vagina | Parolacce https://www.parolacce.org L'unico blog italiano di studi sul turpiloquio, dal 2006 - The world famous blog on italian swearing, since 2006 - By Vito tartamella Fri, 29 Nov 2024 12:25:44 +0000 it-IT hourly 1 https://www.parolacce.org/wp-content/uploads/2015/06/cropped-logoParolacceLR-32x32.png vagina | Parolacce https://www.parolacce.org 32 32 Da anghilla a zinforgna: i nomi del sesso nei dialetti https://www.parolacce.org/2024/11/11/termini-dialettali-per-i-genitali/ https://www.parolacce.org/2024/11/11/termini-dialettali-per-i-genitali/#comments Mon, 11 Nov 2024 09:15:15 +0000 https://www.parolacce.org/?p=21039 Alcuni hanno superato i confini provinciali e regionali, diventando celebri in tutta Italia, come topa o mazza. Altri, invece, sono rimasti ancorati ai loro luoghi d’origine, come il siciliano nicchiu (vulva) o il piemontese puvrun (pene). I termini dialettali che… Continue Reading

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Antonio Albanese nei panni di Cetto La Qualunque, politicante che promette più “pilu” (vulva) per tutti.

Alcuni hanno superato i confini provinciali e regionali, diventando celebri in tutta Italia, come topa o mazza. Altri, invece, sono rimasti ancorati ai loro luoghi d’origine, come il siciliano nicchiu (vulva) o il piemontese puvrun (pene). I termini dialettali che designano gli organi genitali sono un universo in buona parte inesplorato. Perché è così ampio e complesso da dare le vertigini. Lo dico  con cognizione di causa, perché ho compilato il primo studio ragionato di queste espressioni in tutti i dialetti italiani. Ho trovato 565 termini, e il conteggio è parziale, dato che molti dialetti non hanno una grande documentazione sul Web.

In un precedente studio avevo scoperto che in italiano i sinonimi degli organi sessuali sono più di 1.300 (1.339). Questa ricerca sui dialetti spiega il perché: il nostro lessico osceno è tanto ricco perché è alimentato dai dialetti. Sono in tutto una trentina, senza contare le lingue non romanze come gli idiomi albanesi, germanici, greci, slavi, romanì. Dunque, la lunga storia di dominazioni straniere e feudi che hanno frammentato l’Italia ha fatto sì che il nostro patrimonio linguistico sia fra i più ricchi e vari d’Europa.

Questo studio, come tutte le primizie, nasce pieno di imperfezioni e lacune perché le informazioni sui dialetti sono disomogenee e frammentarie: chiedo ai lettori di segnalare nei commenti le voci mancanti o inesatte (grazie!).

Un linguaggio emotivo (anche nei saluti)

Copertina del giornale satirico livornese “Il Vernacoliere”.

E’ un viaggio difficile ma affascinante, perché i dialetti hanno una grande ricchezza espressiva. Basti ricordare i celebri sonetti che il poeta romanesco Gioachino Belli (1832) dedicò ai sinonimi dialettali del pene (“Er padre de li santi”) e della vulva (“La madre de le sante”). Come diceva Andrea Camilleri (lo ricordavo in questo articolo), il dialetto esprime l’essenza, la natura profonda delle cose, ed è linguaggio emotivo per eccellenza essendo per lo più orale e a diffusione familiare.
Basta scorrere, più sotto, la lista delle espressioni per il pene e la vulva. Da notare un fatto curioso: in diversi dialetti, i generi dei sessi sono invertiti. Ovvero, il sesso maschile è indicato con una parola di genere femminile (bighe, minchia, ciolla, pillona, mazza, marra, cella) e quello femminile da parole di genere maschile (cunnu, sticchiu, piccione, palummu, pilu). Non c’è una motivazione particolare dietro questo: si tratta di convenzioni arbitrarie (lo raccontavo in questo articolo), ma resta un fatto degno di nota.

Meme sul saluto friulano che significa “Come sta il pene?” (Average Furlan Guy).

E in questo mondo, in buona parte ancora inesplorato nella sua interezza, ci sono espressioni davvero straordinarie. In friulano, per dire “Come va?” “Abbastanza bene”, si usano queste espressioni: “Cemût le bighe?” “Cjalde ma flape”, ovvero, letteralmente: “Come sta l’uccello?” “Caldo ma moscio”. Eccezionale. Ha l’aria d’essere un modo di dire antico, ma non ho trovato una documentazione storica al riguardo.
In compenso, c’è questo ironico video-corso di friulano qui sotto, che spiega come pronunciare correttamente l’espressione (ma senza rivelarne il significato letterale):

Nella goliardica pagina Facebook di Average Furlan Guy, c’è una chat che mostra alcune risposte alternative alla domanda “Cemût le bighe?”. Eccole: “drete e mai strache” (dritte e mai stanche). Oppure “Iè dure vele flape ma iè plui dure vele dure e no savè dulà metile!” (E’ dura averlo floscio, ma è più dura averlo duro e non saper dove metterlo!”).

DIALETTI, LINGUE E SISTEMI

I più ricchi: sardo, veneto e napoletano

La focacceria “Bischero” a Ginevra.

Ho trovato in tutto 565 termini (ho conteggiato come uno tutte le varianti di uno stesso lemma). Quelli che si riferiscono alla vulva sono risultati più numerosi (304, 53,8%), rispetto a quelli per il pene (261, 46,2%). Un dato di segno opposto rispetto a quanto avevo riscontrato in italiano: nella nostra lingua prevalgono infatti i termini che si riferiscono alla sfera sessuale maschile (744 contro i 595 per la vulva). In ambo i casi, uno scenario che ritengo frutto del caso: la ricchezza semantica di una lingua dipende da fattori letterari, sociali, politici che variano nel tempo e nei luoghi.
In base a quanto ho riscontrato, i dialetti meridionali risultano più ricchi delle altre aree, soprattutto per il sesso femminile: il 43,5% dei lemmi proviene da dialetti del Sud, seguito da quelli settentrionali (36,1%). Ma questi risultati vanno presi con le pinze: la quantità di lemmi che ho esaminato, seppur ragguardevole, non è la totalità di quelli esistenti. Perché ho consultato solo i dizionari e le raccolte linguistiche presenti sul Web: per censire in modo completo tutti i termini dialettali osceni, avrei dovuto consultare anche i dizionari cartacei. Ma la ricerca sarebbe durata mesi se non anni.

Questo può spiegare perché il sardo risulta il dialetto con il maggior numero di lemmi: 96. Il dizionario sardo online (trovate le fonti in fondo all’articolo) è uno dei più completi, e in più il sardo è una lingua molto ricca perché presenta 5 varianti fondamentali (nuorese, gallurese, sassarese, logudorese, campidanese). Dopo il sardo segue il veneto (50 lemmi), il napoletano (48), l’emiliano-romagnolo (40), il calabrese (35), il piemontese e il pugliese (33).

Questi risultati (al netto dei limiti di cui parlo in uno dei riquadri finali) sono abbastanza sovrapponibili  al numero di lemmi censiti nei principali dizionari dialettali: il sardo è il più ricco (120mila lemmi), seguito da napoletano (80mila), siciliano e piemontese (50mila),  veneto e friulano (40mila), calabrese e milanese (30mila), bolognese e pugliese (20mila).

Le radici: latino, ma anche greco e spagnolo

Ristorante “La gnocca” alle Canarie (Gran Canaria).

Nei termini dialettali che si riferiscono agli organi sessuali si vede un’interessante stratificazione linguistica: dal latino mentula derivano il siciliano minchia, il salentino menchia, il sardo minca; e dal latino cunnus derivano il pugliese cianno/ciunno, il lucano ciunn, il calabro e il siciliano cunnu. In diverse regioni l’antico termine latino “natura” designa il sesso femminile. Notevole il termine purchiacca (diffuso in Campania, Basilicata e Molise) che arriva direttamente dal greco: pyr (fuoco) + koliòs (fodero), fodero infuocato.

Dell’antico termine toscano “potta” (vulva), molto usato nella letteratura passata, è rimasta traccia solo nel bergamasco (pota).

