,0
atti e movimenti 138 65,4 12 5,7
sonno 6 31,6 5 26,3
desideri 19 46,3 6 14,6
proprietà 16 64,0 2 8,0
vita sociale 26 28,6 15 16,5
guerra 37 38,9 20 21,1
lavori 102 70,3 7 4,8
piaceri 15 17,4 17 19,8
vita morale 16 34,8 9 19,6
natura 37 46,3 11 13,8
altre voci 3 15,0 6 30,0
TOTALE 454  46,0 139 14,1
TOTALE VERBI 593 (60,1% sul totale dei lemmi)

Fare sesso = sfruttare o danneggiare?

Nelle espressioni volgari, i verbi sessuali hanno quasi sempre un soggetto maschile. E il soggetto è la parte attiva. E se la donna è l’oggetto, come viene modificata dall’azione? Per rispondere, osserva Steven Pinker, psicolinguista ad Harvard, basta ricordare alcuni modi di dire: “l’ho fottuta”, “l’ho presa in culo”. «Queste espressioni» scrive nel libro “Fatti di parole” «rivelano che fare sesso significa sfruttare o danneggiare qualcuno».

Copertina di Internazionale: è la traduzione letterale di una dell’Economist.

La scrittrice femminista Andrea Dworkin, famosa per il suo attivismo contro la pornografia e la tesi secondo cui ogni rapporto sessuale è uno stupro, ha collegato il linguaggio scurrile all’oppressione delle donne. Nel 1979 scriveva (in “Pornography: men possessing women”): «Scopare implica che il maschio agisca su qualcuno dotato di minore potere, e tale giudizio di valore è così radicato, fino in fondo implicito nell’atto, che chi è scopato è bollato… Nel sistema maschile il sesso è il pene, il pene è potere sessuale, usarlo per scopare è virilità».
Non tutte le donne, però, la pensano così. Nel libro “Dimmi le parolacce: l’immaginario erotico femminile”, la scrittrice statunitense Sallie Tisdale dice: «“Scopare”: ormai ho sentito usare questa parola così tante volte in accezioni semplicemente descrittive, che mi sembra la possibilità più neutra, ben spesso più precisa e meno impegnativa dell’espressione “fare l’amore” che riempie la bocca, o dell’assurdo “andare a letto”. Una mia amica, l’altro giorno, mi ha lasciato allibita dicendomi che lei e il marito, quella mattina, avevano “avuto un rapporto carnale”. Mi ero quasi dimenticata di quell’espressione».

Le due facce del sesso

Che fare dunque? In realtà, sottolinea Pinker, verbi transitivi e intransitivi sono due facce della stessa medaglia. «Esprimono due modelli di sessualità ben diversi. Il primo, quello dei verbi intransitivi, ricorda i manuali di educazione sessuale: il sesso è un’attività, non meglio specificata, cui si dedicano insieme due partner su un piano di uguaglianza. Il secondo, quello dei verbi transitivi, riflette una visione più fosca, a cavallo fra la sociobiologia dei mammiferi e il femminismo stile Dworkin: il sesso è un atto di forza promosso da un maschio attivo che ricade su una femmina passiva, sfruttandola o danneggiandola. Entrambi i modelli esprimono la sessualità umana in tutta la sua gamma di manifestazioni, e se il linguaggio è la nostra guida, il primo è approvato per il discorso pubblico, mentre il secondo è tabù, anche se è ampiamente riconosciuto in privato».

Campagna osè di un candidato alle comunali di Torino 2011: alla fine fu “spazzato” lui, prendendo solo lo 0,37% dei voti.

Insomma, in questi due modi di descrivere il sesso si cela l’eterno dissidio fra natura e cultura. I verbi transitivi sono tabù perché descrivono in modo concreto, nudo e crudo, l’atto sessuale, mostrandone il lato animalesco (da cui vorremmo prendere le distanze); i verbi intransitivi, invece, sono considerati più accettabili perché nascondono l’atto sessuale offrendone una descrizione vagaparitaria e disinfettata.
Un dissidio inevitabile, tanto più che le prospettive maschile e femminile sono opposte anche biologicamente: una
ricerca recente ha scoperto che i centri cerebrali che controllano il sesso e l’aggressività sono separati nelle femmine ma sovrapposti nei maschi.  Questo è stato riscontrato nei topi, ma è plausibile che sia così anche per gli uomini. Ma anche trascurando questo aspetto, nella sessualità maschile e femminile c’è una differenza di fondo: la donna può rimanere incinta, e questo rende il suo approccio verso il sesso meno goliardico e superficiale rispetto a quello degli uomini.

