terrone | Parolacce https://www.parolacce.org L'unico blog italiano di studi sul turpiloquio, dal 2006 - The world famous blog on italian swearing, since 2006 - By Vito tartamella Thu, 09 Dec 2021 13:35:17 +0000 it-IT hourly 1 https://www.parolacce.org/wp-content/uploads/2015/06/cropped-logoParolacceLR-32x32.png terrone | Parolacce https://www.parolacce.org 32 32 Gli insulti cult di “Travolti da un insolito destino” https://www.parolacce.org/2019/08/27/parolacce-film-wertmuller/ https://www.parolacce.org/2019/08/27/parolacce-film-wertmuller/#respond Mon, 26 Aug 2019 22:30:44 +0000 https://www.parolacce.org/?p=15985 Quando uscì nelle sale gli fu imposto il divieto di visione ai minori di 14 anni: per le scene erotiche e “per il linguaggio triviale, alquanto persistente”. Eppure è diventato un campione d’incassi e un film cult, che ha segnato… Continue Reading

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Mariangela Melato e Giancarlo Giannini: in questo film hanno fatto un’interpretazione straordinaria.

Quando uscì nelle sale gli fu imposto il divieto di visione ai minori di 14 anni: per le scene erotiche e “per il linguaggio triviale, alquanto persistente”. Eppure è diventato un campione d’incassi e un film cult, che ha segnato la storia del turpiloquio cinematografico. Perché senza tutte quelle volgarità (probabilmente un record) il film non avrebbe fatto epoca. E non sarebbe stato neppure credibile.
Sto parlando di “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto” di Lina Wertmüller. Quest’anno il film compie 45 anni: in occasione della Mostra internazionale del cinema di Venezia, ho deciso di dedicargli un articolo. Per mostrare come le parolacce possano essere al servizio di un film profondo, a dispetto delle apparenze scanzonate. E anche perché i suoi dialoghi scurrili sono un vero capolavoro di ritmo, mordacità e comicità. Molte battute folgoranti del film, infatti, sono entrate nella memoria storica e nei modi di dire: ecco perché ho trascritto interi spezzoni del film, che sono ancora oggi un raro esempio di maestria narrativa.

La regista Lina Wertmüller (Wikipedia).

Il film racconta la storia di un marinaio catanese, Gennarino Carunchio (Giancarlo Giannini), che naufraga su un’isola deserta e selvaggia insieme a una donna milanese Raffaella Pavone Lanzetti (Mariangela Melato). I due si innamorano, ma quando poi tornano nella civiltà le loro strade si dividono.
Detta così sembra una trama come tante. Ma in realtà è molto originale, perché la storia si gioca su forti contrasti sociali: quello fra poveri e ricchi, fra sud e nord, fra sinistra e destra, fra uomo e donna. Carunchio incarna infatti il povero, meridionale, comunista e maschilista, e la Lanzetti la ricca, milanese, radical-chic (o socialista) e femminista. Due personaggi interpretati magistralmente dalla coppia Giannini-Melato.
E a questi contrasti sociologici se ne aggiunge un quinto di tipo filosofico: quello fra natura (incarnata dal manesco e pratico Carunchio, oltre che dalle selvagge spiagge della Sardegna) e cultura (la snob ed erudita Lanzetti). “Tu sei l’uomo come doveva essere nella natura, prima che tutto si deformasse”, dice ammirata Raffaella a Gennarino. Aggiungendogli, quando lui le propone di provare a tornare alla civiltà, “Perché rientrare in quegli schemi? E’ un ingranaggio mostruoso”. E infatti quell’ingranaggio alla fine riuscirà a disintegrare il loro amore impetuoso.
Dunque, non un consueto incontro fra uomo e donna, ma un’impossibile sintesi degli opposti: il diavolo e l’acqua santa. Nitroglicerina allo stato puro. Ecco perché, soprattutto fra i due, scoccano scintille sotto forma di litigi, botte e soprattutto insulti. Che esprimono odio allo stato puro. Oltre, naturalmente, alle scintille dell’erotismo, che in questo gioco di contrasti arriva a punti bollenti: “Buttana, io ti odio ma mi piaci”; confesserà Carunchio. E lei perderà la testa.
Se consideriamo che il film fu girato nel 1974 e diretto da una donna, si apprezza ancor più la sua portata rivoluzionaria. Tra l’altro, a ottoobre la Wertmüller riceverà l’Oscar alla carriera.

Di cinema e parolacce parlerò alla 76a Mostra internazionale del Cinema di Venezia (Italian Pavilion, Hotel Excelsior Venezia Lido) mercoledì 4 settembre alle 15:00.
Con un interlocutore d’eccezione: Gianni Canova, critico cinematografico e professore di storia del cinema. Canova ha appena dedicato un numero della rivista 8 e 1/2 (dell’Istituto Luce Cinecittà) proprio al rapporto fra cinema e parolacce.
Dunque, se siete al Lido di Venezia, sarà un’occasione per riflettere – una volta tanto – su come il turpiloquio abbia contribuito a rendere viva la settima arte.

Buttana industriale. E socialdemocratica

Il film si gioca su dialoghi scoppiettanti, nei quali le parolacce sono una continua giostra emotiva, dalla prima (“Questo paradiso di spiaggia lo riempiranno di merda, rifiuti e buste di plastica”) all’ultima battuta (“Ma come cazzo si fa a campare?”).

“Lezione numero 1”: una delle espressioni di Giannini.

La Wertmüller non si è limitata a usare pochi termini scurrili (tre vincono su tutti: buttana, troia, fitusa) ma ha prodotto un vero florilegio di variazioni sul tema, attingendo a più di 30 modi di dire popolari e dialettali, non solo siciliani ma anche napoletani: vaffanculo, rincoglionito, spappolare le palle, palle, cazzo, stronzo, troia, fitusa (in siciliano, puzzolente, schifosa), rompere la minchia, coglione, negro, scemenza, vaffanculo, zoccola, puttana, maiala, cornuto, sticchio (fica in siciliano), vafammocca (in napoletano, vai a fare un bocchino), sgualdrina, cacà u cazz (cagare il cazzo), cazzi da cacare, brutto abissino, terrone, postaccio di merda, porcona, sciacquetta, meretrice, culo, zizze, cretino, fottere, cocò (cocotte, prostituta).
E a questo ricco  repertorio ha aggiunto anche alcune invenzioni espressive che sono passate alla storia: buttana industriale (un rafforzativo grottesco di “puttana”), socialdemocratica (una forma di disprezzo per chi sta al centro ma strizza l’occhio alla sinistra), che diametro (= che culo), faccio quello che stracatacazzo (un rafforzativo di cazzo) mi pare, scarrafuciona (probabilmente un accrescitivo di scarrafona, scarafaggio), sottoschifo di cameriere.

LUI SESSISTA, LEI SNOB

Nel film, tutte queste scurrilità servono ad alimentare la dialettica fra i due protagonisti. E a mostrare il carattere dei due protagonisti così agli antipodi. Lui, Carunchio, usa un dizionario grezzo e di bassa leva anche se creativo; lei, la Pavone-Lanzetti, un lessico più erudito ma meno graffiante. E in questo contrasto le risate sono assicurate. Anche perché le battute sono condite dall’accento siciliano di lui, e da quello milanese (e con l’erre moscia) di lei.

I primi scontri fisici durante lo sbarco sull’isola.

Quando Raffaella, appena sbarcata sulla spiaggia, pretende che Gennaro salga di nuovo in cima al monte dell’isola per guardare se è abitata, e lui si rifiuta, lei sbotta in un “E’ inutile cavare acqua dalle rape”.
Carunchio, che fino ad allora, era riuscito più o meno a controllarsi, sbotta senza freni. “Senti, donna Raffaella Pavone-Lanzetti. Ora mi hai rotto la minchia! Faccio quello che stracatacazzo mi pare, gioia. Ma chi ti credi di essere? Ma vaffanculo!”. E qui inizia uno dei tanti duelli verbali del film.
LEI: “Cafone!”
LUI: “Va-ffan-cu-lo!”.
LEI: “’Sto stronzo!”.
LUI: “Scarraafuciona!”.
LEI: “Butto porco!”.
LUI: “Puttana, troia, zoccola, puttana, maiala!”.
LEI: “Brutto mozzo trinariciuto del cavolo!”.
LUI: “La signora di questa minchia! Meretrice, troia, sgualdrina!”.
LEI: “Stronzonissimo!”.
LUI: “Fitusa, gran mignotta! Vaffammocca a zì Nicola. Nu povirazzo arriva il momento che si caca u cazzo, o no?!”.
LEI: “Vigliacco d’un immaturo! Che roba di sottoproletariato”.
LUI: “E’ finito Gennarino. Buttana, troia. Ora pì ttia sono cazzi da cacare. Ora ci divertiamo, signora. Sono minchie amare”.
LEI: “Eh, la rivolta dello schiavo. La presa della Bastiglia”.
LUI: “Bagascia, sgualdrina, prostituta e cocò (
cocotte, prostituta)”.
LEI: “Spartacus! ‘Sto stronzo. ‘Sto cafone del cavolo!”.
LUI: “Sciacquetta! Porca! E socialdemocratica”.