Diversi i termini importati da lingue straniere: il piemontese baghëttë (pene) arriva dal francese baguette, il pugliese pica/pinga (pene) dallo spagnolo pinga (con lo stesso significato), il meridionale ciolla può derivare dallo spagnolo chulla (braciola, pene). E gli esempi potrebbero continuare.
L’area di diffusione di questi termini anatomici sessuali è rimasta per lo più limitata ai territori d’origine: difficile che un friulano conosca il significato di “ciolla” o che un sardo sappia cos’è la pipa in umbro. Tuttavia alcuni termini dialettali si sono diffusi in tutta Italia: per il pene, i toscani bischero e fava, i romaneschi ceppa e mazza, il siciliano minchia. Per la vulva, il veneto mona, l’emiliano patacca/patonza e gnocca, il toscano topa, il romanesco fregna e sorca, il napoletano fessa. Il motivo? Per lo più il cinema e la tv: diversi attori hanno reso popolari i termini dialettali (pensiamo a Tomas Milian e Carlo Verdone per il romanesco, solo per fare qualche nome). Senza dimenticare il celebre sketch di Roberto Benigni, che ha citato i nomi dialettali dei genitali quando fu ospite nel 1991 di Raffaella Carrà a “Fantastico”: un numero che è passato alla storia della tv.

I nomi del pene…

In questa mappa, i termini più usati in ogni Regione. In alcuni casi la scelta dei termini inseriti nella mappa è il risultato di una forzatura, perché in alcune regioni le parole cambiano molto da provincia a provincia: in questi casi ho scelto il termine più usato nel capoluogo della Regione.

Qui sotto una tabella statistica riassuntiva.

Regione Lemmi
Val d’Aosta 2
Piemonte 11
Liguria 17
Lombardia 19
Trentino Alto Adige 2
Veneto 27
Friuli Venezia Giulia 4
Emilia Romagna 18 Nord

100

Toscana 10
Umbria 10
Marche 5
Lazio 9
Abruzzo 10
Molise 5 Centro

49

Campania 18
Puglia 7
Basilicata 1
Calabria 20
Sicilia 10
Sardegna 56 Sud

112

Totale 261

La birra siciliana “Minchia”.

I lemmi che designano il pene, come del resto in italiano, attingono a metafore descrittive di vari tipi. Fra le più salienti, quelle di cibi (frutta e verdura: bananna, fava, tega, codeghin, pizza), di attrezzi o oggetti (arnes, cannello, manego, mazza, manubrio, pindolo, pipo, nerchia, manico, batocchie, sperru, attretzu, ferramenta), di animali (bissa, salmon, pesce, sardela, bissa, usel, canarin) e anche di persone (mastrantoni, frat’ma Giorg).
Qui sotto la lista dei termini suddivisi per regione (in grassetto quelli usati prevalentemente nella regione o nel suo capoluogo). Quando possibile ho cercato di ricostruire l’etimologia dei termini più usati.

VAL D'AOSTA

membrou [ dal latino membrum, organo, parte del corpo ] 

subiet

PIEMONTE

picio [ da piccolo, bambino ]

baghëttë, bidulu (Vercelli), biga (Cesana), bilò (Alessandria), ciula, intré, penetré, pénis, puvrun, vèrzhä/vérzhë (Salbertrand)

LIGURIA

 belin/belan [ da “bello”, inteso come giocattolo]

anghilla, bananna, bega, canäio, cannello, cannetta, carottua, casso, cicciollo, ciolla, manego, manubrio, mostaciollo, pigneu, pinfao,  pistolla

LOMBARDIA

bìgol/bigul/bigolo [dal greco-latino bombyx ‘verme’ passando per il diminutivo *bombiculus ‘vermicello’ ‘piccolo verme ] usèl/osel

arnes, belen/belinon (Cremona),  bigatt, bilì (Brescia), birlu, bissa, blin (Mantova), bora, ciula, liben, manübri, manach/manech, mestér (Bergamo), nèstula/nestila (Stazzona/Valtellina), picio, pirla [ ha lo stesso etimo di birillo], pistola  

TRENTINO ALTO ADIGE

bigol

pindolo

VENETO

tega indica il guscio o baccello di fagioli, piselli e fave oseo/oselo (uccello)

barbastreio [ pipistrello],batocio, bega/ begolina/ baolina, beline (Verona), bicio, bigolo, bissa/bisso [biscia], brocia, canarin, canna, cicio, cuco, coa/coda (Belluno), codeghin, manego, merlo, mugoloto, pampano/pimpanoto (Verona), pindol (Belluno), renga (Verona), salado, salmon, sardela, ton, versor

FRIULI VENEZIA GIULIA

bighe/bigul

bimbin (Trieste), cicinut, penis, vet

EMILIA ROMAGNA

üsél (uccello)

barandël (romagnolo), batöć (romagnolo), bĕscar (romagnolo), bligo, birèl/birello, bìgul, bilèn (Parma) / blèin (Reggio Emilia)/ blin (Mirandola)/bilìn (Modena), blig/blëg (romagnolo), càpar (romagnolo), caz, mãnfar (romagnolo), mĕmbar (romagnolo), óca; pisarél, pistulén [di  bambino],  sćifulöt (romangolo), ṣvarẓèl (romagnolo)

TOSCANA

bischero [ legnetto affusolato per tirare le corde degli strumenti musicali o per tappare l’otre], fava

billo, cinci, creapopoli, dami, fava (Garfagnana), lilli/lillo, manfano, pirolo (Siena)

UMBRIA

pipo [da pipa, cannello, oggetto affusolato; o da pipino, piccolo pene]

biscione, cazzo, cello, fava, mitulo, nerchia, picchio, pistello/pistolo, ucello

MARCHE

cazzu

pipin, pistulin, tanganello, uccellu

LAZIO

cazzo, ceppa [pezzo di legno cilindrico], mazza [grosso bastone]

cicio, manico, nerchia [bastone nodoso], pennarolo, pirolo, uscello 

ABRUZZO

 cazzu/cuazze, cella [da uccello]

battocchie, ciufello, ciula, mazz/mazze, nerchije, picc/picch/picco, sterdàzz, vàrr/varre

MOLISE

cazz

margiale, mazza, pica, pizza [ blocco di pasta da infilare nel forno ]

CAMPANIA

cazz

ass ‘e bastone/’e mazz, babbà, battaglio/vattaglio (Avellino), capitone, cicella, cìqquë, cumpàgne mije (“il mio amico”), mazzarello, fratiello, fravaglio, fravolo, ‘ngrì /’ngrillo, maccarone, mazza, pepe (Avellino), pesce, saciccio / sauciccio [ salsiccia]

PUGLIA

ciola [deriva da ciull (bambino, fanciullo) o dallo spagnolo chulla, braciola (a indicare il pene)]

acid/acidduzz/ciddone (Foggia, Andria: derivati da aciddu, uccello),  cicilla, ciucce, fratema (Salento), pica (Salento)/pinga (Trani e Foggia), pizza (Taranto), smargiale (Salento)

BASILICATA

cazz/quazz

CALABRIA

ciolla (Reggio Calabria e Ragusa), marra (zappa)

bacara, battagliùn, cioncia (Crotone); cagnu (Amantea)/cagnolu (Catanzaro); cazzu, frat’ma Giorg’ [“mio fratello Giorgio”], lerpa, mazza, menchia (Salento), micciu [asino/stoppino della candela], nervu, piciollu, pizza (Reggio Calabria); pilloscia, piscia/piasciareddra, sperru [coltellaccio], spoderu (Reggio Calabria: pesce), vronca

SICILIA

minchia/mincia (dalla radice del latino mingere, urinare; o da menta, per la somiglianza tra l’antera del fiore della menta con il glande) , ciolla/ciota

acidduzza/cidduzza [uccellino] bagara, cedda,  ciaramedda/ciaramita, cicia, marruggio, piciolla, zonna (Modica)

SARDEGNA

catzu/gazzu, minca/mincia/mincra (Sassari)/mincra (Nuoro),  pillolla/pillona/pilloni (Cagliari)

algumentu, arma , arreiga, arretranga, attretzu , baddonu , bicchiriola/ bicchirilloi, billella, bodale, bollulla , cedda , chicchia/ chicchiriola , cibudda, cozona , ddodda, dorriminzola, dòrrola, epperi, ferramenta, ghignu, grunilla, leonzedda, longu, maccacca , mastrantoni , mazzolu , minninna , mindrònguru , misèria/ miseresa, moricajola/muricajola/muricadorja, murena, niedda, paldal (Alghero), penderitzone/penducu/penduleu, picca/picchiriola, pilledda, piógliura, piola, pìscia/pisciadore/pissetta/piscitta/pissitta/pissittu , pitranca,  pitza/pizona, pippia, piscitta, puzone/a, secacresche, sira/tzira/ tzirogna, tirile/zirile, trastu, trìsina, tuppajola, tùtturu/tuttureddu, vicu, zubbu

…E i nomi della vulva

In questa mappa, i termini più usati in ogni Regione. In alcuni casi la scelta dei termini inseriti nella mappa è il risultato di una forzatura, perché in alcune regioni le parole cambiano molto da provincia a provincia: in questi casi ho scelto il termine più usato nel capoluogo della Regione.