Come uscirne? Una possibile soluzione arriva dalla Francia, dove amoreggiare si dice, in modo onomatopeico, fare “tactac boumboum”: si salva la concretezza dell’atto, ma al tempo stesso la si descrive solo nel suo aspetto acustico. Proprio come avviene nella nostra espressione “fare zum zum”. A questo punto, si potrebbe rivalutare anche il berlusconiano “bunga bunga”.

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Parolacce: le più amate dagli italiani https://www.parolacce.org/2016/12/20/dati-frequenza-turpiloquio/ https://www.parolacce.org/2016/12/20/dati-frequenza-turpiloquio/#comments Tue, 20 Dec 2016 08:50:32 +0000 https://www.parolacce.org/?p=11428 Quali sono le parolacce più pronunciate dagli italiani? Quante ne diciamo ogni giorno? E di che tipo sono? In questo articolo risponderò a queste domande, basandomi sugli unici dati oggettivi che abbiamo in Italia. Ma prima di farlo, devo spiegare come… Continue Reading

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(foto sopra: elaborazione Shutterstock).

ATTENZIONE!!!!!
Questo articolo è stato aggiornato con i dati del 2019.
Potete leggere le nuove
statistiche sulle parolacce più usate dagli italiani in questo nuovo articolo.

Quali sono le parolacce più pronunciate dagli italiani? Quante ne diciamo ogni giorno? E di che tipo sono? In questo articolo risponderò a queste domande, basandomi sugli unici dati oggettivi che abbiamo in Italia.
Ma prima di farlo, devo spiegare come ho fatto a ottenere questi dati. Ho consultato i corpora, cioè una collezione di testi, dell’italiano parlato. L’unico modo (scientifico) di sapere quali e quante parole pronunciamo, infatti, è registrare varie conversazioni negli ambienti più diversi, e poi trascriverle parola per parola.
Un lavoro improbo, che in Italia è stato fatto diverse volte. L’unica collezione di parole accessibile, però, risale al 1992, cioè a 24 anni fa: purtroppo, le raccolte successive non sono disponibili.
Sto parlando del LIP, il Lessico di frequenza dell’italiano parlato: un insieme di quasi 500mila lemmi, che sono le trascrizioni di 57 ore di parlato registrate in 4 città (Milano, Firenze, Roma e Napoli) e in vari ambienti (casa, scuole, assemblee, luoghi di lavoro, mezzi di trasporto, telefono, radio, tv).
Il database di questo corpus è consultabile online su un sito estero: quello dell’Istituto di romanistica dell’Università Karl Franzens di Graz (Austria). Una risorsa straordinaria: se volete sapere quante volte diciamo una data parola, la base da cui partire per le ricerche è qui.

