Vangelo | Parolacce https://www.parolacce.org L'unico blog italiano di studi sul turpiloquio, dal 2006 - The world famous blog on italian swearing, since 2006 - By Vito tartamella Wed, 13 Nov 2019 13:16:18 +0000 it-IT hourly 1 https://www.parolacce.org/wp-content/uploads/2015/06/cropped-logoParolacceLR-32x32.png Vangelo | Parolacce https://www.parolacce.org 32 32 Perché “somaro” è un’offesa? Qui casca l’asino https://www.parolacce.org/2019/11/12/perche-asino-insulto/ https://www.parolacce.org/2019/11/12/perche-asino-insulto/#comments Mon, 11 Nov 2019 23:05:07 +0000 https://www.parolacce.org/?p=16399 I suoi nomi sono 4: asino, somaro, ciuccio (o ciuco) e mulo. Ma nessuno ha un significato positivo, a parte indicare l’Equus africanus asinus, il mammifero che tutti conosciamo. Quei 4 appellativi, se indirizzati agli uomini, indicano infatti gli zotici,… Continue Reading

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Orecchie (autoironiche) da asino in vendita sul Web.

I suoi nomi sono 4: asino, somaro, ciuccio (o ciuco) e mulo. Ma nessuno ha un significato positivo, a parte indicare l’Equus africanus asinus, il mammifero che tutti conosciamo. Quei 4 appellativi, se indirizzati agli uomini, indicano infatti gli zotici, rozzi, maleducati; oppure gli ignoranti, ottusi, incapaci, svogliati nell’apprendere; o, ancora, chi è cocciuto, ostinato, testardo. Insomma, l’asino è diventato un insulto.
Eppure, chi conosce gli asini sa bene che queste caratteristiche negative non gli appartengono: in realtà è un animale intelligente, affettuoso e soprattutto gran lavoratore.
Come si spiega, allora, la sua pessima fama? Perché si è deciso di attribuire all’asino una scarsa intelligenza e comportamenti tanto riprovevoli?

In tutte le epoche. E in tutte le lingue

“Asini”, film di Antonello Grimaldi (1999).

L’usanza è antichissima: il termine “asino” era usato già come insulto non solo da Dante (Convivio: “Chi da la ragione si parte, e usa pur la parte sensitive, non vive uomo, ma vive bestia… “Asino vive”), e Boccaccio (Decameron: “Asino fastidioso ed ebraico che tu dèi essere!”), ma anche dal latino Marco Tullio Cicerone, che insultò Lucio Calpurnio Pisone dicendogli: “Perché ora, asino, dovrei insegnarti la letteratura?”.
La parola “mulo”, poi, significa anche incrocio, bastardo: il termine “mulatto” deriva proprio dal mulo, generato dall’accoppiamento fra una cavalla e un asino. Un razzismo sottile: si paragona l’incrocio fra un nero e un bianco a quello fra due animali di specie diverse.
Il frutto dell’incrocio fra un cavallo e un’asina, invece, si chiama bardotto: ma solo il mulo è diventato un insulto, forse per un implicito disprezzo maschilista verso la cavalla che si è “abbassata” a congiungersi con un mulo.

Pinocchio si trasforma in somaro.

Collodi, in “Pinocchio”, ha eletto il somaro a simbolo dell’ignoranza: dopo aver passato 5 mesi a giocare invece di andare a scuola, Pinocchio si trasforma in asino perché “tutti quei ragazzi svogliati che, pigliando a noia i libri, le scuole e i maestri, passano le loro giornate in balocchi, in giuochi e in divertimenti, debbono finire prima o poi col trasformarsi in tanti piccoli somari”.
Eppure, chi ha visto un vero asino, sa bene che sono in realtà infaticabili lavoratori. Del resto, “somaro” deriva da “soma”, peso; e “muletto” indica anche un carrello a motore per sollevare carichi pesanti.

Ma non è tutto. La pessima nomea di questo animale ha contagiato infatti non solo l’italiano, ma anche  molte altre lingue: “somaro” è un insulto anche in inglese (donkey, jackass), tedesco (esel), spagnolo e portoghese (asno, burro), francese (âne)  e russo (osel).

Il logo dei democratici Usa.

Ma a volte l’asino può diventare un simbolo positivo. E’ il caso dei democratici negli Usa, rappresentati proprio da un asino. L’usanza ha quasi 2 secoli: risale ad Andrew Jackson, che nella campagna elettorale del 1828 usò come simbolo l’asino. Un gesto d’orgoglio verso gli avversari che lo avevano soprannominato, storpiandogli il cognome, “Jackass” (somaro, ignorante): Jackson, per tutta risposta, scelse proprio l’asino come simbolo del partito, per rappresentare il popolo che lavora e soffre ma non si arrende.