Qui sotto una tabella statistica riassuntiva.

Regione Lemmi
Val d’Aosta 3
Piemonte 22
Liguria 5
Lombardia 12
Trentino Alto Adige 11
Veneto 23
Friuli Venezia Giulia 6
Emilia Romagna 22 Nord 104
Toscana 15
Umbria 10
Marche 11
Lazio 10
Abruzzo 13
Molise 7 Centro

66

Campania 30
Basilicata 11
Puglia 26
Calabria 15
Sicilia 12
Sardegna 40 Sud

134

Totale 304

La birra pugliese “Ciunna” (vulva).

I lemmi che designano la vulva utilizzano spesso metafore descrittive che alludono al pelo (barbisa, boschetto, pilu, vello), o alla cavità (buso, canestro, fessa, partù, spacchiu) o al fiore (petalussa). Altre metafore attingono a cibi (brogna, cozza, michetta, fidec, fritula, patata, piricoccu, carcioffola, castagna), oggetti (marmitta, chitara, mandola, campana, tabbacchera), animali (passera, fagiana, folpa, cicala, topa, piccione, paparedda, micia) e persone (bernarda, filepa, franzesca).
Qui sotto la lista dei termini suddivisi per regione (in grassetto quelli usati prevalentemente nella regione o nel suo capoluogo). Quando possibile ho cercato di ricostruire l’etimologia dei termini più usati.

VAL D'AOSTA

 nateua/nateurra/nateuvva/naturë

borna [buco], tchergna [vedi ciorgna in PIemonte]

PIEMONTE

ciornia/ciorgna [origine incerta: da ciamporgna, zampogna o da “ciorgn”, sordo: la forma della vagina ricorda un orecchio che non ascolta]

baoumë (caverna, in senso spregiativo), bigioia, bignola, bornä, bregna/brigna (prugna), canà, chatbornhë (Savoulx), cŗo [buco], daŗbounhérë [cunicolo della talpa]), equis, fiaounë (Fenils), figuë (Ramats), fizolla, marmitta, natuřä (Salbertrand), neira, nonnë (Oulx), partû [buco], picioca, tampë, veŗgonhë (Amazas)

LIGURIA

mussa/mossa [può derivare dal latino mus, topo (mouse, per il pelo), o da “muscolo” (cozza, per l’aspetto). Secondo alcuni deriva da mozzo (buco per la ruota) o da mussare, fare schiuma]

 ghersa/goèrsa/guersa, michetta, petalussa, tacca, vagìnn-a

LOMBARDIA

barbisa [da barba], brugna/brogna [prugna]

bartagna, bernarda,, crenna, fidec [fegato] (Bergamo), figa, fritula, fuinera, lurba, passera, pota  [da “potta”, a sua volta dal francese “lippot”, labbro sporgente] (Bergamo e Brescia), sbarzifula, zinforgna (Sondrio)

TRENTINO ALTO ADIGE

barbigia (da barba)

bernarda, bortola, chitara, ciorciola, fritula [frittella], marugola, natura, sbanzega, scham, scheide

VENETO

mona [da monna, madonna nel senso di donna, o dall’arabo maimun, scimmia, perché ricoperta di peli]

ànara, bagigia/basisa, bareta, bernarda, bigarela, boschetto, buso/busolina, canestro, cantina, cicciota, ciocca,coca,  fagiana, farsora [padella per friggere], fiora, folpa [femmina del polipo], fritola [frittella], natura, pataracia, mandola, pegnata, pipa, pisota, pondra, sepa, sermollina, sissoea, sgnacchera, tenca, tringoeo, zergnapola [pipistrello]

FRIULI VENEZIA GIULIA

mona, frice [dal latino fricare, sfregare]

farsora [padella], fritola, panole, parussule

EMILIA ROMAGNA

patacca/patonza [nel senso di macchia], gnocca [per la somiglianza nell’aspetto]

bagaja, balusa,barnêrda, basagna, brugna, chitara, figa, filĕpa, franzĕsca, frĕgna, natura, obinna, parpaja, patafiocca, pavajòta , pisaia,  prögna, sfessa, tegia, vaggiuola

TOSCANA

 topa [per la somiglianza con i peli pubici]

bricia, budello,campana, cicala, cilla (Siena), fi’a, lallera, micia, mimma, mozza, pacianca (Pisa), passera, pettera, sgnacchera

UMBRIA

pipa [come femminile di pipo]

castagna, cicala, fica, fregna, passera, pisella, picchia, sorca, topa 

MARCHE

fregna

 castagna, cicciabaffa, ciuetta (Ascoli Piceno), cocchia, fessa, mozza, natura, passara/pasarina, pontecana, topa

LAZIO

fregna [dal latino  fricare ‘fottere’, con -gn- dovuto alla sovrapposizione di frangĕre ‘rompere; o da fringilla, fringuella], sorca [da sorcio, topo]

 bbuscia, cella, cicciabaffina, ciciotta, ciocia, ciomma, ciscia, sorega

ABRUZZO

fregna

boffa, ciuccia, ciuetta, ciufella, cocca,  fregna, mozza (Teramo), patàne, picina/piciocche, tolfa, tope, vello

MOLISE

picchiacc (vedi pucchiacca)

cocchina (Isernia), curciu, fess, panocchie, patata, piccione

CAMPANIA


fessa [da fessura, spaccatura], purchiacca/pucchiacca [dalle parole greche pyr (fuoco) + koliòs (fodero) unite ad un suffisso degradativo -acca, da cui pyrcliacca -> purchiacca -> pucchiacca. Il termine significherebbe letteralmente “fodero infuocato”; oppure dal latino “pucchia”, fonte dove sorge acqua; o ancora, da un’erba spontanea, l’evera pucchiacchella (portulaca) che cresce poco alta sul terreno ricordando i peli pubici]

bbuatta [scatola di latta], braciola, caccavella [pentola], carcioffola, cardogna, cecca, cestunia [tartaruga], ciaccara, ciora/fiora, ciucia, ciòcca, cozzeca [cozza],  mocle, nocca [fiocco], patana, pepaina, pertuso [buco], pescia, pesecchia, pettenessa, piciòcchëlë/pisciocca/pisciotta, pummaròla, sarcenella/sarchiella, scarola, sciùscia, sporta, sterea, tabbacchera

BASILICATA

fissa, ciunnn [dal latino cunnus, cuneo, matrice]

ciola, natura, perdesca, piccione, pishcu/puscio, puliejo, purchiacca, sartacena, tabbacchera

PUGLIA

piccione, palummu [per la somiglianza del monte di Venere con il petto del piccione]

caccone, chichì, cianno/ciunne/ciunna/cunnu, ciota, cozza, cuniglia, curcio/curciu (Salento), fregne,  ndacca (Bari), nerciu,  pattale, pelosa, pertuso, pescia, pinca/ pinga, ptek, picu (Salento), pisciacchio/pisciacco, pitacco, pittinale, ruccu, sciorgio/sorgie, spaccaccia, sticchi

CALABRIA

pilu, ‘mboffa/’mmoffa

bovatta, ciota/ciotu (Cirò),cuniglia, cunnu, fissa, grubba, nicchio/nnicchiu, parpagnu, pennu, picionnu, pitaci, spacchiu, sticchiu

SICILIA

sticchiu/sticcio [dal latino osticulum, diminuitivo di ostium (porta):  “piccola porta” o “piccola bocca”, oppure dal greco astegos, nudo; o da stìchos, riga; o ancora come derivato da fisticchiu, pistacchio, per la forma simile]

ciaccazza, ciciu, cucchia, cunnu, faddacca, nicchio, obarra, pacchio, paparedda, picicio, pilu, sarda

SARDEGNA

cunnu/ciunno, mussi/mutza

attettu, bette/bettu, boddo/ boddoddu/budhúdhu , broddo, bullulla, burba/bulva/burva/vurba/vurva/ulva/urba/urva, busuddu, còccoro , cuperre, festu, fica/figa, giosi, intragnu, leppereddu (leprotto), matzoneppa ,miseria,  natura, niccu, nusca, pacciócciu , peddùnculu , pilarda/ pillittu/pilosu, pilicarju/ pulicarja,  piricoccu , pisciaioru, piscittu, porposeo , proso/prosu, pudda, pùliga/ pulicarja ,santu, sessu/sestu,  topi, tzunnu,ubra, ulla, udda, zimbranti

I LIMITI DELLO STUDIO

Ringrazio i numerosi amici “fiancheggiatori” che mi hanno aiutato a rintracciare/verificare diverse voci dialettali: Marco Basileo, Irene Bertozzi, Luca Brocca,  Paolino Colzera, Serena Corvo, Valentina Coviello,  Massimiliano Fedeli, Sergio Ferro, Michele Gagliardo, Roland Jentsch, Francesca Polazzo, Federico Tapparello, Giulia Villi