Io l’ho fatto con le parolacce. Basta inserire nel motore di ricerca (immagine a sinistra) l’elenco delle 301 parolacce principali della lingua italiana che avevo identificato sul mio libro (ne parlavo qui, e ricordo che, in realtà, il loro numero possibile supera le 3 migliaia, come raccontavo qui).
Dato che ogni lemma è censito nella forma originale in cui è stato detto, per ogni nome ho dovuto inserire le possibili forme, ovvero il genere (maschile / femminile), il numero (singolare / plurale), il modo dei verbi (infinito, participio, etc) e così via.
Il primo risultato è sorprendente, almeno per chi pensa che nella nostra epoca si dicano molte volgaritàSu 301 parolacce possibili, quelle effettivamente rilevate dall’indagine sono state 45: il 14,9%. Insomma, su un vasto carnet possibile di espressioni, la nostra scelta ricade solo su poco più di 1/10. Usiamo sempre le stesse.
Quanto alla frequenza, chi immagina un uso smodato di turpiloquio dovrà ricredersi: le espressioni volgari che ho trovato ricorrono 395 volte su un totale di 489.178 parole. In pratica, la volgarità rappresenta un misero 0,08% del totale delle parole che diciamo. Per avere un paragone, Tony McEnery, linguista dell’Università di Leicester (Uk), nel 2006 ha accertato che in inglese le parolacce sono lo 0,5% delle parole pronunciate. Dunque, rispetto ai britannici, diciamo 7 volte meno parolacce.
Ma questa frequenza riguarda la lingua parlata. Sui social network lo scenario cambia, come tutti ben sappiamo: secondo alcuni studi, su Twitter le scurrilità salgono all’1,15% (lo raccontavo qui), e nelle chat al 3% (fonte qui).
Vi sembrano poche? A ben guardare, no, se si considera che, in media, pronunciamo 15-16.000 parole al giorno: lo 0,5% significano 75-80 parolacce al giorno per gli inglesi, cioè 5 all’ora (escludendo 8 ore di sonno). E il nostro 0,08% è quasi una parolaccia all’ora.

E veniamo al secondo risultato, abbastanza prevedibile. La parolaccia più pronunciata dagli italiani è cazzo: quando un italiano dice una parolaccia, ha quasi una probabilità su 5 (il 17,7%) di evocare l’organo sessuale maschile. Seguono Madonna (intesa come esclamazione “Oh Madonna” o come rafforzativo, “della Madonna”), casino, Dio (anche in questo caso come esclamazione) e stronzo.
Nell’elenco non compaiono espressioni piuttosto diffuse, come minchiatette o piscia. Le bestemmie censite sono state 2 (una contro Dio, una contro la Madonna) e quindi incidono solo per lo 0,5% del totale.
Ecco qui sotto la classifica dettagliata delle parolacce censite, in ordine decrescente di frequenza:

Terzo dato interessante, il tipo di parolacce (vedi grafico a destra): 2 su 5 sono espressioni di origine sessuale (in giallo nella tabella sopra, 39,2%), seguite da quelle religiose (1 su 5, ovvero il 19,7% in azzurro) e poi, quasi a pari merito, da parolacce enfatiche (verdi, 14,9%) e insulti (in rosso, 14,4%). Fanalino di coda, le espressioni escrementizie (in arancione, 11,6%): in questo, siamo agli antipodi rispetto ai tedeschi, come raccontavo in questo post.
Ma attenzione, queste percentuali vanno prese con le molle: sono un’approssimazione e non spiegano in modo dettagliato l’uso effettivo delle espressioni volgari in questo corpus. Per esempio, la parola coglione nasce per designare i testicoli, e l’ho quindi catalogata come espressione sessuale; ma l’uso effettivo può essere diverso: questa parola può essere usata anche come insulto (“sei un coglione”). E lo stesso ragionamento vale per le volgarità censite nelle altre categorie.
Ma pur con questi limiti, queste statistiche ci danno comunque un’idea concreta dei temi più ricorrenti nel nostro turpiloquio: il sesso è al centro delle nostre ossessioni, come pure la religione. In un Paese tradizionalista e cattolico come il nostro, non è affatto strano.Di questo post ho parlato con Betty Senatore e Silvia Mobili su “Ladies and Capital” su Radio Capital. Potete ascoltare l’intervento cliccando sull’icona qui sotto:

