Tripadvisor | Parolacce https://www.parolacce.org L'unico blog italiano di studi sul turpiloquio, dal 2006 - The world famous blog on italian swearing, since 2006 - By Vito tartamella Sat, 26 Oct 2024 14:18:37 +0000 it-IT hourly 1 https://www.parolacce.org/wp-content/uploads/2015/06/cropped-logoParolacceLR-32x32.png Tripadvisor | Parolacce https://www.parolacce.org 32 32 I ristoranti più sfacciati del mondo https://www.parolacce.org/2018/07/31/negozi-divertenti-italiani-estero/ https://www.parolacce.org/2018/07/31/negozi-divertenti-italiani-estero/#comments Tue, 31 Jul 2018 08:00:51 +0000 https://www.parolacce.org/?p=14434 La sua storia ha fatto scalpore quest’estate: un imprenditore pugliese, Luigi Aseni, 37 anni, ha avuto successo in Scozia aprendo una catena di bar, i Boteco do Brasil. E ha battezzato le sue società “Skassa Kazz “, “Rumba Kazz” e “Kaka Kazz“. Quella… Continue Reading

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I documenti ufficiali delle società “Kaka Kazz” e Skassa Kazz” dell’imprenditore pugliese Luigi Aseni.

La sua storia ha fatto scalpore quest’estate: un imprenditore pugliese, Luigi Aseni, 37 anni, ha avuto successo in Scozia aprendo una catena di bar, i Boteco do Brasil. E ha battezzato le sue società “Skassa Kazz “, “Rumba Kazz” e “Kaka Kazz“. Quella che gestirà il locale Mango si chiamerà “Mango Pu Kazz“.
La storia è stata scoperta da Milena Gabanelli, per la rubrica DataRoom del “Corriere della Sera”. Mi ha divertito, e allora mi sono chiesto se fosse l’unica del genere. Non lo è: in giro per il mondo – in Europa ma anche in Asia, Africa, America e Oceania – ho trovato 21 negozi, per lo più ristoranti, con nomi volgari. Dalla “Cantina baldracca” (Lisbona) alla società di import “Pirla” (Berlino). Dunque, il mondo è pieno di società del Kazz
.
Ma prima di mostrarvi la lista di questi locali, una domanda sorge spontanea: che cosa scatta nella testa degli italiani che aprono attività all’estero? Perché si affidano a un linguaggio da Cinepanettoni per i loro business?

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BEFFA, MARKETING E NOSTALGIA

Il fenomeno è interessante, oltre che divertente. E ha varie ragioni. Innanzitutto, quando siamo all’estero, cadono i nostri tabù linguistici: gli stranieri non capiscono le parolacce italiane, quindi le diciamo in libertà, senza preoccuparci di scandalizzare  o di indignare qualcuno. Insomma, un bello sfogoE permette di esprimere le proprie emozioni in modo schietto e immediato,in un momento carico di passioni: quando si apre un’azienda si è eccitati per l’avventura, preoccupati per il suo successo, ispirati per trovare nuove strade, arrabbiati per i contrattempi…

Negozio di ottica a Pamplona (Spagna), in Calle del Vínculo. L’accento, dunque, cade sulla “i”: ma se cade sulla “u”, l’insegna acquista ben altro senso. 