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Pisello, patata, marroni e meloni: il lato vegano del sesso https://www.parolacce.org/2016/10/16/metafore-vegetali-erotismo/ https://www.parolacce.org/2016/10/16/metafore-vegetali-erotismo/#respond Sat, 15 Oct 2016 22:10:00 +0000 https://www.parolacce.org/?p=10995 Pisello, patata, fava, marroni, pere, cocomeri, meloni… Non è un innocente elenco della spesa dall’ortolano: è la maliziosa lista delle metafore vegetali sul sesso. In italiano sono oltre 100 i termini (103 per l’esattezza) che usano frutta e verdura per… Continue Reading

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vegetaliPisello, patata, fava, marroni, pere, cocomeri, meloni… Non è un innocente elenco della spesa dall’ortolano: è la maliziosa lista delle metafore vegetali sul sesso.
In italiano sono oltre 100 i termini (103 per l’esattezza) che usano frutta e verdura per alludere ai genitali maschili e femminili, al seno o ai gluteiUna schiera notevole, anche se rappresenta una piccola minoranza di tutte le metafore sul sesso: le parolacce vegane sono solo il 3% del totale (come raccontavo qui). Per i nomi del sesso, infatti, le metafore più numerose sono quelle ispirate agli oggetti: mazza, manico, piffero, chitarra, scodella, patacca etc.
Tuttavia i vegetali non sono una minoranza silenziosa. Molte di queste immagini, infatti, sono fra i nomi più usati per riferirsi al sesso: pisello, fava e cappella per il pene; marroni per i testicoli; pere e meloni per il seno; patata e fica (per quanto tabù) per la vulva. E’ singolare che i piaceri della carne siano espressi da immagini vegane
Come nell’immagine qui sopra, usata per la campagna pubblicitaria  della “Guide Restos Voir 2014”, una guida gastronomica canadese.

Da Caravaggio agli emoji

lapatatattira_rutacanotta-rossa

Maria Teresa Ruta nella pubblicità maliziosa delle patate.

L’argomento merita di essere approfondito anche per altre ragioni. I vegetali, pur essendo “nature morte”, hanno avuto un importante ruolo simbolico nella letteratura e nell’arte perché sono carichi di significati nel nostro immaginario: persino un genio come Caravaggio ha nascosto messaggi erotici sotto le spoglie di zucche, fichi, melograni e pesche, come racconto più sotto.
E questo avviene non solo in Italia (che è stata antesignana in questo campo), ma in quasi tutte le culture.
E oggi i vegetali sexy tornano in auge negli emoji, dove pesca e melanzana svolgono i ruoli di sesso femminile e maschile nelle chat e nei social network (Whatsapp, Twitter, Facebook, etc). Anche su questo tornerò più avanti.

Per raccontare la loro lunga storia, conviene innanzitutto partire dall’elenco completo di queste metafore, sia in italiano (la mia fonte è il “Dizionario storico del lessico erotico” di Valter Boggione e Giovanni Casalegno) che in altre lingue (se me ne sono sfuggite, vi chiedo aiuto: potete segnalarle nei commenti). Ho escluso da questi elenchi i nomi di alberi, piante e fiori, perché pur appartenendo al regno vegetale non sono in genere commestibili.
Per ogni zona erogena ho inserito un link un articolo dedicato, per chi vuole approfondire.

Pene (58)

italiano altre lingue
agresto, baccello, banana, brugnolo, cappella, cappero, cardo, cardone, carciofo, carota, cece, cetriolo, cicerchia, civaia, cucuzzola, ciliegia, cipolla, corniola,fagiolo, fava, favagello, fungo, fico, ghianda, glande, grano, grappolo, lupino, macerone, mandorla, martignone, melone, oliva, nespola, pannocchia, pastinaca, pesca, pigna, pisello, porro, pinocchio, popone, picio, pinca, pinco, radicchio, radice, ramolaccio, rapano, ravano, rapa, ravanello, scaffo, sorbo, tartufo, torsolo, tubero, veccia Portoghese: banana, mandioca  (manioca), nabo (rapa)

Testicoli (10)

italiano altre lingue
fagioli, ghiande, granelli, granelli, limoni, mandorle, marroni, prugne, pannocchie, verones (castagne cotte), zucche Inglese: cherries (ciliegie), grapes (uva), kiwi, nuts (nocciole)

Vulva (13)

italiano altre lingue
baccello, castagna, fica, fragola, frutto, mandorla, noce, oliva, pomo, prugna, primizia, riccio, zucca Francese: abricot (albicocca) prune (prugna), figue (fico)

Per il clitoride: cerise (ciliegia), framboise (fragola)
Portoghese: maçã (mela)

Seno (10)

italiano altre lingue
cocomero, fragola, frutto,mele, meloni, meloncini, more, pere, pomi, rapuccio  –

Sedere (12)

italiano altre lingue
anguria, cocomero, finocchio, grisomele, mela, melone, melangola, melarancio, meleto, melone, pesca, pomo  –

Letteratura e modi di dire

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Campagna svedese per promuovere il consumo quotidiano di vegetali.

Molte di queste metafore, dicevo, hanno avuto una notevole fortuna non solo nella lingua parlata ma anche in letteratura. In particolare 4 frutti:

1) il fico: è simbolo di abbondanza, e di fecondità perché contiene un latteOltre ad aver ispirato il termine fica, ha dato origine a un gestaccio “fare le fiche”: mimare l’atto sessuale infilando il pollice (fallo) fra indice e medio (la fica). Un gesto di disprezzo e di sopraffazione.

2) le pesche: per molto tempo, soprattutto fra 1500 e 1600, sono state una metafora molto usata per alludere al sedere. E proprio in questa prospettiva va interpretata un’ode satirica dello scrittore toscano, Francesco Berni, che nel 1521 scrisse “In lode delle pesche”, dove la pesca è metafora dei glutei. “O frutto sopra gli altri benedetto, buono inanzi, nel mezzo e dietro pasto; ma inanzi buono e di dietro perfetto!”. Avete capito bene: Berni allude proprio alla sodomia attiva e passiva, tanto che scrive pure: “io ho sempre avuto fantasia (…) che sopra gli altri avventurato [fortunato] sia, colui che può le pèsche dare [farsi sodomizzare] e tòrre [sodomizzare].
E Berni non manca di sottolineare quanto i preti dell’epoca fossero ghiotti di… quel frutto: Le pesche eran già cibo da prelati, ma, perché ad ogniun piace i buon bocconi, voglion oggi le pesche insino a i frati,  che fanno l’astinenzie e l’orazioni;

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Il doppio senso dei meloni nella campagna del canale Fx.

3) la mela: è simbolo di frutto desiderato, di premio, e anche del peccato. Anche se, bisogna ricordarlo, l’episodio biblico di Adamo ed Eva nella Bibbia non parla di mela, bensì genericamente di “frutto”; il melo è stato inserito nei commenti sacri secoli dopo, per la sua assonanza col male (malum).

4) il melograno: avendo molti semi è simbolo di fecondità, di discendenza numerosa; e ha un succo ricco e gustoso.

In generale, infatti, frutta e verdura hanno un’intima attinenza col sesso innanzitutto per la loro forma, che in molti casi ricorda quella degli organi sessuali. In realtà è una pareidolia, ovvero una sorta di illusione ottica: siamo noi a vedere forme sessuali in oggetti che di sessuale non hanno nulla. La malizia sta nell’occhio di chi guarda.
Pisello, fica, cetriolo, banana, patata evocano proprio le fattezze anatomiche dei genitali. Tanto che un proverbio non troppo allusivo dice: “Gira e rigira, il cetriolo va in culo all’ortolano” (chi vuol fare del bene finisce per essere danneggiato).

Simboli universali

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La pubblicità sexy del ketchup piccante Heinz.

Ed è per questo che i vegetali sono simboli universali di erotismo: non hanno bisogno di essere codificati (tradotti) in altre lingue, perché evocano direttamente il sesso, sotto le innocenti spoglie di vegetali. Ma non è solo questo il loro legame con l’erotismo: frutta e verdura sono simbolo di abbondanza, di fecondità, e anche simbolo di progenitura perché contengono i semi.
In più sono cibi, e il cibo è intimamente legato al sesso e all’oralità (il piacere di succhiare)… tanto che scopare in spagnolo si dice anche comer e in portoghese papar. Non a caso, diversi cibi hanno nomi ispirati al sesso, come raccontavo in questo post. In più, frutta e verdura erano i cibi dei poveri (nell’antichità la carne era lo status symbol di ricchezza) e anche questo spiega la loro diffusione nel linguaggio popolare.