I due protagonisti litigano sul canotto, prima del naufragio.

Un contrappunto perfetto. Gennarino – da buon maschilista – attacca soprattutto con insulti sessisti: il che appare una scelta povera, visto che Giannini interpreta un dirigente del Partito Comunista, che come tale avrebbe dovuto avere un vocabolario più ricco, anche negli insulti. Ma forse la Wertmüller ha voluto dipingerlo soprattutto come un maschilista siciliano vecchio stampo. Questo, comunque, non gli impedirà (come vedremo più sotto) di argomentare il suo disprezzo anche con analisi sociali ed economiche.
La Melato-Lanzetti, invece, usa insulti snob, perfettamente intonati alla sua personalità. L’elenco è così vario, creativo e divertente che merita di essere pubblicato integralmente: cretino, imbecille, stramicione (pigro, indolente) meridionale, mammalucco, brutto mozzo trinariciuto del cavolo, stronzo, Spartacus, carogna d’un vigliacco, comunista del cazzo, bestiaccia nera, peggio di Hitler, carogna, ridicolo e vile, bestia, esemplare di maschio mediterraneo, roba di sottoproletariato, porco, maleducato, cafone, brutto abissino, mi fai schifo, lei è un verme

CHI STA SOTTO E CHI STA SOPRA

L’aragosta: cibo da ricchi, ma anche da naufraghi capaci di pescare.

Il cuore del film, come ho detto sopra, è il contrasto sociale fra ricchi e poveri. Visto da una prospettiva dichiaratamente marxista. Il film inizia evidenziando le differenze di classe, di vita e di trattamento reciproco dei due protagonisti. Ma la vita selvaggia sull’isola, il ritorno alla primordiale lotta per la sopravvivenza annulla le differenze. Anzi: se sullo yacht Gennarino deve chinare il capo e subìre qualunque angheria dalla riccona, sull’isola è lui ad avere il potere perché è l’unico in grado di procurare il cibo e l’acqua con cui sopravvivere.
Dopo il diverbio iniziale, infatti, i due si dividono. Ma mentre lei non ha la più pallida idea di come procurarsi da mangiare, lui riesce a pescare e cuocere una magnifica aragosta. E non la divide con lei che gliene chiedeva un pezzo per umana pietà.
“Sappia che lei è un miserabile, carogna di un vigliacco! Ci deve essere una legge…. Star lì a mangiare lasciando digiuni gli altri”, lo accusa lei.
“Eh già, ma bisogna riflettere!” risponde il comunista Carunchio. “Se ci stava una legge del genere, stavano in galera tutti i ricchi del mondo! Ma siccome questa legge non c’è, in galera ci stanno solo i poveri”.
Comunista del cazzo! Naturaccia di merda, bestiaccia nera, che carogna! T’el chì come lo usano il potere, ricattando e affamando. E approfittando. Peggio di Hilter. Piuttosto mi lascio morire di fame…”.

Donna Raffaella provata dalla spartana vita da naufraga.

[ Ma i morsi della fame le fanno subito cambiare registro.] LEI: “Mi venda quel pesce. Glielo pago quello che vuole. 100mila, 200mila? Che cavolo vuole per quel pesce? Ce lo pago mezzo milione carogna!”.
LUI: “E continua a insultare eh? Eh lo so, è brutto stare di sotto. Le dico una cosa. Questo pesce non lo vendo. Ho deciso di fare come voi quando bruciate le mele e le arance per tenere alti i prezzi”.
LEI: “Assassino!”.
LUI: “No, io sono ignorante e incompetente. Gli assassini organizzati siete voi! Comunque stammi a sentire femmina. Lezione numero 1: denaro per cumprare chistu pesce nun ce n’è. Se te lo vuoi comprare, questo pesce, te lo devi guadagnare. me spiego? Lavami i mutandi ah!? 
Eh, donna Raffaella non aveva lavato mai le mutande. Perché era stata sempre di sopra.E ora che si trova di sotto ci tocca imparare a lavare i mutandi… Ma il lavoro nobilita l’uomo, a maggior ragione la femmina”.
E così donna Raffaella gli lava le mutande, conquistando il diritto di una porzione di cibo. Ma non si dà per vinta:
“Perché fa pagare tutte a me le rivendicazioni sociali  e le ingiustizie della vita? Cos’è che ci guadagna? Se lei sarà gentile con me le sarò grata” prova a blandirlo.
Ma lui non cede, anzi rilancia: “Se vuoi stare qui, devi lavorare! E’ finita la pacchia, perché la femmina è nata per fare la serva all’uomo. Bacia la mano al padrone!”.
“Mai!”.
“Brutta buttana industriale che mi facisti sputare sangue su quella maledetta barca!”.
“Lei è un verme!”.
“Lezione numero 2: hai capito femmina, che non ti posso permettere più di insultarmi?! Non rispondere, femmina, Stai zitta, obbedisci! In piedi voglio essere servito! Tu mi invitasti mai al tavolo a sedere sullo yacht? La signora di questa minchia: il vino è caldo, la pasta è scotta, il caffè è riscaldato….”.

Il celebre pestaggio sulle dune: una vendetta per i soprusi socio-economici.

Alla fine, le loro posizioni inconciliabili sfociano nella celebre scena del pestaggio sulle dune, in cui Gennarino punisce in Raffaella tutti i soprusi che le classi più umili hanno dovuto subìre da ricchi e potenti:
“Brutta carogna, finalmente posso darti la lezione che ti meriti!”
“Aiuto!”
“E chi ti può aiutare, cretina! Dove scappi brutta fitusa! A calci in culo ti prendo, brutta buttana industriale socialdemocratica!”.
“Vigliacco verme schifoso!”.
“Devi pagare tutto! Questo
[le dà uno schiaffo] è per la crisi economica in cui ci precipitasti a non pagare le tasse e a portare i soldi alla Svizzera, te, e tutti gli altri come a tia!.
Questo
[le dà un calcio] è per gli ospedali che un poveraccio non ci riesce a entrare mai, che magari è meglio perché se ci entra muore. E questo [spintone] è per l’aumento della carne, del parmigiano, delle tariffe filo-tramviarie del treno e l’aumento della benzina. Per l’aumento dell’olio e della cassa integrazione. Questo [pugno] è per l’Iva e per l’una tantum, E questo [altro pugno] è perché ci avete fatto venire paura anche di campare”.

Più espliciti di così non si poteva essere. 

SESSO E VERGOGNA

Giannini e Melato: un rapporto molto fisico, oltre che verbale.

Nella dialettica fra natura e cultura, non poteva mancare una riflessione sul sesso. Quanto c’è di naturale e quanto di “costruito” nel sesso?
Gennaro smonta subito gli atteggiamenti puritani di donna Raffaella, che si indispettisce quando lui le guarda il lato B.
“Ti guardo quanto mi pare e piace! Ti guardo le natiche… E quando stavate sdraiate sullo yacht a prendere il sole con le zizze di fuori, come se noialtri non ci fossimo? E invece credo che voi poccone (porcone) lo sapevate benissimo che eravamo uomini e vi piaceva pensare che ci facevate morire… Bottana industriale, fammele vedere adesso le zizze! Avanti, scoprire il davanzale! Si vergogna la signora? E com’è che prima non ti vergognavi? Voi femmine di lusso, siete brave a provocare”.

Ma a Gennaro non basta un’avventura fisica. Vuole che lei metta da parte tutte le inibizioni e le sovrastrutture culturali per amarlo con una passione totalizzante. La provoca, la coinvolge, e all’ultimo si tira indietro. Una vendetta: come lui era stato schiavo economico, umiliandosi come mozzo, lei sarebbe dovuta diventare una schiava d’amore.