E al tempo stesso, usare un nome, un’insegna scurrile è anche uno scherzo, una beffa: immaginate di essere allo sportello della Camera di Commercio britannica e di dire ad alta voce (o scrivere) il nome della vostra società: “Mango Pu Kazz limited”. Tanto l’impiegato non sarà in grado di capirne il significato: riderete alle sue spalle. Una goliardia di contrabbando, una provocazione mimetizzataInfatti nel Regno Unito non se n’è accorto nessuno, e l’attività imprenditoriale di Aseni è stata anche premiata. Ma quando alcuni fornitori italiani si sono visti arrivare fatture intestate alla società “Skassa Kazz”, hanno strabuzzato gli occhi: pensavano fosse uno scherzo, un falso.
E quando un nome simile finisce addirittura in vetrina, su un’insegna, all’estero diventa un’allusione, un messaggio in codice: un italiano, vedendo un ristorante che si chiama “Cantina baldracca” farà una risata. E ne sarà anche incuriosito: il messaggio è rivolto a lui, che è in grado di capirlo anche a migliaia di km dall’Italia. E, tutto sommato, è anche un modo di esprimere la nostalgia dell’Italia.
Dunque, anche questo è marketing: una parolaccia attira sempre l’attenzione. A maggior ragione in un luogo dove non viene detta perché si parla un’altra lingua. E così molti italiani entrano per curiosità o si fanno fotografare davanti all’ingresso.
In giro per il mondo ho scoperto una dozzina di attività con un nome che in Italia sarebbe decisamente improponibile. Sono per lo più ristoranti, bar e fornitori di alimentari, a testimonianza che il cibo muove le nostre passioni. Unica eccezione, un negozio di vestiti.

Ecco la lista dei 21 ristoranti più sfacciati del mondo (tutti verificati).
Se ci andate, fatevi raccontare la loro storia… e condividetela nei commenti

CANTINA BALDRACCA

A Lisbona (Portogallo). E’ una pizzeria italiana, sicuramente fondata da nostri connazionali.
Sul suo menu ha scritto uno slogan in rima: “Cantina Baldracca, quando a fome ataca”, ovvero: “Cantina Baldracca, quando colpisce la fame”.

 

 

 

Pagina internet su TripAdvisor

BISCHERO

A Ginevra (Svizzera). E’ una focacceria italiana, probabilmente fondata da toscani. Prepara anche lasagne, piadine e parmigiana. Probabilmente gli svizzeri ticinesi capiranno il nome, ma quelli di lingua francese non immagineranno che è un insulto.

Sito ufficiale

CHE CULO!

Phnom Penh (Cambogia). La spiritosa  insegna campeggia su un cocktail bar che serve anche hamburger, poco lontano dalle rive del Mekong. Non ho trovato informazioni sulla sua storia, ed è un peccato: i suoi gestori hanno fatto un bel viaggio per aprire un locale in una cultura molto diversa dalla nostra.

Pagina Internet su TripAdvisor

ROTTINCULO

Dublino (Irlanda): il termine, come noto, può significare sia “fortunato” che “omosessuale” (in senso spregiativo). Chi ha fondato il locale, che nel frattempo ha chiuso, voleva con tutta probabilità puntare sul primo dei due significati: un modo spiritoso di evocare la buona sorte. Il locale era un ristorante italiano, e preparava diversi piatti  siciliani.

Sito su Facebook

COL ‘CACCHIO

Cape Town (Sud Africa). E’ una catena di pizzerie in Sud Africa. Un cliente ha raccontato così l’origine del nome:
I
l titolare si era rivolto a un italiano per avere consigli su come fare una buona pizza e quando e quanto far lievitare l’impasto. L’italiano, sicuro che il proprietario del ristorante non sarebbe mai riuscito a fare una pizza come quella partenopea, disse: Col cacchio che farai un’ottima pizza! Il ristoratore, raccogliendo la sfida, non solo fece una buona pizza, ma volle chiamare il suo ristorante “Col Cacchio”.

Sito Internet ufficiale 

IL BORDELLO

Londra (Regno Unito). Il locale offre piatti della cucina italiana. E’ un ristorante-pizzeria di grandi dimensioni e il suo nome evoca le case di tolleranza, altrimenti dette “casini”. Il menu prevede vari piatti tipici, dalla caprese alla bruschetta; ma ha una grave lacuna, visto il nome del locale: mancano gli spaghetti alla puttanesca.

Sito Internet ufficiale 

TERRONI

Toronto (Canada). Tutto è iniziato con un negozio che vendeva cibi italiani. Poi è diventato una pizzeria, e oggi è una catena di 8 ristoranti che offrono cibi italiani. Inutile dire che il gruppo è stato fondato da due immigrati italiani d’origine meridionale.