NELL’ARTE

Con tutta questa ricchezza, era inevitabile che i vegetali entrassero nell’arte: nelle immagini, così come nel discorso parlato, possono contrabbandare temi scabrosi sotto le innocenti fattezze della natura. Prima ancora che Giuseppe Arcimboldo facesse le “teste composte”, ovvero i ritratti umani ottenuti combinando cibi, nel 1517 Giovanni Da Udine, aveva inserito – in una cornice degli affreschi di Raffaello su Cupido e Psiche – una zucca fallica, con due melanzane come testicoli, che penetra un fico (v. gallery qui sotto).
Un gioco che nel 1585
Niccolò Frangipane continuò in modo ben più diretto nella “Allegoria dell’autunno”: qui un satiro infila il dito della mano sinistra in un melone, mentre con la destra stringe una fallica salsiccia vicino ad alcune ciliegie. In pratica, il satiro rivela allo spettatore che cosa sta sognando il giovanetto al suo fianco. (v. gallery qui sotto).
Il terzo esempio è un quadro di Caravaggio (1601): “Natura morta con frutta”. Fichi, zucche e melograni aperti sono un’allusione a una femminilità abbondante e disponibile, su cui campeggia una zucca che sembra un pene eretto. E non mancano le pesche, che alludono invece ai glutei (v. gallery qui sotto).
Insomma, la natura morta a sfondo erotico è un’invenzione del Rinascimento italiano, come ha scritto in un interessante saggio lo  storico dell’arte statunitense John Varriano.

vaginaNon stupisce, con questi precedenti, che anche la pubblicità abbia usato questi stratagemmi per alludere al sesso in diverse campagne pubblicitarie, come potete vedere nelle foto di questo articolo.
Ma oggi c’è un nuovo modo di usare i vegetali per alludere al sesso: la “computer mediated communication”, ovvero lo stile di comunicazione che usiamo nell’informatica. In parole povere, gli emoji, le icone che usiamo sulle chat e i social network (ne ho parlato anche qui).
Quando sono state introdotte nel 2010, anche se c’era l’icona della banana, ha preso piede come simbolo sexy la melanzana. Perché? Perché negli Usa, Paese puritano, era un’icona ancora neutra, che poteva contrabbandare intenzioni maliziose senza destare sospetti, insieme alla pesca (per alludere alla vulva o al sedere: vedi immagine). Insomma, siamo ancora alla frutta…

Dedico questo post a Dario Fo, il primo giullare-Nobel ad aver pubblicato un libro sulle parolacce.

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Il potere della vulva https://www.parolacce.org/2014/07/13/il-potere-della-vulva/ https://www.parolacce.org/2014/07/13/il-potere-della-vulva/#respond Sun, 13 Jul 2014 09:21:40 +0000 https://www.parolacce.org/?p=5274 C’è un gesto che ha cambiato la storia dell’emancipazione femminile. Il gesto della vulva. Alle attiviste degli anni ’70 è bastato unire le punte del pollice e dell’indice, formando un triangolo sopra la testa, per esprimere in modo provocatorio l’orgoglio… Continue Reading

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La copertina del libro "Il gesto femminista".

La copertina del libro “Il gesto femminista”.

C’è un gesto che ha cambiato la storia dell’emancipazione femminile. Il gesto della vulva. Alle attiviste degli anni ’70 è bastato unire le punte del pollice e dell’indice, formando un triangolo sopra la testa, per esprimere in modo provocatorio l’orgoglio per la propria identità, per secoli schiacciata ed emarginata. Migliaia di donne di tutto il mondo occidentale hanno sfilato per le strade esibendo quel simbolo, rivendicando il diritto di vivere una sessualità libera (“io sono mia”, “l’utero è mio e lo gestisco io”): anche se questa consapevolezza era anche merito degli anticoncezionali (la pillola!), che avevano permesso per la prima volta alle donne di controllare la gravidanza.

A questo gesto semplice e immediato – nel quale il significante e il significato quasi coincidono – è dedicato un libro appena pubblicato da Derive Approdi: “Il gesto femminista” (a cura di Ilaria Bussoni e Raffaella Perna). E’ l’occasione per raccontare la storia di questo gesto: oggi è ben poco usato, ma ci rivela significati simbolici insospettabili.

Dalla Francia al resto del mondo

La rivista francese "Le torchon brûle".

La rivista francese “Le torchon brûle”.

Partiamo dalla storia. Il gesto della vulva non è nato in America, come molti pensano, ma in Francia, ed è stato portato alla ribalta mondiale da un’italiana, Giovanna Pala, che nel 1972 era andata a Parigi per partecipare a un convegno sui crimini contro le donne: “A Parigi vidi una rivista, Le torchon brûle (Il cattivo sangue), pubblicata da un movimento di liberazione femminista. In copertina c’era quel segno: ne rimasi colpita per l’immediatezza del messaggio che poteva comunicare la forma della vagina”. Così, quando al termine del convegno alcuni ragazzi alzarono verso il palco il classico simbolo marxista del pugno chiuso, istintivamente mi venne di congiungere le mani a creare il simbolo della vagina. Mi pareva con quel gesto di prendere le distanze dalla politica maschile e di affermare la mia diversità”.

L’affermazione è importante: il pugno chiuso è un evidente segno fallico, e non è l’unico. Il gesto dell’ombrello, il dito medio, il saluto nazista sono solo alcuni dei numerosi esempi di gesti che riproducono l’erezione. Mancava un gesto che evocasse la vulva: ora era nato. Così, quando Giovanna Pala tornò a Roma, portò il gesto nelle manifestazioni di piazza e fu un successo mondiale. “Ostentare in pubblico un segno che in maniera esplicita richiamava la vagina era un elemento di rottura davvero sovversivo” scrive Laura Corradi nel libro. “Da tabù, elemento non nominabile, luogo invisibile della vergogna e del peccato, la vagina diventò materia politica. (…) Rappresentava una sfida alle istituzioni dello Stato, al moralismo bigotto della Chiesa, a un patriarcato opprimente”.

I “poteri magici” della vulva

La scultura di porta a Milano.

La scultura di Porta Tosa a Milano.

Eppure nella storia non era la prima volta che la vulva era ostentata in modo plateale. Anzi, in passato ha avuto un’importanza capitale in ambito del folklore e della religione.

Si è creduto, per secoli, che i genitali femminili avessero poteri magici: una donna che esponeva deliberatamente la propria vulva nuda aveva il potere di prevenire le sventure, tenere lontani gli spiriti maligni o gli eventi atmosferici, terrorizzare le belve feroci o i nemici, e perfino le divinità.

Plinio il Vecchio (I secolo d.C.) scrive nella “Naturalis historia” che alla vista di una donna nuda la grandine, le trombe d’aria e i fulmini cessano di imperversare. In uno scritto sulle virtù delle donne (Mulierum virtutes), Plutarco (II secolo d.C.) narra di un gruppo di donne che sollevando tutte insieme le loro vesti cambiarono gli esiti di una guerra.

Prima ancora, nelle feste contadine, l’esibizione dei genitali femminili favoriva la fertilità, stimolando la crescita delle piante. Nell’antico Egitto, le donne mostravano il pube davanti ai loro campi, per scacciare gli spiriti maligni e rendere più abbondante il raccolto. Lo testimonia lo storico greco Erodoto (5° secolo a.C.) descrivendo le feste in onore della dea gatta Bubasti: le donne stanno in piedi sulla barca e si sollevano le vesti esponendo i loro genitali e gridando scherniscono le donne delle altre città. Lo stesso avveniva nelle antiche feste di fertilità in onore di Demetra, la madre terra.

A Milano, c’è una statua medievale che era stata posta su Porta Tosa (una porta medievale che fu abbattuta nel 1700): raffigura una donna in piedi, con sguardo fiero, che si solleva una gonna mostrando la vulva; in una mano tiene un pugnale che regge sopra il pube. Si pensa che il suo ruolo, visto che era su un importante ingresso della città, fosse quello di proteggerla dagli influssi malvagi.

Il diavolo di Papefiguiere, incisione di Charles Eisen per i racconti di Jean de la Fontaine.

Il diavolo di Papefiguiere, incisione di Charles Eisen per i racconti di Jean de la Fontaine.

In un’incisione del 1700 di Charles Eisen per un’edizione delle “Favole” di Jean de la Fontaine c’è una donna in piedi, sicura di sé, che solleva la gonna e mostra la vulva a un diavolo, che si spaventa: in questo modo, narra la storia, sconfisse il diavolo e salvò il proprio villaggio.