“Bacia la mano al padrone”: una delle frasi maschiliste di Gennaro.

“E ora ti strappo ‘i mutandi. Ti faccio sentire io cos’è un uomo , perché non l’hai conosciuto mai un uomo vero. Buttana industriale, io ti odio ma mi piaci. Confessa che stai a morire… come si lamenta… Fai sì brutta troia! E invece no! Sono io che ti dico di no! Un brutto cafone nero ignorante come a mia, a uno che gli hai detto di cambiarsi la maglietta sudata, che gli hai detto ‘brutto cafone meridionale’, a uno che è stato sempre di sotto come a mia e che ci hai detto che ti fa schifo, non basta che mi dici di sì. Ti devi innamorare. Innamoratissima devi essere, Schiava già ci sei, ma schiava d’amore devi diventare. Devi strisciare come un verme ai miei piedi. Devi chiedere pietà, ti deve prendere un amore nero che ti torce le budella. Passione disperata, peggio di una malattia. Io ti devo entrare dentro la pelle, dentro la testa, dentro il cuore, dentro la pancia. Il tuo dio devo diventare! Passione o niente! Lo devi ancora conoscere Gennaro Carunchio!”. 

LA VOLGARITÀ? INVENZIONE BORGHESE

Quando alla fine sarà riuscito a conquistarla, la Wertmüller fa dire ai due protagonisti un’importante affermazione sul linguaggio scurrile in amore. In amore tutto è lecito, anche le parolacce.
Gennaro dice a lei, che è già pazza di lui:
“La femmina è un oggetto di piacere, trastullo per il lavoratore, puttana da casino!”
“Perché sempre puttana?”.
“Puttana da una parte è un insulto, ma dall’altra può diventare un complimento”.
Detto da una regista donna, è un bell’atto di coraggio. E di onestà intellettuale.

Donna Raffaella, ormai sottomessa e innamorata.

Ma c’è un passaggio ancora più esplicito. Una vera e propria riflessione antropologica sulle parolacce: le scurrilità sono il linguaggio della sincerità, della schiettezza. Chi usa giri di parole e termini forbiti esercita una forma di potere, come i medici quando usano i paroloni scientifici per parlare delle malattie (o gli avvocati quando parlano di leggi).
E’
la celebre scena del “sodomizzami”, che fa da contraltare comico alla scena del “burro” di “Ultimo tango a Parigi”, uscito 2 anni prima.
Raffaella, in preda alla passione, sussurra a Gennaro “Sodomizzami”.
E lui: “Brutta fitusa borghese carognona: ma tu Lo fai apposta per farmi sentire ignorante con queste parole difficili? Ma questa cosa che porcheria è? Io nun te capisco. Che caspita sarebbe?
“Scusa amore”.
“Scusa una cippa di minchia! Che maniera di parlare? Io sono ignorante e me vanto”.
“Scusa amore. Ho detto così perché è una cosa difficile da dire”.
“E poi che è sta cosa? Sodorizzami, sodorazzami, che è?”.
“Sodomizzami… sarebbe…
[e si gira]“.
“Chiddu sarebbe? Ma quanto sei complicata. Ma chiama le cose col nome suo!”.
“Ma amore… era una cosa d’amore… non si può … diventa una volgarità”.
“Che volgarità! Nell’amore non c’è volgarità! Ve la siete inventata voi borghesi la volgarità!”.

Riflessione profonda. Le parolacce sono vietate non perché parlino di cose oggettivamente disdicevoli, bensì perché parlano di cose che ci fanno paura: sesso, limiti, malattie, morte. Siamo noi che stabiliamo quello che non si può dire, comportandoci come “borghesi” (benpensanti, mediocri, codardi). La differenza fra parole pulite e volgarità è una scelta arbitraria. Ecco perché ciò che fa scandalo cambia da epoca a epoca, da Paese a Paese. E da persona a persona.   

VITA AMARISSIMA

La vita nella natura selvaggia dell’isola.

Come molti film degli anni’70, anche questo ha un finale amaro. La passione fra i due protagonisti, che sembra irrefrenabile, sarà spezzata dal ritorno a una vita convenzionale. L’economia vince sulla vita allo stato naturale.
Gennaro, del resto, aveva dubbi anche quando Raffaella sembrava in preda a un amore inattaccabile:
“Se non facevamo naufragio come stavamo io e te? Io di sotto e tu di sopra. Io poveraccio nero e tu riccaccia bianca. Tu facevi la signora e io una specie di sottoschifo di cameriere. La vorrei proprio vedere la signora Lanzetti passeggiare con questo terrone vicino a Milano”.
E così, dopo aver messo alla prova il loro rapporto tornando nel mondo civile, quando lei – rimangiandosi le promesse d’amore eterno – vola via in elicottero insieme al marito, lui le urla:
Fitusa traditrice! Buttana! Accidenti a tia, accidenti a quando ti credetti! Lo sapevo che non mi dovevo fidare di una ricca perché i ricchi ti fottono sempre! Buttana industriale che mi lasci solo!”.
Dopo una sbronza colossale, la moglie di Carunchio lo raggiunge al porto, accusandolo di averlo tradito.E i due litigano. Alla fine, l’amara conclusione di Carunchio, sconfitto su tutta la linea: “Ecco, una buttana di sopra (la Lanzetti era fuggita in elicottero), una buttana di sotto e l’amico mare traditore… Ma come cazzo si fa a campare?”
Nel finale, insomma, le volgarità servono a rafforzare l’amarezza e la delusione di Gennaro, sconfitto su tutta la linea. Insomma: finché il rapporto uomo-donna si gioca sul piano della sopravvivenza e della forza fisica, Gennaro è vincente. Ma nella vita moderna, in città, vince chi ha i soldi: può fare il bello e il cattivo tempo, prevalendo anche sulla forza bruta. I ricchi ti fottono sempre.

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Palloso, cazzaro, fichetto e le altre parolacce “petalose” https://www.parolacce.org/2016/06/20/suffissi-offensivi/ https://www.parolacce.org/2016/06/20/suffissi-offensivi/#comments Mon, 20 Jun 2016 17:00:47 +0000 https://www.parolacce.org/?p=10404 Quali sono quelle paroline che, aggiunte a una parola qualunque, la trasformano magicamente in una parolaccia? Vi do un indizio: “petaloso“… Ricordate? Era l’aggettivo coniato da un bimbo e benedetto dall’Accademia della Crusca: la notizia ha fatto clamore, ma in… Continue Reading

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turbo-character-poster-fighetto_midQuali sono quelle paroline che, aggiunte a una parola qualunque, la trasformano magicamente in una parolaccia? Vi do un indizio: “petaloso“… Ricordate? Era l’aggettivo coniato da un bimbo e benedetto dall’Accademia della Crusca: la notizia ha fatto clamore, ma in realtà le parolacce possono essere molto più “petalose”Ovvero, arricchirsi di nuovi significati grazie all’aggiunta, alla parte finale, di un suffisso: così una persona può essere definita pallosa (cioè portatrice di balle, di noia), cornuta (dotata di corna), segaiola (incline alla masturbazione), e via dicendo. (Nella foto, Fighetto, un personaggio del cartone animato “Turbo”).
Di solito, queste particelle svolgono un ruolo invisibile: esprimono un verbo al passato (andare →  andato), un paragone (grande → maggiore), un plurale (mangime —> mangimi), un avverbio (veloce → velocemente), la trasformazione da aggettivo a nome (scettico → scetticismo), e via discorrendo. Sulle 300 parolacce presenti nel dizionario italiano, circa una su 4 (il 27%) è dotata di suffissi: da terrone a puttaniere, da cornuto a rincoglionito, fino a fancazzista, merdaio e così via.

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“La donnaccia”: film di Silvio Siano (1965).

Ma c’è un fenomeno molto più rilevante nella nostra lingua. L’italiano, infatti, insieme con lo spagnolo, il portoghese e il francese, è una delle poche lingue in cui i suffissi fanno anche un lavoro “sporco”: hanno, cioè, una funzione peggiorativa. Sono paroline magiche: riescono a trasformare in insulto qualunque parola, anche la più innocua o positiva. Diversi suffissi, insomma, sono come un re Mida al contrario: trasformano in cacca tutto ciò che toccano. E dato che i suffissi si aggiungono alla fine di una parola, è proprio il caso di dire: “in cauda venenum”, il veleno sta nella coda…
Non ci credete? Facciamo qualche esempio. Se dico a qualcuno che è un poeta, ne sarà lusingato; ma se gli dico che è un poetastro, lo offenderò. Lo stesso accade se definisco giornalaio un giornalista, o, peggio ancora, se chiamo donnaccia una donna… Questo fatto è interessante perché costituisce una notevole eccezione alla definizione di parolaccia (=  parole di registro basso e con connotazione negativa): con i suffissi, possono diventare insultanti anche parole positive e di registro alto. I suffissi, insomma, sono come un numero moltiplicatore negativo (-1): qualsiasi numero, moltiplicato per -1, acquista il segno meno.