Sito Internet ufficiale 

LA FIGA

Londra (Regno Unito). Il locale, un ristorante di specialità italiane, è stato fondato da un italiano goliarda, che ha osato l’inosabile. Tanto, chi lo capisce? Su Tripadvisor, infatti, un utente, alla fine di una recensione, scrive: “What does La Figa mean?” (cosa significa La Figa?).
Sul Web le recensioni dei nostri connazionali sono quasi tutte positive, e le battute si sprecano: “W la figa!”, “Non è un ristorante del cazzo”, “Sono curioso di entrarci dentro” e “Quando arriva il conto sono cazzi”.
Il nome, per quanto osè, è comunque diffuso nel mondo: c’è una pizzeria “La figa” a Rio de Janeiro (Brasile) e  un “Cafè Figa” a Viña del Mar (Cile) .

Sito Internet ufficiale

PIZZA CAZZO

Golbey (Francia). Il ristoratore ha scelto un nome provocatorio ma musicale, perché basato su un’allitterazione (cioè la ripetizione di lettere: -izza -azzo). Il locale si trova in una piccola città nella Francia orientale, e l’ho inserito qui per “par condicio” dopo il locale precedente. Le poche recensioni sul Web non sono positive.

Segnalazione su un portale di ristorazione 

 

FACCIA DI CULO JEANS

Hong Kong (Cina). E’ l’unico locale di questa lista che non sia un ristorante. Il negozio di abbigliamento è stato fondato da un italiano, Oreste Carboni, che ha ideato il marchio dopo essersi stabilito a Hong Kong (ha sposato una donna cinese). Su Flickr alcuni hanno commentato: “Gli spedisco subito il curriculum, anzi: il curriculo”. Ma il negozio è stato chiuso anni fa.

Segnalazione su Flickr 

LA ZOCCOLA DEL PACIOCCONE

Amsterdam (Paesi Bassi). Il nome è lungo e composito. Ma non per attenuare l’impatto del termine “zoccola”, bensì perché il locale – una pizzeria con forno a legna – è attigua a un altro ristorante, che si chiama per l’appunto “Il pacioccone”. Il locale si trova in un vicolo del centro storico.

Segnalazione su un sito turistico

CULO DEL MONDO

Werdohl (Germania). Il nome lo trovo davvero spiritoso, anche se sarebbe stato più appropriato in Cambogia o in Nuova Zelanda invece che nel cuore d’Europa, nella Germania nord occidentale. Ma tant’è: comunque, a dispetto del nome, il ristorante non sembra il tipico angolo d’Italia all’estero: le recensioni raccomandano le sue bistecche.

Segnalazione su TripAdvisor

VAFFANCULO

Buenos Aires (Argentina). “Il vero sapore della gastronomia italiana: Vaffanculo Cantina Italiana”. Più che uno slogan, sembra uno sfogo rabbioso… Ma tant’è. Il locale propone alcune specialità italiane, soprattutto i primi piatti.

Il sito ufficiale 

LA PUTTANA

Lisbona (Portogallo). Ecco un altro locale in Portogallo, dove negli ultimi anni sono emigrati diversi italiani. E questa attività commerciale è una scelta tipica: una pizzeria. L’insegna fa effetto, anche perché il termine non è così lontano dal suo equivalente portoghese (puta). Se una cameriera o la titolare del locale rispondesse al telefono, però, vivrebbe una situazione imbarazzante: “La Puttana?” “Sim” (“Puttana?” “Sì”).

Sito Internet

CHE FIGATA

Naperville (Usa). In inglese si dice “cool”. L’equivalente italiano è “Che figata”: ed è proprio così che è stato chiamato un ristorante italiano a Naperville. Certo, un nome difficile da dire per gli anglofoni, tanto che in alcuni annunci viene spiegata anche la pronuncia, per quanto a spanne (Kay / Fah-gah-tah). 