Il gesto di alzare la gonna  e mostrare i genitali a scopo apotropaico (per allontanare gli spiriti maligni) ha un nome: anasyrma. Ma come si spiega questo ruolo magico assegnato ai genitali femminili? Ecco la spiegazione di Catherine Blackledge, autrice di “Storia di V”. “Essi sono la fonte di ogni nuova vita, sono l‘origine simbolica del mondo. La vagina è il luogo da cui tutti proveniamo. Ma contengono anche un avvertimento: è importante non dimenticare da dove si viene, Oltraggiare, profanare o violare la vagina significa rivolgersi contro la vita stessa. E da questo non può venire niente di buono,solo distruzione della terra e della sua generosità”.

In quel gesto, la vulva diventa l’essenza della donna: la sessualità diventava la parte più importante dell’identità femminile. Ma oggi l’equazione vulva= donna “di questi tempi sovverte ben poco”, nota la Corradi. Oggi si è perso il mistero, il timore reverenziale verso la vulva, che è tornata a essere un tabù.  Tanto che i due gruppi femministi che hanno conquistato la maggiore visibilità mediatica ne fanno un uso indiretto: le “Pussy Riot” solo nel nome (pussy significa vagina) e le “Femen” esibiscono un carattere sessuale secondario, ovvero il seno nudo. Anzi, oggi assistiamo a un paradosso: chi fa l’equazione vulva=donna, invece di rivendicare l’orgoglio femminile (come negli anni ’70) rischia di essere tacciato di sessismo.

Forse anche questo è un segno che viviamo in un mondo al contrario.

Le Pussy Riot in un'esibizione.

Le Pussy Riot in un’esibizione.

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I mille nomi del pisello e della patata https://www.parolacce.org/2011/08/03/le-parole-del-sesso/ https://www.parolacce.org/2011/08/03/le-parole-del-sesso/#comments Wed, 03 Aug 2011 13:59:10 +0000 https://www.parolacce.org/?p=236 «Gli eschimesi hanno 50 parole per nominare la neve». Suggestivo, ma falso: e da poco, peraltro, si è scoperto che lo scozzese ne ha 421… Ma vi siete mai chiesti quante parole abbiamo in Italia per denominare gli organi genitali e i… Continue Reading

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«Gli eschimesi hanno 50 parole per nominare la neve». Suggestivo, ma falso: e da poco, peraltro, si è scoperto che lo scozzese ne ha 421… Ma vi siete mai chiesti quante parole abbiamo in Italia per denominare gli organi genitali e i rapporti sessuali?
Fate una stima: ottanta? Cento? Duecento parole? Fino a qualche giorno fa anch’io avevo solo un’idea vaga, perché – strano ma vero – nessuno ha mai fatto un calcolo preciso del nostro lessico sessuale. Perciò ho deciso di farlo io. E ho trovato un dato ancora più sorprendente di quello degli scozzesi: in italiano, le parole del sesso sono 3.163. Tremilacentosessantatre. Per avere un termine di paragone, quasi l’equivalente dei primi 4 canti della “Divina Commedia” (3.463 parole). Altro che neve!
Certo, i lessici della medicina e quello della giurisprudenza sono ancora più numerosi, ma sono pur sempre vocabolari specialistici: per impararli, occorre spendere anni di studio. Il lessico erotico, invece, è un patrimonio comune a tutti: non occorre una laurea per apprenderlo. Allora, i risultati di questo conteggio aprono nuove curiosità: perché tutta questa abbondanza di termini sul sesso? Che cosa ci rivelano, questi nomi, sul modo in cui viviamo e giudichiamo la sessualità?

Prima di rispondere, è doveroso raccontare con quale metodo ho fatto questo censimento. La fonte è stato il “Dizionario storico del lessico erotico” di Valter Boggione e Giovanni Casalegno (Tea/Utet). Un’opera che tiene conto di tutti, ma proprio tutti i termini sessuali usati in 8 secoli di letteratura italiana: dalle metafore alle allusioni, dai termini arcaici a quelli moderni, dagli eufemismi infantili ai termini scientifici, fino alle espressioni più volgari.

Una raccolta ricchissima: comprende anche gli appellativi usati verso gli omosessuali (finocchio, etc), che nella presente analisi non ho inserito perché incompleti: andrebbero uniti a quelli sulla morale sessuale (puttana) che però nel Dizionario non sono censiti. Così come i termini strettamente dialettali, cioè usati in una sola area geografica italiana (da bigolo a baggiuggiu fino a barbisa e spaccazza),  e i nomi gergali del sesso (ancora non entrati nell’uso comune, come pipilone o ciuffo: a loro ho dedicato un post). Dunque, se aggiungessimo anche tutte queste categorie, il lessico sessuale italiano potrebbe arrivare a quota 4mila espressioni, forse anche di più: difficile dirlo con certezza, perché manca una raccolta così completa.

Per chi vuole approfondire questo argomento, ne ho fatto una versione accademica pubblicata su “Antares“, rivista scientifica della facoltà di Lettere dell’Università di Caxias do Sul (Brasile). L’articolo – in italiano – si può leggere a questo link. Se invece volete approfondire quali sono le espressioni che descrivono il rapporto sessuale, cliccate su questo articolo.

Stando sui dati certi, che non sono pochi, facciamo qualche approfondimento. Quale ambito ha stimolato maggiormente la fantasia linguistica? Gli atti sessuali (1.147 termini), come emerge da questi grafici che ho elaborato (clic per ingrandire):

Tornando alla prima domanda: perché tutta questa abbondanza? Per tre motivi, che ho trattato più analiticamente nel mio libro:

1)    il sesso è fonte di piacere, ed è una delle pulsioni fondamentali dell’uomo. E’ una spinta verso la sopravvivenza, come per i Sami è fondamentale sapere che tipo di neve ci sia nell’ambiente, per potersi adattare… Inevitabile, quindi, che il sesso animi gran parte dei nostri pensieri e delle nostre emozioni.

2)    Il sesso implica una serie di ansie. E’ un campo tanto intimo e delicato da essere un argomento tabù: bisogna parlarne con cautela. Infatti il sesso può comportare figli illegittimi, incesto, gelosia, adulterio, abbandono, faide, abusi su minori, stupro, sfruttamento, malattie… Ecco perché va “maneggiato con cura”, anche dal punto di vista linguistico. E questa censura genera, per contrasto, un accanimento verbale per tentare di nominare l’innominabile, alludere, parlare in codice.

3)     il sesso è anche mistero, il mistero della vita, dell’energia vitale. E’ la spinta verso il futuro e l’eternità attraverso la riproduzione. Ecco perché in molte religioni il sesso è sacro: è considerato un modo per ricongiungersi al divino, e le rappresentazioni degli organi sessuali sono usati in riti propiziatori sulla fecondità (ancora oggi, le processioni con i ceri sostituiscono antichi simboli fallici). I nomi del sesso sono anche un tentativo di descriverlo, di dargli un’identità altrimenti sfuggente, attingendo ad altri campi della vita quotidiana (cibo, animali, oggetti….).

E veniamo ai nomi dei genitali. La loro abbondanza è diventata il tema di un esilarante monologo di Roberto Benigni:


E dire che l’antologia di Benigni è solo una piccola parte di questo vocabolario… Ma che cosa ci raccontano tutti questi termini? E quanti sono esattamente? Comprendendo tutti i termini della sfera genitale, abbiamo il quadro che potete vedere nei grafici qui sotto: 984 termini complessivi per la sfera sessuale maschile, 766 per quella femminile. Ho classificato a parte i 266 termini relativi ai glutei, perché possono essere una zona erogena sia maschile che femminile.

Limitandoci ai termini che designano il pene e la vagina, sono per 744 per il primo e 595 per la seconda. Qual è il motivo di questo primato linguistico? Un sintomo del maschilismo della nostra cultura, o semplicemente del fatto che i genitali maschili sono più evidenti e quindi più facili da descrivere? La questione resta aperta. Ma quali immagini usa la nostra lingua per descrivere i genitali? Vediamo…

SESSO MASCHILE

In italiano, il sesso maschile ha 2 record: è designato dal più alto numero di termini (se ne contano 744, escludendo i testicoli), ed è la parolaccia pronunciata più spesso, secondo la Banca dati dell’italiano parlato. Del resto, notava lo scrittore Italo Calvino, il termine cazzo ha un’espressività impareggiabile, non solo rispetto a tutti gli altri sinonimi, ma anche alle altre lingue europee. Tanto che, in italiano, è un vero jolly linguistico: può indicare stupidità, nullità e disvalore (cazzone, cazzata, cazzeggiare, minchione, minchiata, cappellata) ma anche il contrario, cioè potenza, abilità e valore (cazzuto). Serve a indicare ira e malumore (incazzarsi), noia e sconforto (scazzato); affari personali e problemi (cazzi miei), parte sensibile (rompere il c a z z o), approssimazione (a  c a z z o).