Ed è un fenomeno molto antico: già 140 anni fa, lo scrittore napoletano Vittorio Imbriani (1840-1886) aveva sfruttato la forza offensiva dei suffissi in una novella intitolata “Guglielmo Tell e Federigo Schiller”, nel “Vivicomburio”.
In una scena, il protagonista Tell aveva mandato un tizio a comprargli i cerini per accendere la pipa; ma durante il viaggio si bagnano per la pioggia, diventando inutilizzabili. Ecco la reazione di Tell: «Prima gli rovesciò addosso una valanga di epiteti in -one, come a dire minchione, coglione, buffone, tambellone, bighellone, scempione, moccione, corbellone, babbione, gocciolone, bietolone, ignatone, moccicone, galeone, ghiandone, moccolone, lasagnone, maccherone, palamidone, bacchillone, tempione, uccellone, mellone, mazzamarrone, pappacchione, nasone (…) Poi, variando le desinenze, il tenente elvetico gli diede (…) dello sciocco, dell’ingocco, del bachiocco, del baciocco, del balocco, dello scimunito, dello scipito (…) del pisellaccio, del nibbiaccio, del babbaccio, del baccellaccio, del cazzaccio… E tutto in tedesco, veh!».

Dunque, i suffissi possono essere un’arma. Ma non tutti: nella nostra lingua ce n’è oltre un centinaio, ma quelli pericolosi sono molti meno: una ventina. Li ho radunati in questa tabella, che è come un arsenale: se aggiungete uno di questi elementi a una parola qualunque, la trasformate in un’offesa.

DIMINUTIVI

= sei troppo piccolo, insignificante

ATTENUATIVI

= sei imperfetto, limitato

VEZZEGGIATIVI

= fingo di coccolarti ma ti considero inadeguato

ACCRESCITIVI

= sei troppo grande, esagerato, inflazionato

SPREGIATIVI

= sei brutto, vecchio, respingente

-attolo: uomo→ omiciattolo -astro: giovane→ giovinastro -accione/acchione: furbo→ furbacchione -aglia: gente→ gentaglia -accio: donna→ donnaccia
-etto: fico→ fichetto -icchio: governo→ governicchio -otto: provinciale→ provincialotto -ame: cultura→ culturame -azzo: amore→ amorazzo
-ino: galoppare→ galoppino -iccio: molle→ molliccio -uccio/-uzzo: impiegato→ impiegatuccio -one: pappare→ pappone -esco: mano→ manesco
-onzolo: medico→ mediconzolo -oide: intellettuale→ intellettualoide -ucolo: attore→ attorucolo -ume: fradicio→ fradiciume
-ucolo/-icciolo: poeta→ poetucolo

Dunque, per esprimere disprezzo basta dire a un altro che è esagerato (per eccesso, ma soprattutto per difetto: troppo grande o troppo piccolo, raro o inflazionato), inadeguato (imperfetto, limitato), ributtante. E posso pure fingere affetto mentre in realtà sto svilendo qualcuno o qualcosa. E tutto semplicemente aggiungendo poche lettere a una parola qualsiasi. Altro che petaloso!

PS: oltre ai suffissi, bisogna segnalare anche alcuni prefissi e prefissioidi che in italiano sono usati per formare parole ingiuriose. Eccoli: ipo- (ipoaffettivo, ipoumano), pseudo- (pseudoattore, pseudopolitico), semi- (semiumano, semiprofessore), sotto- (sottocultura, sottospecie), sub- (subumano, sibnormale), caca- (cacasentenze, cacasenno), lecca- (leccapiedi, leccaulo), mangia- (mangiapatate, manngiamerda), piscia- (pisciasotto).

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Le parolacce degli svizzeri https://www.parolacce.org/2015/09/06/parolacce-svizzera/ https://www.parolacce.org/2015/09/06/parolacce-svizzera/#respond Sun, 06 Sep 2015 10:47:59 +0000 https://www.parolacce.org/?p=8466 Forse il detto “Bestemmiare come un turco” andrebbe aggiornato in “Bestemmiare come uno svizzero”. Anzi: come un ticinese. Lo dice una ricerca fatta da due studentesse universitarie svizzere, Gaia Bossi e Gloria Mihaljevic, per l’Università di Scienze applicate di Zurigo. Le… Continue Reading

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Le donne svizzere dicono meno parolacce degli uomini (elaborazione foto Shutterstock).

Forse il detto “Bestemmiare come un turco” andrebbe aggiornato in “Bestemmiare come uno svizzero”. Anzi: come un ticinese. Lo dice una ricerca fatta da due studentesse universitarie svizzere, Gaia Bossi e Gloria Mihaljevic, per l’Università di Scienze applicate di Zurigo.
Le due universitarie hanno fatto un sondaggio sull’uso delle parolacce nel Canton Ticino, l’enclave di lingua italiana in territorio svizzero. Risultato: 2 uomini su 3 (il 63,3%) affermano di bestemmiare, spesso o ogni tanto. E’ vero che il loro campione è rappresentativo soprattutto degli svizzeri maschi fino a 24 anni; ed è altrettanto vero che mancano dati di confronto sull’Italia. Ma il dato mi pare rilevante: basti dire che  nel volgarometro (il mio sondaggio sul grado di offensività delle parolacce italiane) le bestemmie sono risultate le espressioni più offensive in assoluto, nonostante 1/3 del campione si fosse dichiarato ateo.

Lo studio delle due giovani svizzere, per la laurea in Lingue applicate, è una delle numerose di tesi laurea ispirate al mio libro e a questo blog. Pur scontando – inevitabilmente: le parolacce sono un tema complesso – alcune ingenuità interpretative e metodologiche, la TesiSvizzera, intitolata “Non ho parole, solo parolacce”, merita di essere raccontata, per almeno due motivi. Primo: è una ricerca sul campo; secondo: è stata fatta nella più grande enclave di parlanti italiani all’estero: il Canton Ticino, in Svizzera.

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Mappa delle lingue parlate in Svizzera.

La Svizzera, infatti, è una delle poche nazioni estere che hanno l’italiano fra le lingue ufficiali. Perché la quantità di parlanti è elevata: si stima siano 525.000 persone (il 6,8% della popolazione) soprattutto nel Canton Ticino, dove  l’83,1% dei residenti (circa 287.974 ) sono di madrelingua italiana. Ciò non impedisce, peraltro, che in Canton Ticino l’aggettivo “taglian” (italiano) sia uno spregiativo etnico, al pari del nostro “terrone”. L’italiano parlato in Svizzera è una lingua spuria, perché ha le forti influenze dialettali del ticinese e del comasco, due varianti del lombardo. Per esempio, la ricerca ha evidenziato un uso abbastanza diffuso dei termini dialettali badina, badinbadela (i termini sono sinonimi di “terrone”: letteralmente sono i badilanti, gli operai immigrati), bambela (citrullo), gnurantoni (ignorantoni),rembambiti (rimbambiti), rompabal (rompiballe),  taglian e talian (spregiativo per “italiano”), terun (terrone). Per la loro traduzione, potete usare questo efficace motore di ricerca degli elvetismi.

E c’è anche un’influenza marcata dell’inglese: sia perché la Svizzera è un Paese internazionale, con molti immigrati provenienti da tutto il mondo; sia perché l’inglese è la lingua dei giovani, che sono i veri protagonisti di questo studio. In Ticino si stanno diffondendo le parolacce inglesi, sia in originale (bitch, fucking) sia come traduzioni (cagna, che è la traduzione letterale di bitch).

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Il dito medio: anche in Svizzera si usa il “vaffa” (foto Shutterstock).