PIZZERIA STRONZO

A Santiago del Cile (Cile). Impossibile sapere la storia di questa pizzeria, abbastanza popolare a Santiago. Il titolare non sembra di origini italiane: forse ha imparato questa parola in un viaggio in Italia o da amici italiani. Ha anche lanciato cappellini griffati “Stronzo”, sovrastati dalla scritta “ingredientes naturales” (come del resto è naturale lo stronzo…). Risulta esserci un’altra pizzeria con il medesimo nome a Zurigo.

 

Pagina internet su Facebook

KAGO SUSHI

Varsavia (Polonia). L’insegna è esilarante ma tutt’altro che invitante per un italiano. Eppure il suo significato è innocente: in giapponese vuol dire “cestino di sushi”. E’ un ristorante di specialità nipponiche nel cuore della capitale polacca. E ha scatenato vari commenti ironici da parte di clienti italiani, tipo: “All you can shit” (invece di “all you can eat”); “Lo chef si chiama Urinawa Suimuri”; “Questo piatto è Ushito Nakagata”.

segnalazione su TripAdvisor

 

POMPINO

Auckland (Nuova Zelanda). Non sono riuscito a ricostruire la storia di questo locale, un caffè ristorante: se sia stato fondato a un emigrato italiano, o no, ma il fatto che in menu abbiano la pasta fa pensare di sì. Uno dei visitatori del sito ha commentato: “Dopo una mangiata al ristorante Pompino, una bella grappa Bocchino”.

segnalazione su TripAdvisor

PORCO DIO

Lleida (Spagna). E’ una pizzeria fondata, c’è da scommetterlo, da italiani. E oltre all’insegna anche il menu non lascia spazio all’immaginazione: le pizze, invece di “margherita” o “quattro stagioni”, si chiamano “vaffanculo”, “baldracca”, “coglione” e così via. La pizza raccomandata si chiama “Madonna santa”. Nelle recensioni, comunque, molti affermano che in questo locale si mangi “da Dio” (alcuni dicono di aver fatto “una cena della Madonna”).

Il sito ufficiale

GNOCCA

Las Palmas (Spagna). E’ un piccolo ristorante a Nord dell’isola Gran Canaria. A giudicare dal menu, a base di lasagne e gnocchi, i suoi gestori sono senz’altro italiani. Il nome probabilmente nasce come variante di gnocco, uno dei piatti forti del locale. Ma ovviamente strizza l’occhio al significato di vulva o anche, più in generale, di “bella donna”. 

Il sito ufficiale

BELIN

Mogan (Spagna). Il ristorante è sul lungomare di Mogan, a Gran Canaria. Si potrebbe pensare a una semplice omonimia con il termine ligure che designa l’organo sessuale maschile (e, per estensione, le persone di scarso valore intellettuale): ma il ristorante è gestito da liguri, quindi la scelta è stata decisamente consapevole

segnalazione su TripAdvisor

PIRLA

Berlino (Germania). Non si sa nulla di questa impresa, che importa cibi italiani in Germania. I suoi camion sono fotografati con divertimento dai nostri connazionali lungo le strade tedesche. Vista la scelta lessicale, la ditta deve essere stata fondata da imprenditori di origine lombarda.

Sito internet

Conoscete – all’estero – altre ditte, negozi, attività con nomi scurrili? Segnalatele nei commenti (precisando dove sono, e il loro sito Internet): aggiornerò la lista

Di questo post ha parlato la trasmissione “I Vitiello” su Radio DeeJay il 22 agosto 2019.
Per ascoltarla, cliccate sul riproduttore qui sotto:

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Mi insultano su Facebook: che faccio? https://www.parolacce.org/2016/09/16/offese-social-network/ https://www.parolacce.org/2016/09/16/offese-social-network/#comments Fri, 16 Sep 2016 10:12:15 +0000 https://www.parolacce.org/?p=10850 Scrive Horacio: «Se su Facebook dico a una donna intollerante con gli stranieri: “Sei una razzista di merda” lei può farmi causa?». Poi c’è il caso di Rosa: «Dopo un battibecco, mia cognata, tramite Whatsapp, mi ha dato della stronza,… Continue Reading

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pugnoScrive Horacio: «Se su Facebook dico a una donna intollerante con gli stranieri: “Sei una razzista di merda” lei può farmi causa?».
Poi c’è il caso di Rosa: «Dopo un battibecco, mia cognata, tramite Whatsapp, mi ha dato della stronza, della bambina viziata, della terrona e tramite emoticon mi ha mandato affanculo e dato della merda. Posso fare qualcosa?».
E il racconto di Elle: «Giocando su un sito online di partite a carte, c’è sempre un tizio che si lamenta per come gioco. Ho scritto in chat che “i rompicoglioni sono sempre presenti” e lui mi ha dato della troia. Cosa posso fare?».