Una ricchezza del genere si spiega non solo con la sua evidenza esterna. Ma soprattutto con il suo significato simbolico: tra le scimmie, nota l’etologo Irenäus Eibl-Eibesfeldt, la monta è un segno di dominanza, così l’erezione è usata come minaccia simbolica.

Ma com’è descritto il sesso maschile?
E’ visto per lo più come un oggetto (44%: per lo più di uso domestico, come bastone o manico, ma sono numerose le espressioni che attingono alla guerra, vista l’aggressività dell’atto sessuale: clava, mazza). Numerose anche le metafore tratte dal mondo animale (15%: anguilla, uccello, proboscide) e dalle personificazioni (7%: amico, bambino fino a Walter, il termine inventato da Luciana Littizzetto) a indicare il fatto che è un membro “vivo”, che muta forma e consistenza.

Rilevante la quantità di nomi ironici, grotteschi o iperbolici sulla potenza o la dimensione del sesso, ossessione di tutti i maschi: sberla, calippo, pitone, missile, obelisco, sei quinti, torre di Pisa, maritozzo, pendolino delle 9:07, sardeon, sciupavedove, sventrapapere, vermicione e … tronchetto della felicità.

Ecco il dettaglio:

CATEGORIE Lemmi Esempi
Oggetti generici 31 Affare, arnese, malloppo, pacco
Oggetti di uso domestico 82 Bastone, candelotto, cazzo, manico
Agricoltura 31 Cavicchio, falce, pertica
Tessitura, abbigliamento 18 Fuso, manganello
Attrezzi da lavoro 34 Ferro, manovella, randello, mazza
Armi e guerra 45 Asta, archibugio, clava, mazza
Navigazione e pesca 13 Arpione, timone
Strumenti musicali 29 Batacchio, bischero, piffero
Religione 6 Cero, reliquia
Monete e preziosi 16 Fiorino, quattrino
Altri oggetti 22 Cric, menhir, pirla, scettro
327 (44%)
Luoghi 10 (1%) Lì, posto, San cresci
Architettura, edilizia 8 (1%) Campanile, colonna
Animali 3 Bestia
Uccelli 39 Canarino, fringuello, pipistrello, uccello
Pesci 13 Anguilla, pesce, cefalo
Rettili 11 Aspide, biscia
Equini 12 Asino, cavallo
Animali da caccia 4 Bracco, cane
Altri animali 22 Gatto, lepre, toro
Parti di animali 11 Becco, pene, proboscide
115 (15%)
Piante 23 Banano, pino, ramo
Frutti 21 Banana, melone, pannocchia
verdure 37 Carota, cetriolo, fava, pisello
Erbe e fiori 12 Bocciolo, giglio, papavero
93 (13%)
Parti del corpo umano 28 (4%) Braccio, gamba, naso, vena
Cibi 32 (4%) Biscotto, maritozzo, salsiccia, babà
Personificazioni 53 (7%) Amico, bambino, fra mazza
Termini astratti 42 (6%) Natura, pudende, sesso
Altre voci 36 (5%) Asso di bastoni, crescimmano, fallo, minchia
TOTALE 744

 

SESSO FEMMINILE

In molte lingue, è una delle parole più tabù: guai a nominarla. Come dimostra lo scandalo suscitato dallo spettacolo “I monologhi della vagina” della scrittrice Eve Ensler. E un sondaggio del 2004: il 73% delle donne Usa lo ritiene un argomento scioccante.

Ma perché il sesso femminile è più tabù di quello maschile? Stephen Pinker, psicologo della Harvard University (Usa) fa un’ipotesi: prima dell’avvento di assorbenti, carta igienica, bagni regolari e antimicotici, il sesso femminile evocava il rischio di contrarre malattie.

Le parole che designano il sesso femminile – in italiano sono 595, tra metafore e volgarità – manifestano anche lo sgomento e l’ammirazione di fronte a un sesso nascosto, misterioso, che racchiude il segreto della vita. Non a caso alcuni dei termini per designarla (grotta, scrigno, bosco) evocano questo aspetto.

Ma anche una visione maschilista, ha notato il premio Nobel Dario Fo in un saggio recente che ho presentato tempo fa: i termini spregiativi come fesso (da fessa, vulva), sorca (ratto), patacca (moneta di scarso valore) testimoniano la misoginia della Chiesa cattolica.

E come è descritto il sesso femminile?
I nomi mettono in rilievo la recettività e passività dell’organo femminile (designato nel 33% dei casi con oggetti, per lo più domestici), e lo qualificano come un elemento fisso: sostanzialmente, un luogo (23%). Poche, rispetto al sesso maschile, le personificazioni (bernarda, lei, sorella, Filippa, siora Luigia o Jolanda, creato sempre dalla Littizzetto) vista la sua “fissità”. Non mancano appellativi ironici, che manifestano il timore di malattie o di “rimanere invischiati” in un rapporto (trappola, tagliola), ma sono più numerosi quelli poetici (rosa) o affettuosi (paradiso, tesoro), con una venatura di mistero (grotta, scrigno).
Ecco il dettaglio:

CATEGORIE Lemmi Esempi
Oggetti generici 16 Cosa, mercanzia, essa
Oggetti domestici 49 Borsa, padella, pentola, potta, scodella
Agricoltura 11 Botte, sacco
Tessitura, abbigliamento 24 Ciabatta, pelliccia, tasca
Altri attrezzi 15 Gabbia, sfiatatoio, ventosa
Armi e guerra 14 Guaina, vagina, vulva
Caccia e pesca 10 Rete, tagliola, trappola
Barche 5 Barca, vela, gondola
Strumenti musicali 17 Chitarra, piva, zampogna
Religione 6 Altare, reliquie
Monete 5 Patacca
Altri oggetti 24 Gioia, tesoro
196 (33%)
Luoghi 148 (23%) Posto, varco, abisso, buco, fessa, bosco, caverna, valle, palude, giardino, tana
Architettura 63 (11%) Casa, capanna, solaio, porta, canale
Animali 25 (4%) Lumaca, passera, vongola
Vegetali 13 Lattuga, pucchiacca,
Fiori 6 Fiore, rosa, giglio
Alberi 13 Fico, pero, noce
Frutta e verdura 13 Fica, fragola, oliva, prugna
45 (8%)
Parti anatomiche 28 Bocca, coscia, grembo
ferite 3 Piaga
31 (6%)
Cibi 23 (4%) Brodosa, frittella, lasagna, gnocca
Personificazioni 13 (2%) Bernarda, filippa
Termini astratti 60 (10%) Centro, natura, pelosa
TOTALE 595

 

Diversi di questi termini sessuali, sia maschili che femminili, sono molto antichi: ecco perché già quasi 2 secoli fa aveva già celebrato questa ricchezza linguistica il poeta romano Gioacchino Belli (1791-1863) con 2 sonetti straordinari che qui meritano di essere ricordati:

 

 Er padre de li Santi

Er cazzo se pò ddí rradica, uscello,
ciscio, nerbo, tortore, pennarolo,
pezzo-de-carne, manico, scetrolo,
asperge, cucuzzola e stennarello.Cavicchio, canaletto e cchiavistello,
er gionco, er guercio, er mio, nerchia, pirolo,
attaccapanni, moccolo, bbruggnolo,
inguilla, torciorecchio, e mmanganello. Zeppa e bbatocco, cavola e tturaccio,
e mmaritozzo, e ccannella, e ppipino,
e ssalame, e ssarciccia, e ssanguinaccio.Poi scafa, canocchiale, arma, bbambino:
poi torzo, crescimmano, catenaccio,
mànnola, e mmi’-fratello-piccinino.E tte lascio perzino
ch’er mi’ dottore lo chiama cotale,
fallo, asta, verga, e mmembro naturale.Cuer vecchio de spezziale
disce Priàpo; e la su’ mojje pene,
seggno per dio che nun je torna bbene.
La madre de le Sante

Chi vvò cchiede la monna a Ccaterina,
pe ffasse intenne da la ggente dotta
je toccherebbe a ddí vvurva, vaccina,
e ddà ggiú co la cunna e cco la pottaMa nnoantri fijjacci de miggnotta
Dìmo scella, patacca, passerina,
fessa, spacco, fissura, bbuscia, grotta,
fregna, fica, sciavatta, chitarrina, sorca, vaschetta, fodero, frittella,
ciscia, sporta, perucca, varpelosa,
chiavica, gattarola, finestrella,fischiarola, quer-fatto, quela-cosa,
urinale, fracoscio, ciumachella,
la-gabbia-der-pipino, e la-bbrodosa.E ssi vvòi la scimosa,
chi la chiama vergogna, e cchi nnatura,
chi cciufèca, tajjola, e ssepportura.