Ancora più interessante il sondaggio sulla diffusione delle parolacce in Svizzera: qui potete vedere la versione del test per gli uomini, qui quella per le donne. Al sondaggio hanno partecipato 2.283 persone: un numero considerevole, ma purtroppo poco rappresentativo della popolazione ticinese. Il campione infatti era sbilanciato sulla componente femminile (61,7%) e giovane (soprattutto la fascia 18-24 anni).
Detto questo, veniamo ai risultati. Primo fra tutti, l’uso delle bestemmie, diffuso fra il 15,4% delle donne e ben il 63,3% degli uomini (il 32,8% afferma di dirle spesso, il 30,5% ogni tanto). Il motivo di tanta diffusione? Forse la Svizzera è anticlericale come il Veneto, l’Umbria e la Toscana, le regioni italiane dove si bestemmia di più? Difficile dirlo: il 75% dei ticinesi è cattolico, ma forse fra i giovani (la categoria più numerosa del sondaggio) prevale un atteggiamento agnostico.

In generale, più della metà dei partecipanti afferma di dire parolacce spesso, più volte al giorno, più per sfogarsi (per un dolore, problemi tecnici o il traffico) che per enfatizzare, colorire le frasi o per abitudine. Le dicono più spesso gli uomini (69,3%) rispetto alle donne (52,8%). Altro dato interessante, le parolacce considerate più offensive dagli uomini e dalle donne:  per le donne sono “figlia di puttana” (62,6%), “puttana” (57,9%) e “cagna” (38,6%).  In generale, le donne risultano più sensibili agli insulti sull’aspetto fisico (cesso, cicciona) e dagli insulti in generale: un risultato, questo, confermato anche da molte altre ricerche fatte in diverse parti del mondo. Per gli uomini i termini più offensivi risultano: “figlio di puttana”, “vigliacco” e “ritardato”. Solo il 15,7% si sente offeso se viene chiamato “checca” (percentuale simile a quella di “taglian”, italiano). Forse i giovani maschi svizzeri sono meno omofobi dei loro colleghi italiani? Le due studentesse hanno anche verificato la conoscenza delle parolacce: in Svizzera risultano poco conosciuti i termini dialettali soffocotto (rapporto orale) e chiavica (cesso).

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Alcune delle parolacce più usate in Svizzera (elaborazione foto Shutterstock).

Esaminando i commenti su Facebook di varie testate di notizie gossip e satira (Rumors Ticino, Gossip Ticino, Ticinonline, Mattinonline, il Diavolo) è emerso che sono state scritte nel 69,5% dei casi dagli uomini, e nel 30,5% dalle donne. Le più usate dagli uomini: cazzo, ignorante, coglioni; dalle donne: cazzo, merda e coglioni. Infine, le studentesse hanno registrato l’uso di alcuni neologismi nel gergo giovanile: bimbominkia (utente del Web che si comporta in modo provocatorio, scorretto e fastidioso), figheggiare (andare in giro a fare il figo), fottesega (non importa una sega), fottivendolo (prostituto? cazzaro?), scopamici/trombamici (sul calco di “sex friend”: amici di letto).

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Se “filippino” diventa un insulto https://www.parolacce.org/2014/10/29/filippino-insulto/ https://www.parolacce.org/2014/10/29/filippino-insulto/#comments Wed, 29 Oct 2014 12:35:25 +0000 https://www.parolacce.org/?p=6635 Essere definiti “filippini” è un insulto? Massimo Ferrero (presidente della Sampdoria), in un’intervista alla Rai ha definito “filippino” il presidente dell’Inter, l’indonesiano Erick Thohir. La sua è stata molto più che una gaffe: la Figc ha aperto un fascicolo sulla… Continue Reading

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Filippini Essere definiti “filippini” è un insulto? Massimo Ferrero (presidente della Sampdoria), in un’intervista alla Rai ha definito “filippino” il presidente dell’Inter, l’indonesiano Erick Thohir. La sua è stata molto più che una gaffe: la Figc ha aperto un fascicolo sulla vicenda. E Thohir sta valutando se denunciare Ferrero per razzismo o per diffamazione:se lo facesse, l’aggettivo “filippino” diventerebbe ufficialmente un insulto. Se qualcuno vi definisse greci o turchi vi offendereste?

L’episodio mi ha colpito. Dopo il caso di Tavecchio e delle banane, mette a nudo non solo il nostro razzismo strisciante, ma anche il nostro complesso di inferiorità: come spesso accade nellle discriminazioni, il bue dà del cornuto all’asino. Vedremo in che senso.

Ma prima ricordiamo cos’è successo. L’episodio risale a domenica scorsa. In quei giorni, Massimo Moratti – dopo 19 anni alla guida dell’Inter – si era dimesso dalla carica di presidente onorario: un anno fa aveva venduto il pacchetto azionario dell’Inter all’imprenditore indonesiano Thohir.

Così Enrico Varriale, conduttore di Stadio Sprint (Rai2) ha chiesto a Ferrero un commento sull’addio di Moratti. Ferrero si è detto dispiaciuto, aggiungendo: “Io gliel’ho detto a Moratti, caccia via quel filippino…!”. Varriale gli ha fatto notare che è indonesiano: “Viene dall’Indonesia a insultà un emblema del calcio italiano?”,  ha ribadito Ferrero.

https://www.youtube.com/watch?v=kCSKcLjeVdI

“Caccia via quel filippino”: come dire, licenzia quel domestico. In Italia, spesso i filippini trovano lavoro come badanti o domestici. L’insulto c’è tutto: un modo classista e razzista di equiparare un popolo a una condizione sociale considerata inferiore. Come avviene con negro, terrone, villano, cafone

bbc

La frase di Ferrero sul sito della Bbc.

La notizia è rimbalzata sui giornali, non solo in Italia ma anche all’estero. Tanto che Rachel Ruiz, direttrice dell’associazione calcistica filippina, ha confermato che la battuta di Ferrero è stata considerata offensiva. Così, sul sito Web della Sampdoria, alla fine Ferrero ha dovuto correggere il tiro, precisando che “non voleva mancare di rispetto a Thohir e alle Filippine”, aggiungendo che coi filippini “da sempre mi legano rapporti bellissimi”. Sarà, ma la frittata è fatta. Ora vediamo con quali ingredienti.

Innanzitutto, con 165 mila persone, i filippini sono il 2,9% degli stranieri residenti in Italia: sono il 6° gruppo più numeroso. Difficile verificare se facciano tutti i domestici, ma poco importa: secondo un recentissimo sondaggio Istat su 21 mila stranieri, filippini e moldavi sono fra i più soddisfatti del proprio lavoro (con un voto di 8/10), e solo il 17,5% di loro denuncia un trattamento discriminatorio (stanno peggio, ovvero sopra il 30%, tunisini, marocchini, polacchi e rumeni). E’ probabile, quindi, che la soddisfazione sia reciproca: ovvero che anche gli italiani siano contenti del modo di lavorare dei filippini.

MigrantiMa allora come spiegare il disprezzo nei loro confronti?

In due modi: da un lato, ci accorgiamo, in qualche modo, di dipendere da loro: ben pochi italiani sono disposti a fare i domestici o i badanti, quindi in realtà siamo noi a dipendere dai filippini per questi importanti servizi.

Ma in realtà quello che brucia di più è la nostra inferiorità rispetto alle economie asiatiche: Cina, India, Giappone e Russia sono nei primi 6 posti dell’economia mondiale (e noi arranchiamo al 10°), ma la Banca mondiale, da qui al 2050, prevede che saliranno ancora (clicca sulla tabella per ingrandire). Pil2Quanto all’Indonesia, supererà l’Italia entrando nella “top 10” mentre noi scenderemo al 14° posto. Il gigante asiatico fa paura: ha comprato l’Inter (e non solo), e magari un domani potremmo essere noi a fare da domestici agli indonesiani. O ai filippini.

 

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L’origine della parola “terrone”. Una volta per tutte https://www.parolacce.org/2014/07/22/etimologia-di-terrone/ https://www.parolacce.org/2014/07/22/etimologia-di-terrone/#comments Tue, 22 Jul 2014 09:51:07 +0000 https://www.parolacce.org/?p=5750 Da dove arriva la parola terrone? Un lettore di questo sito mi spinge a tornare sull’argomento. Perché ripropone un pregiudizio duro a morire: ovvero, che terrone abbia a che fare coi terremoti. Niente di grave: in questo errore sono caduti… Continue Reading

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Antonio Albanese nei panni di Cetto Laqualunque: l’emblema del meridionale approfittatore e corrotto.