Le storie di Horacio, Rosa ed Elle non sono rare. Me ne hanno raccontate a decine, da quando ho pubblicato su questo sito un articolo sulle nuove regole del reato di ingiuria. Quell’articolo, infatti, è stato sommerso, nei commenti, da decine di appelli (fra cui questi tre), e in pochi mesi è diventato uno dei più cliccati di questo sito. Un fatto inaspettato, dato che parolacce.org è un sito di linguistica e non di consulenza giuridica.
Queste storie mi hanno coinvolto emotivamente perché sono vere e sofferte: provate a leggerle, e vi accorgerete che davvero le parole possono ferire come pietre (o come pugni, vedi il fotomontaggio Shutterstock in alto).
Ma queste richieste d’aiuto sono anche il sintomo di un disagio diffuso: oggi molte persone non sanno come devono comportarsi nelle nuove piazze virtuali dei social network per evitare o affrontare questi “danni collaterali”.
E’ comprensibile.  Questi servizi sono entrati nelle nostre vite molto in fretta. E così, senza rendercene conto, negli ultimi 10 anni siamo diventati tutti non solo “connessi” ma in qualche modo anche “giornalisti”/editori. Grazie a Internet, infatti, possiamo far arrivare la nostra voce ovunque, a decine, centinaia o migliaia di persone. Proprio come i giornali.

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Questa opzione su Facebook non c’è: sarebbe un reato (Shutterstock).

E’ un cambio radicale, e nessuno ci aveva preparati per questo. Abbiamo acquisito grandi poterilibertà, ma siamo entrati in un gioco più grande di quanto immaginiamo. Per chattare su Whatsapp o su Ask, scrivere una recensione su Tripadvisor o su Yelp, pubblicare un post su Facebook o scrivere un tweet non abbiamo dovuto studiare un manuale o superare un test. Ma è come guidare un’auto senza aver preso la patente: possiamo essere piloti formidabili, ma se non conosciamo il Codice della strada rischiamo di prendere multe, di farci male o di finire in galera. Gli stessi rischi che corriamo se usiamo in modo inconsapevole i social network.
Ecco perché in questo articolo troverete una guida pratica su come prevenire e “curare” gli insulti su Facebook & C.

Le regole del gioco

Il primo passo è sapere le regole del gioco. Cioè le leggi. Molti pensano che Internet sia una terra di nessuno, una zona franca in cui ci si può esprimere come si vuole: come con gli amici al bar. Ma non è così: sul Web valgono le stesse norme della vita reale.

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A volte i social network sono un concentrato di insulti (Shutterstock).

In particolare, chi insulta qualcuno su Facebook & C. non commette il reato di ingiuria, che quest’anno è stato depenalizzato (non si rischia più la galera, ma solo sanzioni economiche: lo spiegavo nel mio post). Chi insulta sui social, invece, commette un reato più pesante: la diffamazione aggravata. Lo stesso reato che commettono i giornalisti quando scrivono un articolo ingiustamente offensivo. Ovvero, quando scrivono giudizi infamanti senza averne le prove. Anche gli insulti infatti (dire a qualcuno che è stronzo, bastardo, demente, etc) sono giudizi.
Su Facebook & C. le nostre frasi restano nero su bianco (pixel su pixel, byte su byte) e arrivano a un numero imprecisato di persone. Tanto più che le nostre chat, i nostri post, le recensioni restano online per anni. E li si può leggere in ogni momento e da ogni angolo del pianeta. Anche se contengono le peggiori parolacce.