Dunque, la domanda si impone in modo ancora più forte: “Come ha fatto a resistere così a lungo il cliché della stupidità, pur essendo palesemente falso?”, si chiede Jutta Person nel libro “L’asino” (Marsilio).
Ho deciso di indagare. Per capire come mai l’asino è diventato un somaro. E conoscere meglio un animale che merita rispetto, come ho già fatto con altri animali linguisticamente disprezzati: il cane, il maiale, il topo (e altri animali, vedi i link in fondo a questo articolo). Ovvero i più vicini compagni della nostra vita quotidiana.

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UNA MACCHINA PERFETTA

Per capire com’è davvero l’asino, basta ricordare la sua storia e la sua etologia. L’asino è stato addomesticato per la prima volta fra 5 e 7mila anni fa nell’Africa nord-orientale (Eritrea, Somalia, Egitto). Fu allevato con cura perché resisteva alla fatica, era forte, e costava poco mantenerlo: mangia meno di un cavallo. Insomma, una macchina perfetta, capace di resistere alle fatiche e agli ambienti più ostili.
Per capire il suo comportamento, bisogna ricordare da dove viene: le regioni aride, montuose e sassose ai margini del deserto. Così riesce a muoversi in modo agile nelle zone più impervie. Tanto che in caso di pericolo, mentre un cavallo tende a fuggire, l’asino rimane immobile e non si sposta nemmeno se trascinato o picchiato. E fa bene, perché correre su un suolo roccioso significherebbe azzopparsi. Negli zoccoli, tra l’altro, l’asino ha un’alta sensibilità tattile, per riconoscere le asperità del terreno.
Ma il suo atteggiamento guardingo è stato frainteso come indecisione: da qui la leggenda dell’asino di Buridano (indeciso fra due mucchi di paglia posti a uguale distanza, non riesce a decidersi e muore di fame).
Gli asini originari vivevano in piccoli gruppi. L’udito acuto e la vocalizzazione potente gli servono per ascoltare i pericoli e avvisare gli altri. La sua lentezza e i suoi sensi sviluppati lo portano ad affrontare un evento inatteso non con la fuga, ma cercando di capire come affrontarlo.
Le orecchie dell’asino sono particolarmente lunghe perché adatte a disperdere calore in un clima desertico. La pelle d’asino è usata come tamburo: è coriacea, ed è dotata di un tessuto adiposo (su collo, dorso e groppa) che funziona da riserva idrica, come per i cammelli.
Le sue labbra sono grosse e molto pronunciate: sono molto sensibili per la ricerca del cibo. Anche l’olfatto è molto sviluppato: pare sia uno degli erbivori capaci di riconoscere il maggior numero di aromi.
Gli occhi hanno un campo visivo molto ampio e con buona vista notturna.
Che dire della sua intelligenza (ammesso che sia corretto attribuire un canone umano a un animale)? Di certo ha una memoria eccellente: quello che ha sperimentato una volta, non lo dimentica più. Ed è curioso, esplora l’ambiente anche da solo. Ed è generoso nell’approcciarsi con chi si avvicina a lui nel modo giusto. Non è pauroso, è indipendente. Ecco perché nell’antichità, l’asino era considerato una ricchezza.

Un “mostro” mite, superdotato e schiavizzato

Dunque, un animale con doti eccezionali. Da dove salta fuori, allora, la sua pessima fama? Da 4 sue caratteristiche che hanno gettato un’ombra sulla sua immagine:

  1. L’uomo-asino in una delle tavole di Giambattista Della Porta.

    IL SUO ASPETTO FISICO: nell’antichità, gli animali erano stati visti come modelli di determinate caratteristiche umane. Leoni, pantere, cinghiali erano utilizzati come simboli per definire il carattere (coraggioso, codardo, sfacciato…) degli uomini, nella convinzione che ci fosse un collegamento fra la forma del corpo e l’anima. Nel 300 a.C., infatti, lo Pseudo Aristotele scrisse la “Physiognomonica”, un trattato nel quale diversi animali rappresentavano  determinati tipi di uomini: l’asino, in particolare, rappresenta l’ottusità, la stupidità e l’indolenza. Colpa dei suoi occhi sporgenti (segno di stupidità), della fronte curva (ottusità), delle labbra grosse (scarsa intelligenza) e delle orecchie grandi (timorosità). E questi stereotipi sono sopravvissuti per secoli: erano ancora ben presenti nella “De humana physiognomonia” di Giambattista Della Porta (1586).