Da dove arriva la parola terrone? Un lettore di questo sito mi spinge a tornare sull’argomento. Perché ripropone un pregiudizio duro a morire: ovvero, che terrone abbia a che fare coi terremoti. Niente di grave: in questo errore sono caduti fior di linguisti. Ma ora cercheremo di mettere un punto fermo in questa faccenda. Partiamo dalla mail del lettore, Fabrizio Furiosi: “Sono di famiglia milanese. Mio nonno (nato nel 1891) spiegava che la parola derivava da terra ballerina: i primi immigrati, specialmente pugliesi, arrivavano dal meridione, riconosciuto storicamente come la terra dei terremoti. Tanto che i meridionali venivano apostrofati con «Uè! tera balerina!»”…
E’ davvero questa l’origine dell’epiteto? Intanto, si nota subito un errore nella ricostruzione: gran parte dei terremoti più violenti d’Italia sono avvenuti in Sicilia, Calabria, Abruzzo e Basilicata ma non in Puglia. E proprio da Sicilia e Calabria (non dalla Puglia) sono arrivati gran parte degli immigrati al Nord. Ma la questione di fondo è un’altra: chi prenderebbe in giro qualcuno perché nella sua terra c’è stato un sisma? In Italia ci sono molti immigrati cileni, ma non ho mai sentito nessuno prenderli in giro per i loro frequenti, oltre che violenti terremoti. Avete mai sentito qualcuno insultare un altro per le catastrofi naturali che ha subìto? “Ehi, terra franosa! Ehi, alluvionato!!”.

La ricostruzione è irreale, non regge. Eppure, ci sono caduti fiori di linguisti: il “Dizionario moderno” (1908) di Alfredo Panzini, curato da Bruno Migliorini riconduce terrone a una fusione fra terr(emoto) e (meridi)one. Forse perché le frasi citate dal lettore Furiosi sono esistite davvero: ma erano un modo – diciamo così – bonario di alleggerire un insulto che ha in realtà una forte carica spregiativaLa parola terrone non ha nulla a che vedere coi terremoti: dalla fine degli anni ’70 i linguisti (come Ruggero Stefanini) hanno abbandonato questa ipotesi, e anche le altre che circolavano fino a quel momento: “mangiatore di terra”, “del colore della terra”. Anche il Dizionario etimologico della lingua tialiana della Zanichelli lo ribadisce: “il riconoscimento in terrone di ‘legato alla terra‘ sembra il più ovvio e accettabile”.
Una delle prime apparizioni del termine risale infatti al 1600, in un documento scritto dall’erudito fiorentino Antonio Magliabechi: «Quattro settimane sono scrissi a Vostra Signoria illustrissima e l’informai del brutto tiro che ci fanno questi signori teroni di volerci scacciare dal partito delle galere, contro ogni equità e giustizia». Qui teroni sta per grandi latifondisti, proprietari terrieri. Poi il termine passò a qualificare – sempre con disprezzo – i contadini, i braccianti agricoli. A maggior ragione nei secoli successivi, quando, con l’industrializzazione, il contadino era visto sempre con disprezzo, dall’alto in basso: le parole spregiative villano, burino e cafone hanno lo stesso significato svilente. 1391_1Ma, osserva acutamente Piero Angelini in un interessante saggio, terrone non era un semplice contadino: era “il lazzarone, il pezzente, il plebeo, il contadino sottosviluppato che sopravvive non lavorando, ma raspando la terra. Il marginale di campagna che quando non mendica o non ruba, è costretto a brucare e a frugare nella terra, per far pietanza di tutto ciò che nella nostra cultura è più interdetto: chiocciole e ghiande, funghi e insettucci; e per contorno, cos’altro se non terra? Il mangiaterra segue una dieta che oscilla tra due estremi: cosucce della terra, resti e rifiuti quali vitto giornaliero, ma carne e grassi quando l’accatto o il furto riesce. Un individuo accecato dalla fame e dalla rabbia, dall’invidia e dalla paura“. Così lo vedevano (e lo dipingevano) i funzionari del Regno sabaudio inviati a governare il Sud.

Dunque, terrone – nell’Italia dei grandi flussi migratori, dopo la seconda Guerra mondiale – era il maschio che minacciava i posti di lavoro (e le donne) dei settentrionali, e quindi era visto con paura, disprezzo e scherno. Per combatterlo, bisognava dipingerlo come  parassita, ladro, fannullone, ignorante e incivile. Lo stesso tipo di disprezzo e di paura che oggi suscitano gli immigrati africani o dell’est europeo: quando ci si sente minacciati dall’invasione di altri popoli (ci rubano le donne, ci rubano i posti di lavoro, ci rubano le case), il razzismo è la difesa più rapida. E’ l’emarginazione, la caccia all’uomo. terroneDeMitaChe poi i lombardi (o i piemontesi, o i veneti) abbiano declinato questo epiteto anche in senso bonario (terra ballerina), beh: questa è un’altra storia. Più soggettiva, più episodica, ma non certamente l’intento originario dell’epiteto. Tanto che per sdrammatizzare una tensione reale, molti comici (da Diego Abatantuono, fino a Checco Zalone e Antonio Albanese) hanno messo a nudo queste dinamiche di emarginazione, come pure alcuni difetti endemici del Sud: il familismo e il clientelismo innanzitutto. Il terrone che loro mettono alla berlina è l’ignorante, con scarsa voglia di lavorare, rozzo, maleducato, approfittatore, che disprezza le norme igieniche e le regole elementari della convivenza civile. Difetti che si possono trovare a tutte le latitudini.

 Se volete approfondire questo argomento, mi sono occupato di terrone anche qui, qui e qui.

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Peggio terrone o polentone? E i guai di Bossi https://www.parolacce.org/2013/05/23/peggio-terrone-o-polentone-e-i-guai-di-bossi/ https://www.parolacce.org/2013/05/23/peggio-terrone-o-polentone-e-i-guai-di-bossi/#comments Thu, 23 May 2013 15:25:07 +0000 https://www.parolacce.org/?p=1370 Come insulto è più pesante dire “terrone” o “polentone”? La domanda mi è stata rivolta giorni fa da un valente collega, Stefano Lorenzetto. Gli ho risposto di getto (peggio terrone) ma oggi voglio sviscerare l’argomento più a fondo, dato che… Continue Reading

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Copertina di un disco del cantastorie Franco Trincale.

Come insulto è più pesante dire “terrone” o “polentone”? La domanda mi è stata rivolta giorni fa da un valente collega, Stefano Lorenzetto. Gli ho risposto di getto (peggio terrone) ma oggi voglio sviscerare l’argomento più a fondo, dato che – per fare un esempio – Umberto Bossi è stato condannato a 1 anno di reclusione per aver dato del “terùn” al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano durante un comizio.
Tornando alla questione: è più pesante l’epiteto di terrone o quello di polentoneInnanzitutto può aiutarci l’etimologia: qual è l’origine di queste parole?
La più antica è terrone: risale al 1600, e il termine indicava – in modo neutrale, non spregiativo – i grandi latifondisti: era sinonimo di “grande proprietario terriero”. Il suo uso come spregiativo geografico è attestato fin dal 1946, nel romanzo di Carlo Bernari “Tre casi sospetti”. In pratica, terrone è diventato un insulto per qualificare gli abitanti del Sud come contadini: uno spregiativo classista, socio-economico. Come dire che contadino è sinonimo di persona poco acculturata e dai modi rozzi, incivile. Uno stereotipo tutt’altro che originale, dato che termini come burino, villano, cafone, tamarro giocano proprio sulle stesse (labili) argomentazioni razziste.
Polentone, invece, ha una storia più recente. In origine designava una persona lenta nei movimenti, pigra e indolente, poco sveglia. Ma dal secolo scorso (la sua prima apparizione letteraria risale al 1975 in “Parole e storia” di Bruno Migliorini) si è trasformato in un epiteto offensivo rivolto ai settentrionali: sinonimo di mangiapolenta, ovvero anche in questo caso, un insulto classista. Chi mangia solo polenta? I contadini poveri e ignoranti, ovviamente…

Scena del film “Benvenuti al Sud”, sugli stereotipi geografici.