E allora vediamo in che consiste il reato di diffamazione: quali sono le pene previste, le procedure di denuncia e i tempi. Per sapere tutte le altre leggi che regolano le parolacce in Italia, potete scaricare il mio libro.

DIFFAMAZIONE

Cos’è: si commette il reato di diffamazione quando si offende una persona assente, davanti ad almeno altri 2 testimoni. Questo reato si può commettere anche quando si offende via Facebook, Twitter, Tripadvisor, Google Plus, Linkedin, Yelp, Ask, Whatsapp (se è una chat di gruppo).

Eccezioni

Si può essere assolti se si riesce a provare la verità di un’accusa all’altra persona.

Non è punibile chi ha commesso il fatto come reazione a un’ingiustizia appena subita.

Procedura

Si può denunciare direttamente il fatto alle forze dell’ordine (polizia, carabinieri).
In alternativa, si può incaricare un avvocato di depositare una denuncia in Procura.

Tempi

La querela va presentata entro 3 mesi da quando si è venuti a conoscenza del reato. Dopo la denuncia penale ci si può costituire parte civile per chiedere il risarcimento dei danni subìti. In alternativa si può ricorrere – entro 5 anni – al giudice civile per ottenere il risarcimento dei danni.

Pene

Reclusione fino a 1 anno; oppure multa fino a 1032 €.

Aggravanti (e pene aumentate)

  • se si attribuisce un fatto determinato: se si fa un’accusa concreta (“ha rubato una bicicletta”) senza provarla: reclusione fino a 2 anni; oppure multa fino a 2065 €
  • se si diffama attraverso la stampa (o “altri mezzi di pubblicità“: su Facebook, Twitter, etc): reclusione da 6 mesi a 3 anni, oppure multa di almeno 516 €.

Legge di riferimento: Codice Penale, art. 595 

Leggendo questa scheda, salta subito all’occhio un paradosso: com’è possibile applicare la diffamazione a chi scrive su una chat? La diffamazione, di per sè, significa parlar male di qualcuno in sua assenza. Ma se l’altro è presente, seppure in modo virtuale, dall’altra parte dello schermo, su Whatsapp o Facebook e Twitter? Per la Cassazione, che ha sfornato diverse sentenze sul tema, la presenza digitale non conta: è difficilmente provabile, in un processo, che il destinatario dell’insulto fosse virtualmente “presente” (connesso) quando veniva scritto.
Ovviamente il Codice Penale – scritto nel lontano 1930, quando Internet non esisteva nemmeno nella fantasia degli scrittori di fantascienza – non poteva precisare questo dettaglio. Ma, aggiunge Giuseppe D’Alessandro, avvocato cassazionista a Niscemi, su questo punto non è detta l’ultima parola: in realtà il dibattito è ancora aperto.
«Il nostro Codice» spiega l’avvocato D’Alessandro «vieta di interpretare le leggi in maniera più punitiva per gli imputati. Le interpretazioni che attenuano un reato, quindi, sono possibili. Perciò, nessuno vieta, a un giudice, di interpretare la presenza virtuale come presenza effettiva: e questo trasformerebbe le offese via Facebook & C da diffamazione a ingiuria, un reato meno grave. E non è l’unico problema di interpretazione in questo campo: qual è il Tribunale competente a giudicare gli insulti sui social network? Per saperlo, bisogna sapere dove è stato commesso il reato: e quando il luogo è il cyberspazio, tutto si complica». La tendenza più diffusa, comunque, è di considerare competente il Tribunale dove risiede la vittima, ovvero chi ha presentato la querela. 