In conclusione, resta solo un quesito aperto: tutta questa ricchezza linguistica è tipica solo dell’italiano? Certamente no. Anche in inglese, in francese, in spagnolo c’è una grande quantità di termini e metafore sessuali. Ma che io sappia manca ancora un censimento rigoroso: quando ci sarà, vedremo chi ce l’ha più lungo (l’elenco!).

Hanno parlato di questo post:

  • La trasmissione “Mine vaganti” su Radio 24,  condotta da Federico Taddia: un’intervista che potete ascoltare (dal minuto 10:15) cliccando qui.
  • Una pagina de “Il Giornale” con un articolo di Massimo M. Veronese che potete leggere qui.
  • Un articolo de “Il Foglio” che potete leggere qui.
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https://www.parolacce.org/2011/08/03/le-parole-del-sesso/feed/ 17
La patata e la patacca: parolacce da Nobel https://www.parolacce.org/2010/12/17/dario-fo-parolacce-sacro/ https://www.parolacce.org/2010/12/17/dario-fo-parolacce-sacro/#comments Fri, 17 Dec 2010 14:51:00 +0000 http://www.parolacce.org/?p=7 Quando si parla di sesso, non esistono termini “neutri”. Le parole del sesso possono essere eccitanti, ributtanti, oscene, provocatorie e offensive…. Ma perché in alcuni paesi i genitali maschili sono sinonimo di disprezzo (pirla, cazzone…), mentre in altri lo sono… Continue Reading

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Dario Fo e la copertina del suo ultimo libro.

Dario Fo e la copertina del suo libro sulle parolacce.

Quando si parla di sesso, non esistono termini “neutri”. Le parole del sesso possono essere eccitanti, ributtanti, oscene, provocatorie e offensive….
Ma perché in alcuni paesi i genitali maschili sono sinonimo di disprezzo (pirla, cazzone…), mentre in altri lo sono quelli femminili (fregnaccia, zoccola)?
Un libro appena uscito lancia un’ipotesi suggestiva: la carica di disprezzo che si attribuisce ai genitali maschili o femminili dipende dal valore che si attribuisce all’uomo o alla donna. Che, a sua volta, dipende da una visione religiosa: il tipo di fede e di divinità che si hanno, influenza il valore che si attribuisce all’essere uomo e donna. Dunque, l’osceno è sacro.

È proprio questo il titolo del nuovo libro di Dario Fo, edito da Guanda. Un libro rivoluzionario anche per un altro motivo: è il primo studio di un premio Nobel sulle parolacce (l’avevo anticipato su questo blog). Il libro di Fo è inconsueto: non è un romanzo, ma neppure un saggio (non c’è bibliografia). E’, piuttosto, un canovaccio di riflessioni e racconti per uno  spettacolo teatrale. E in quest’ottica si spiegano i 133 disegni che Fo ha inserito nel libro: saranno parte integrante della coreografia.

La tesi di Fo parte da un’osservazione: “i latini, per indicare una persona sciocca e di poco senno, la insultavano definendola cunia, cioè il sesso femminile, ritenuto evidentemente un organo privo di valori, bellezza e armonia. Cunia significava matrice, cioè parte del congegno per mezzo del quale si stampavano le monete. Ancora oggi i francesi e gli spagnoli sembrano dello stesso avviso, giacché l’insulto a uno sciocco continua a essere in Francia, con o tête de con, e, in Spagna, coño.

Il sesso femminile associato a un concetto positivo... per goliardia.

Il sesso femminile associato a un concetto positivo… per goliardia.

Fo si spinge più avanti nella storia. Notando che i napoletani sfottono usando come lessico il sesso femminile (fesso deriva da fessa, fessura, cioè vulva). E l’allusione al sesso femminile diventa greve, profondamente offensiva a Roma con i termini fregna (= spaccatura), sorca (= ratto), zoccola (= ratto). “Tanta trivialità di termini si produce nel caposaldo clericale d’Europa e del mondo, dove, è ben risaputo, la misoginia è addirittura proverbiale”.

Diverso il discorso nel nord Italia: il termine fica è associato – oltre all’organo sessuale femminile – a Venere, dea dell’amore, per cui chi è privo della sua protezione è detto, appunto, sfigato (anche oggi in portoghese, per tradurre fortuna si usa il termine figa con i derivati enfigao, enfigu, figant…).

“Ma come mai” si chiede Fo “in queste regioni è un dato costante l’atteggiamento quasi sacrale verso il sesso della femmina? E perché al contrario il ruolo di imbecille di basso spirito viene immancabilmente imposto al sesso maschile, cosicché pirla (= trottola), bigolo (= vermicello), piciu (= piccolo), etc diventano sinonimi di tonto, ottuso, scervellato, eccetera?”.

La Venere di Willendorf, divinità femminile paleolitica.

La Venere di Willendorf, divinità femminile paleolitica.

Ecco la grande intuizione di Fo: “Nel nord e nel centro Italia, prima che arrivassero i Romani, le primordiali divinità celtico-insubri erano quasi esclusivamente di sesso femminile”. Basti ricordare Cerere, dea madre presso i Romani, chiamata Demetra dalle popolazioni di origine greca (come la Sicilia). Dunque, nel Medioevo, Umbria, Romagna, Toscana e Marche esprimevano nel linguaggio una forma di alto rispetto per il mondo femminile.
Fino alla metà del Trecento, quando lo Stato della Chiesa apostolica romana, con i propri eserciti e i propri amministratori clericali, conquistò e governò in modo dispotico quei territori (Abruzzo, Marche, parte dell’Umbria, Romagna fino a Bologna) assoggettandole per ben 5 secoli.
Risultato? “Le laudi si sono trasformate in lazzi di disprezzo verso la donna e il suo sesso”.

Una "pataca" di Macao: designava una moneta usata dai portoghesi nelle colonie.

Una “pataca” di Macao: designava una moneta usata dai portoghesi nelle colonie.

Un esempio lampante è offerto dal termine “patacca” per indicare il sesso femminile: la “patacca” era una grossa moneta di basso valore, messa in circolazione dagli spagnoli nel 1500. Aggiunge Fo: “Le uniche zone non invase dalla tirannia del regno papalino furono la repubblica veneta, la signoria genovese, Lombardia e Piemonte, e parte dell’Emilia: terre, queste ultime, dove si è continuato a impiegare epiteti offensivi ricavati dal sesso maschile”. Ecco perché, in queste terre, non è mai venuto meno il rispetto anche lessicale verso il sesso femminile, indicato con termini delicati e poetici come parpaja (= farfalla), broegna (= prugna), mügnaga (albicocca), persega (= pesca).

Il cuore del pensiero di Fo è questo. Il resto del libro è un’accattivante raccolta di testi letterari, noti e meno noti, fra cui spicca un divertente fabliau (un racconto francese) medievale, sulla “parpaja topola“: la storia di una giovane sposa, Alessia, che fa credere al novello marito, un candido coglioncione, di possedere una parpàja dotata di completa autonomia: e così, pur di non affrontare con lui la prima notte di nozze, lo sguinzaglia alla ricerca della sua parpaja, dicendo di averla dimenticata a casa… Con notevoli effetti comici.

La cupola di San Pietro: la forma ricorda il seno (come il campanile il fallo), antichi simboli sessuali usati nei riti.

La cupola di San Pietro: la forma ricorda il seno (come il campanile il fallo), antichi simboli sessuali usati nei riti.

Anche se non cita prove documentali a supporto, l’intuizione di Fo è geniale, inedita e difficilmente contestabile storicamente. Perché mette a nudo il legame, come scrive anche il mio libro, fra osceno e sacro: se la parolaccia è una parola tabù, vietata, probabilmente le prime parole tabù sono state quelle religiose. Il comandamento “non nominare il nome di Dio invano” è applicabile a tutte le parolacce, che parlino di sesso, escrementi, malattie e quant’altro. Del resto, come intuisce Fo alla fine del suo libro, tutte le parole vietate parlano dello stesso argomento: la morte, e la paura della morte.

Era destino, insomma, che proprio il re della commedia dell’arte riflettesse sulle parolacce. Dandoci un’altra perla: la stessa parola “giullare” deriva da ciollo e ciullo, che “tanto in lombardo antico quanto in siciliano identifica il sesso maschile (ciullare indica l’atto sessuale con il conseguente sfottere e sfottere)”. Dunque, il re della risata liberatoria, colui che sveglia le coscienze anche facendo uso di lazzi osceni, il comico, è la personificazione del sesso: diffonde una fecondatrice e gioiosa energia vitale.

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