Dunque, i meridionali hanno ripagato i settentrionali con la stessa moneta. Allora i 2 insulti sono equivalenti? Per nulla. Intanto, dato che storicamente il disprezzo è originato al Nord ricco contro il Sud povero, potremmo dire che “polentone” è stata una forma di legittima difesa. O, per essere più precisi, un fallo di reazione da parte di un soggetto (il Sud) in svantaggio sociale ed economico.
Ma al di là di questo, c’è un dato inequivocabile che dimostra che terrone è peggio di polentone: la percezione sociale. Che avevo misurato nel 2009 con un sondaggio, il volgarometro, che ebbe un risultato inequivocabile: tra gli italiani, terrone è percepito come insulto a offensività medio-alta (1,4 su una scala da 0 a 3), mentre polentone risulta avere un’offensività medio-bassa (0,8). In pratica, terrone ha una forza d’urto quasi doppia rispetto a polentone.

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Bossi e gli insulti schizofrenici https://www.parolacce.org/2013/04/12/1304/ https://www.parolacce.org/2013/04/12/1304/#respond Fri, 12 Apr 2013 13:46:23 +0000 http://www.parolacce.org/?p=1304 Può senatore, nonché ex ministro, insultare il presidente della Repubblica con un termine spregiativo razzista? All’estero, un caso del genere sarebbe fantascienza. In Italia, invece, è cronaca: ieri un pm della Procura di Bergamo, Massimo Meroni, ha chiesto il rinvio… Continue Reading

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BossiDitoMedioPuò senatore, nonché ex ministro, insultare il presidente della Repubblica con un termine spregiativo razzista? All’estero, un caso del genere sarebbe fantascienza. In Italia, invece, è cronaca: ieri un pm della Procura di Bergamo, Massimo Meroni, ha chiesto il rinvio a giudizio per Umberto Bossi, che nel 2011 durante un comizio aveva definito “terrone” il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. E il 22 settembre 2015 Bossi è stato condannato a 18 mesi di reclusione per vilipendio al Capo dello Stato.

Un insulto? O un modo di dire colloquiale, come si è affrettato a difenderlo il collega di partito – nonché eurodeputato – Mario Borghezio? Oppure un modo legittimo e insindacabile di esercitare la dialettica politica, come obiettano i legali del senatur?

Il fatto risale al 29 dicembre del 2011. Berlusconi si era dimesso (e con lui Bossi, allora ministro per le Riforme istituzionali), il governo Monti si era insediato da poco più di un mese. Bossi era ad Albino (Bg) alla festa invernale della Lega Nord. Parlando alla platea di militanti, parlando del presidente Napolitano, ha detto: «mandiamo un saluto al presidente della Repubblica (fischi, e Bossi fa il gesto delle corna impugnando il microfono). D’altra parte nomen, omen: si chiama Napolitano… non sapevo che l’era un terun».
Non solo. Al pubblico di militanti che scandiva «Monti-Monti-Vaffanculo!» Bossi ha risposto: «Magari gli piace, cazzo!». Aggiungendo poi, a proposito della politica di Monti «Anche un cretino capirebbe che se aumenti le tasse, la gente spende meno, si produce meno».

Ecco il video integrale del comizio:

L’episodio non era passato inosservato: diversi cittadini avevano querelato Bossi per vilipendio al capo dello Stato, denunciando un “attacco sovversivo contro l’Unità d’Italia e i suoi organi costituzionali”. Ora la richiesta di rinvio a giudizio: il nostro Codice Penale, infatti, prevede (all’articolo 278) la reclusione da 1 a 5 anni per chi offende l’onore o il prestigio del presidente della Repubblica. E multe da 1.000 a 5.000 euro per chi vilipende le istituzioni (articolo 290).

Il giudice dovrà valutare la richiesta di rinvio a giudizio. A cui i legali di Bossi si sono opposti, sostenendo che le sue sparate rientravano nel suo ruolo di senatore: la Costituzione (articolo 68) garantisce ai parlamentari l’insindacabilità delle opinioni espresse nell’esercizio delle loro funzioni. Se il giudice sposasse questa tesi, il procedimento penale cadrebbe o sarebbe girato alla Corte Costituzionale perché esprima un parere.
Sapremo il prossimo mese come andrà a finire questa vicenda. Ma, nel frattempo, possiamo fare alcune considerazioni. Primo, difficilmente la qualifica di terrone può essere considerata un’opinione: è un epiteto spregiativo, di cui mi sono già occupato diffusamente su questo blog. Senza contare che anche la Cassazione lo considera un insulto.
Un termine tanto più offensivo perché esprime un pregiudizio emarginante: quello che i meridionali siano inferiori o “diversi” dai settentrionali. Un pregiudizio 3 volte offensivo: non solo nei confronti della persona Napolitano, ma anche della carica che riveste (rappresenta l’unità d’Italia e tutti gli italiani), e di quel 50% di italiani che vivono da Roma in giù.

Bossi non è nuovo a uscite di questo genere: nel 2001 era stato condannato a 16 mesi di reclusione per vilipendio della bandiera italiana (aveva detto di usarla “per pulirsi il culo”; poi, in seguito a modifiche al Codice Penale, la condanna è stata trasformata in una sanzione di 3.000 euro). E nel 2010 era stato costretto – dagli alleati di partito – a una scorpacciata riparatoria a base di coda alla vaccinara e altre specialità romanesche in piazza Montecitorio, in un tentativo di riconciliazione gastronomica dopo le polemiche seguite alla sua frase: “Spqr? Sono porci questi romani”.

Renata Polverini (presidente della Regione Lazio) imbocca Umberto Bossi con una specialità romana.

In tutti questi episodi, comunque, colpisce un fatto di fondo: la schizofrenia politica. Da un lato, Bossi non perde occasione per esprimere il proprio disprezzo verso le istituzioni; dall’altro, però, ne fa parte: questo dovrebbe significare che implicitamente ne riconosce il valore e le responsabilità, e non solo fruire del potere e dei privilegi (come l’insindacabilità delle opinioni) che questo comporta. Altrimenti, sarebbe una forma di parassitismo: e la Lega non voleva combatterlo?

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Terrone, burino e polentone: le parole dell’Italia (dis)unita https://www.parolacce.org/2011/01/26/terrone-burino-e-polentone-le-parole-dellitalia-disunita/ https://www.parolacce.org/2011/01/26/terrone-burino-e-polentone-le-parole-dellitalia-disunita/#comments Wed, 26 Jan 2011 10:05:00 +0000 https://www.parolacce.org/?p=5 Costituzione, tricolore, resistenza? Sì, ma non solo. Tra le parole più rappresentative dei 150 anni d’Italia – le 3 che  ho citato hanno vinto un sondaggio lanciato da Repubblica – non dobbiamo dimenticarne molte altre, decisamente meno nobili. Quelle che esprimono… Continue Reading

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originalCostituzione, tricolore, resistenza? Sì, ma non solo. Tra le parole più rappresentative dei 150 anni d’Italia – le 3 che  ho citato hanno vinto un sondaggio lanciato da Repubblica – non dobbiamo dimenticarne molte altre, decisamente meno nobili. Quelle che esprimono la frammentazione, il campanilismo e la chiusura del nostro Paese: ovvero, terrone, polentone e via insultando. In pratica, la “disunità” d’Italia.
Questo è un aspetto molto radicato, e molto antico del nostro Paese.
Ben prima che la Lega Nord facesse leva sul separatismo per cavalcare gli interessi economici dei piccoli imprenditori del settentrione, l’Italia era già avviata su questa strada. Lo dimostra la sua storia politica, fatta di numerosi ducati e città-stato, di schiere di invasori stranieri e di corruzione, e di conseguente diffidenza verso le istituzioni.

Uno dei celebri manifesti separatisti della Lega Nord.

Uno dei celebri manifesti separatisti della Lega Nord.

Un libro, uscito di recente, passa in rassegna proprio le parole della disgregazione: “Storia linguistica dell’Italia disunita” del linguista Pietro Trifone (Il Mulino, 2010).
Il libro offre una rassegna quasi completa (spiegherò poi perché “quasi”) degli spregiativi usati da settentrionali, meridionali e abitanti del centro Italia per designare, con disprezzo, i connazionali provenienti da altre regioni. Mostrando quanto sia antico e articolato il razzismo interno.
Non bisogna dimenticare, infatti, che gli spregiativi geografici sono particolarmente odiosi perché sono “giudizi a priori“, ovvero pre-giudizi: svalutano ed emarginano una persona solo perché proveniente da un’altra zona.
L’individuo non conta più in quanto tale, con i suoi pregi e i suoi difetti: conta – in senso negativo – solo in quanto portatore di una cultura diversa che non viene approfondita o conosciuta, ma disprezzata e rifiutata in blocco, come ho già avuto modo di spiegare in un altro post.
Un pregiudizio figlio della paura: la paura del rivale, del diverso, dell’altro. Dimenticando che, in molti casi, il benessere del nord, che tanto strenuamente difendono i politici settentrionali, è merito dei sacrifici di tanti immigrati del sud, che non sono, evidentemente, tutti ladri, ignoranti o parassiti.