LE 9 REGOLE

Se seguirete queste 9 regole, limitate il rischio di offese e querele quando scrivete sui social network:

  1. Non usate mai termini che offendano l’intera persona. Ovvero quando si squalifica qualcuno per l’intelligenza, l’aspetto fisico, il modo di comportarsi (la morale: onestà, il rispetto delle leggi), la competenza professionale. Si può, invece, criticare un singolo comportamento. Meglio dire “Hai fatto una cazzata” (a patto che si spieghi perché) piuttosto che dire “sei un cazzone”. Si possono usare giudizi anche pesanti, purché non siano esageratamente offensivi: meglio dire “quel pesce era cucinato malissimo” piuttosto che “era una merda”. La legge garantisce la libertà di espressione, ma non quella di infangare gli altri.
  2. La regola 1 vale anche se si scrive in un post “chiuso”, non pubblico, riservato a una ristretta cerchia di amici
  3. La regola 1 vale anche se ci si rivolge a un personaggio pubblico (attore, sportivo, politico)
  4. La regola 1 vale anche se si parla male di una persona attraverso allusioni (“quel leccaculo raccomandato”) che siano comprensibili ad altre persone
  5. La regola 1 vale anche nelle recensioni di ristoranti, hotel, bar, etc
  6. La regola 1 vale, in modo ancora più stringente, nei confronti di istituzioni, capi di Stato, leader religiosi, etc: se li offendete, rischiate pene ancora più pesanti (trovate tutti i dettagli sul mio libro)
  7. Se, trascinati dall’ira e dalle passioni, avete esagerato: scusatevi apertamente con chi avete insultato e cancellate il post o le frasi offensive
  8. Se l’autore degli insulti è minorenne, è denunciabile (e condannabile) solo se ha compiuto 14 anni; prima, no
  9. Una recente sentenza della Cassazione afferma che chi condivide un post offensivo (senza aggiungere altro) non è imputabile. Ma su questo punto, ci sono opinioni contrastanti: personalmente, sconsiglio di inoltrare o cliccare “mi piace” su un post farcito di insulti. 

Cosa fare se vi hanno offeso su un social network?

  1. E’ difficile stabilire a priori qual è il confine fra una critica aspra ma lecita e un’offesa punibile dalla legge. Non esiste un elenco di parole vietate o cose simili. I giudici valutano l’offensività di una frase giudicando non solo le parole usate (sono parolacce?), ma anche il contesto (dove è stata detta la frase, in che modo, in risposta a che cosa, etc). Se avete dubbi su questo punto, chiedete un parere a un legale.
  2. Conservate la prova. Potete stampare la pagina con la frase offensiva, salvarla su pc o chiavetta Usb. Oppure potete fotografare la pagina del computer (fare uno “screenshot”). Ma non basta: siccome sarebbero prove facilmente manipolabili, l’unico modo per farle accogliere è fare autenticare quella pagina da un notaio, oppure mostrarla ad altri testimoni che poi la dovranno confermare in tribunale. Nel frattempo, è bene annotare (se possibile) quante persone hanno letto la frase offensiva, o quanti sono gli iscritti alla chat o al gruppo
  3. Segnalate la violazione direttamente alla polizia postale, che può anche convalidare e dare valore di prova al testo offensivo.
  4. Attenzione al fattore tempo: sia per l’ingiuria che per la diffamazione si ha tempo 3 mesi dal fatto (l’offesa) per presentare denuncia. Passato questo tempo, non potete fare più nulla (a meno di dimostrare che eravate nella giungla amazzonica e non avevate la connessione Internet).
  5. postSe non conoscete la vera identità di chi vi ha offeso, non è sempre facile (anche per la polizia) risalire all’autore, perché i server dove sono registrati i dati e il traffico di Facebook (o Whatsapp, etc etc) non sono in Italia.
  6. Se il “fattaccio” è accaduto su Facebook, potete segnalare la violazione al servizio: basta cliccare col mouse sulla piccola “v” che appare al bordo destro di ogni post, e si apre una finestra come questa a destra. Bisogna cliccare su “Segnala post”, e poi seguire le istruzioni che appariranno sullo schermo.
    La stessa opzione è possibile anche su Twitter: in questo social network basta cliccare in alto a destra sul 3 pallini, e appare anche qui l’opzione “segnala”.
PER SAPERNE DI PIU'

Se volete approfondire cosa dicono le sentenze dei tribunali in caso di ingiuria, diffamazione e oltraggio, trovate un altro articolo su questo blog. 

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