posizione

parolaccia

quantità

% sul totale

cazzo

68

17,2

Madonna

53

13,4

casino

43

10,9

Dio

25

6,3

stronzo

16

4,1

balla / palla

15

3,8

stronzata

15

3,8

coglione

13

3,3

culo

13

3,3

incazzare

10

2,5

scopare

10

2,5

negro

10

2,5

merda

9

2,3

10°

imbecille

8

2,0

11°

cretino

7

1,8

12°

deficiente

6

1,5

fregare

6

1,5

porco

6

1,5

vaffanculo

6

1,5

13°

cagare / cacare

5

1,3

pirla

5

1,3

puttana

5

1,3

14°

bordello

4

1,0

sega

4

1,0

15°

frocio

3

0,8

mortacci

3

0,8

16°

bastardi

2

0,5

bernarda

2

0,5

cazzata

2

0,5

figa

2

0,5

pompino

2

0,5

puttanate

2

0,5

trombata

2

0,5

vacca

2

0,5

17°

bischero

1

0,3

cesso

1

0,3

culattone

1

0,3

culona

1

0,3

fottuto

1

0,3

pippa

1

0,3

rompiballe

1

0,3

rompicoglioni

1

0,3

scazzi

1

0,3

sfiga

1

0,3

troia

1

0,3

 TOTALE

395

 100
 Percentuale sul totale delle parole

0,08

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Le parolacce di Jannacci e Califano https://www.parolacce.org/2013/04/07/le-parolacce-di-jannacci-e-califano/ https://www.parolacce.org/2013/04/07/le-parolacce-di-jannacci-e-califano/#respond Sun, 07 Apr 2013 15:27:44 +0000 https://www.parolacce.org/?p=1226 Per chi ama la musica italiana, la scomparsa – in contemporanea – di Enzo Jannacci e di Franco Califano è stata toccante: uniti nella morte (sono scomparsi a un giorno di distanza l’uno dall’altro, rispettivamente il 29 e il 30… Continue Reading

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Per chi ama la musica italiana, la scomparsa – in contemporanea – di Enzo Jannacci e di Franco Califano è stata toccante: uniti nella morte (sono scomparsi a un giorno di distanza l’uno dall’altro, rispettivamente il 29 e il 30 marzo 2013). Ma anche nell’arte?
Me lo sono chiesto. E già che c’ero ho provato a rispondere a modo mio: studiando le parolacce che entrambi hanno inserito nelle loro canzoni. Ne hanno usate? Sì. Quante? Quali? Perché?
Già l’anno scorso, ricordando
da queste pagine Lucio Dalla, un altro artista che ho amato, lo studio delle parolacce mi aveva fatto scoprire molte cose su di lui.
Questa volta la sfida era più complessa: dovevo ripercorrere più di 30 anni di carriera di due artisti. Mi sono appassionato. Dopo qualche notte in bianco ho scoperto che, nonostante le differenze evidenti, sia Jannacci che Califano hanno usato molte parolacce nelle loro canzoni: Jannacci ne ha usate 22 (la più frequente: “pacco“), Califano 37 (la più usata: “merda”). E l’hanno fatto perché avevano davvero qualcosa in comune. Che cosa?
Tutti e due alternavano una vena poetica lirica alta – Jannacci ha scritto con De Andrè  “Via del campo”, e Califano “La nevicata del 56”, solo per fare due esempi – a una schiettamente popolare, radicata nel dialetto e nella cultura locale (Milano per Jannacci, Roma per Califano).
Tutti e due, poi, avevano un talento e un istinto per il teatro: molte loro canzoni sono autentici pezzi di cabaret, giocati sulle corde del dramma o del tragicomico.
E questo spiega perché hanno usato le parolacce: una varietà di linguaggio (in termini tecnici, il registro) popolare, colloquiale, volgare. Al servizio delle atmosfere e delle emozioni che volevano esprimere nelle loro canzoni.
Volete sapere quante parolacce hanno usato? Ecco il risultato: ha sorpreso anche me.

Se volete sapere di quali parolacce stiamo parlando, ecco quelle di Jannacci:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ed ecco quelle usate da Califano:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[ Le fonti: tutti i testi integrali delle loro canzoni con le parolacce: cliccate qui per quelle di Jannacci, qui per quelle di Califano.]

Ma sarebbe banale limitarsi a dire che “Califano è stato più volgare di Jannacci”. Certo, Califano ha usato più parolacce, e più spesso di Jannacci. Ma la loro differenza non è solo quantitativa. Perché le parolacce non sono tutte uguali: alcune sono più pesanti di altre, e tutte acquisiscono sensi diversi a seconda del modo in cui sono usate. In realtà è il contesto, il senso generale delle canzoni a svelare l’anima dei due autori.

Per chi vuole approfondire questo viaggio, allora, appuntamento alla prossima puntata

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