Tornando all’analisi linguistica, Trifone ha identificato 32 insulti a sfondo geografico-sociale, che salgono a 35 con le mie integrazioni. Vale la pena passarli in rassegna tutti: in rosso ho segnato gli spregiativi di origine schiettamente geografica, in verde quelli di origine sociale (gli asterischi* contrassegnano le mie aggiunte).

CONTRO IL NORD (11)
• genovese (= spilorcio);
• lumbard (= intollerante, leghista accanito);
• milanesemente (= pacchiano, ostentato, borioso);
• sbolognare (da Bologna, dove un tempo si fabbricavano oggetti d’oro falso o di bassa lega: = affibbiare qualcosa di sgradito, sbarazzarsi di qualcuno);
• venezia (nel calcio, “fare il venezia” significa giocare in modo individualistico, eccedere in preziosismi, passare poco il pallone);
• baluba (popolo di lingua bantu del Congo: = persona rozza e incolta, soprattutto del nord);
buzzurro (= in origine, i montanari svizzeri che venivano in Italia a vendere caldarroste; poi i piemontesi trasferitisi a Roma dopo l’Unità d’Italia = zoticone);
bauscia (= sbruffone: la bauscia è la bava);
polentone o mangiapolenta (zotico, miserabile, ignorante, inetto; lento e impacciato);
montanaro (ignorante);
ruscone (sgobbone ignorante).
CONTRO IL CENTRO (8)
• chietino (riferimento all’austero ordine dei padri Teatini fondato dal vescovo di Chieti Gian Pietro Caraga; = bigotto, bacchettone: );
• ciociaro (dalla ciocia, umile calzatura di cuoio = zoticone);
• matriciano (da Amatrice, Rieti, patria del sugo alla matriciana;=  rustico, rozzo);
• norcino (da Norcia, sinonimo di salumiere; = persona rozza, sgarbata, sudicia);
• pariolino (dai Parioli, quartiere-bene di Roma: = benestante, modaiolo, snob e reazionario);
• sgurgola (paese in provincia di Frosinone: = cafone, sempliciotto);
burino (zoticone),
borgataro (idem).
CONTRO IL SUD (16)
bassitalia (dove “basso” non denota solo la geografia, ma anche il censo, la cultura, la considerazione);
napoletano (= cerimonioso, enfatico, ciarlatano, esibizionista, truffatore);
napoli (= zotico, inferiore);
sudico (ricalca la parola “nordico”, accostandolo a sudicio: sporco, zotico);
beduino (nomadi arabi: =  zotico, ignorante);
extracomunitario (escluso, ignorante);
mau mau (indipendentisti contro il colonialismo inglese in Kenya: = immigrati meridionali ignoranti);
zulu (idem); cafone (contadino meridionale);
terrone (contadino incrostato di terra, = sporco e ignorante);
tamarro (venditore di datteri: = ignorante e rozzo);
gabibbo (scaricatore di porto africano, = meridionale in senso più benevolo);
mangiasapone (Garibaldi avrebbe portato in Sicilia il sapone, ma fu scambiato per cibo: =  ignorante, zotico),
mafioso* (criminale, violento, omertoso, superbo),
camorrista* (idem),
giargianese* (barbaro e incomprensibile nei modi di parlare =  incolto, ignorante).
Striscione da stadio contro i napoletani...

Striscione da stadio contro i napoletani.

Questo elenco stimola varie osservazioni.
1) QUANTITA’. Il sud, tradizionalmente oggetto di razzismo ed emarginazione, vince per numero di insulti, ma non così tanto: gli spregiativi contro i meridionali sono numericamente quasi equivalenti a quelli contro i settentrionali. Segno non solo della reattività dei meridionali, che hanno ricambiato i nordici con la stessa moneta, ma anche della disgregazione interna al nord: tutti contro tutti, in nome dell’egoismo.
2) QUALITA’. Gli insulti più pesanti sono comunque quelli rivolti ai meridionali: fanno più paura perché, per problemi economici, sono migrati al nord e l’hanno “invaso” con cultura, abitudini e parlate diverse.
3) DIMENTICANZE. Gli aggettivi “mafioso” e “camorrista” rivolti ai meridionali non erano contenuti nell’elenco di Trifone, eppure sono tradizionalmente insulti rivolti ai meridionali. Anche se oggi la mafia non è più soltanto un fenomeno radicato al sud: anzi, come molti esperti hanno notato, l’Italia di oggi si è abbondantemente “meridionalizzata” (in senso deteriore) con mafie, clientelismi, usura, concezione familistica degli affari e della politica.

Checco Zalone in "Che bella giornata": esorcizza il contrasto nord-sud, e anche il problema dell'immigrazione straniera.

Checco Zalone in “Che bella giornata”: esorcizza il contrasto nord-sud.

Dunque, il problema esiste, ed è proprio per questo che hanno tanto successo i film che esorcizzano queste divisioni, purificandole in un riso liberatorio: da Benvenuti al sud a Che bella giornata, fino a Qualunquemente. La lingua batte dove il dente duole...
Sempre a proposito di quantità, con i suoi 35 spegiativi geografici, l’Italia è probabilmente uno dei Paesi con più alta varietà linguistica in questo senso, come già avevo notato in un precedente post su parolacce e dialetti. Anche se le divisioni non mancano anche in altri Paesi.

Ecco un primo elenco, compilato grazie ad alcuni amici del blog “parolacce”:

GERMANIA
Ostfriesen = abitante dell’est Frisia = scemo
• Scwaben = abitante della Svevia = tirchio

[grazie a Roland Jentsch]

FRANCIA
auvergnat = abitante dell’Auvergne = tirchio
plouc = bretone (in Bretagna molte località iniziano con “plou”) = contadino rozzo e incolto
parigot = spregiativo per “parigino”
• doryphore = insetto parassita delle patate = spregiativo per indicare gli abitanti di Bordeaux

[grazie a Bertrand Girin e Frida Morrone]

REGNO UNITO
doryphore = scozzese = tirchio
• paddy = versione irlandese del nome Patrick, Patrizio, santo patrono d’Irlanda = irlandese stupido
• taffy = versione gallese del nome Dafydd, David, santo patrono del Galles = gallese mascalzone, inaffidabile (c’è anche un’antica filastrocca “Taffy was a Welshman“)

[grazie a Jonathan W.]

SPAGNA
maketo, koreano, pardela, pardillo
: termini spregiativi usati dai baschi verso gli altri spagnoli.
• cantabròn: spregiativo (giocato su un’assonanza con cabròn, cornuto, stronzo) in riferimento ai nati a Santander.
• charnego: spregiativo verso gli spagnoli immigrati in Catalogna e quindi “catalani non purosangue”.

[grazie a Laura Facchini]

BRASILE
Cabeça-chata: soprannome che si dà agli abitanti degli stati del Nordest del Brasile (Ceará, Pernambuco, Paraíba, Alagoas ecc.): significa “testa arrotondata e schiacciata”.
• Pau-de-arara  = legno di pappagallo: soprannome dato a chi è immigrato in São Paulo appeso nella carrozzeria di un camion.
• Barriga-verde: è il soprannome degli abitanti dello Stato di Santa Catarina.
• Caipira (= tagliatore di cespugli = campagnolo, contadino): soprannome che gli indigeni dello Stato di São Paulo usano nei confronti dei bianchi, dei mulatti e dei neri. E’ spesso sinonimo di rozzo e ignorante
• Tapuia (= barbaro, forestiero, nemico): termine spregiativo usato dagli indigeni verso altri indigeni residenti nelle zone più interne
• colono burro: fino a qualche decina d’anni una espressione molto negativa, sinonimo di contadino povero, contadino asino, ignorante, rozzo. Oggi è praticamente sparito, forse perché i contadini non sono più poveri, né ignoranti (hanno la tv, Internet, telefono ecc.).
• Papa-goiaba: era il soprannome degli individui nati a Rio de Janeiro.

[grazie a Vitalina Frosi]

Insomma, come diceva amaramente Luciano De Crescenzo nel film “Così parlò Bellavista“, commentando lo snobismo di una tedesca verso il marito milanese: «Si è sempre meridionali di qualcuno»…

 

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