  2. LA SUA SESSUALITA’: l’asino è un superdotato, essendo dotato di un pene enorme. In più ha rapporti più frequenti e aggressivi rispetto ai cavalli. Ecco perché in due racconti latini, le “Metamorfosi” di Apuleio (2° secolo d.C.) e “Lucio o l’asino” dello Pseudo-Luciano, il protagonista si trasforma in asino, e ha rapporti con una donna che ne apprezza le doti. Ma l’aspetto erotico dell’asino ha suscitato, soprattutto dal Medioevo, un’ondata di repulsione e diffidenza, facendo catalogare l’asino fra gli esseri mostruosi e demoniaci, o comunque da censurare. E in realtà potrebbe aver giocato, in questo disprezzo, anche una “invidia del pene” (termine preso a prestito dalla psicanalisi) nei confronti delle sue doti erotiche.
  3. LA SUA VOCE, SGRADEVOLE E SPAVENTOSA: come abbiamo visto sopra, con il suo verso l’asino riesce a segnalare i pericolo al proprio gruppo, anche se è lontano. Ma il raglio dell’asino è molto sgradevole per le orecchie umane, tanto che è diventato l’emblema di chi è ignorante: “raglio d’asino non sale al cielo”, dice il proverbio. Ovvero, chi è intelligente non dà ascolto alle chiacchiere delle persone sciocche.
  4. I SUOI OCCHI: pur avendo un’ottima vista l’asino non riesce a guardare in alto: questo fatto potrebbe aver indotto, nel Medioevo, a considerare l’asino un animale rivolto alla terra piuttosto che al cielo e alla spiritualità.
  5. LA SUA MITEZZA: l’asino è molto servizievole. Dato che si lascia fare di tutto, viene sfruttato e deriso come passivo e indeciso. Gli erbivori più miti sono stati sempre considerati imbecilli: il filosofo Friedrich Nietzsche lo disprezza come bestia da soma che si carica di ogni peso, dice sempre di sì e tiene gli occhi bassi.
  6. LA SUA IMMOBILITA’: dato che in alcune circostanze (soprattutto di pericolo, vero o presunto) l’asino rimane immobile questo è stato interpretato come testardaggine e ostinazione (“sei un mulo”) e stupidità, incapacità di imparare, ottusità.

Un amico forte e pacifico

Dunque, un animale dal valore simbolico molto ricco. E non solo in negativo: nell’Antico Testamento, era considerato una ricchezza (nei 10 comandamenti l’asino è incluso fra “la roba d’altri” con moglie, schiavi e buoi). E nel racconto biblico dedicato all’indovino Balaam (Numeri, 22, 28-31), fu un’asina ad accorgersi della presenza di un angelo, avvisandolo.

Gesù a Gerusalemme su un asino (Hippolyte Flandrin, 1848).

E anche nel Nuovo Testamento l’asino ha un ruolo di primo piano: era nella grotta della natività insieme al bue, fu usato da Giuseppe e Maria per la fuga in Egitto, e soprattutto per l’ingresso di Gesù a Gerusalemme. Una scelta simbolica molto forte, per caratterizzare il Messia come un re umile, che non ha bisogno di un destriero da battaglia. Gesù, insomma, somiglia al quadrupede che cavalca: umile e servizievole, mite, pacifico, si lascia picchiare senza opporre resistenza, pur essendo forte. Un racconto così suggestivo che fino a tutto il Medioevo, si celebravano messe in cui il sacerdote entrava in chiesa a dorso d’asino, mentre l’assemblea ragliava.
Poi c’è Sancho Panza che va in giro con l’asino, l’asino d’oro dei fratelli Grimm (al suono della parola magica lascia cadere monete d’oro dietro di sè). Nella “Fattoria degli animali” George Orwell crea il personaggio di Benjamin Beniamino, un asino scettico e intelligente, assai più sveglio della maggior parte dei suoi compagni. L’ultimo asino della fantasia è Ciuchino, che dal 2001 appare nei cartoni animati di Shrek: è un gran chiacchierone, ama cantare e ballare, ed è molto intelligente , anche se piuttosto fifone.

Uno status symbol (in negativo)

Un editore controcorrente, Edizioni dell’asino: dà attenzione alle minoranze.

Dunque, l’asino è in realtà un animale ambivalente, su cui l’uomo ha proiettato lodi e offese. Questo animale è visto benefico o demoniaco, potente o umile, sapiente o ignorante. Anche se, alla fine, ha prevalso l’immagine negativa. Perché? Nel libro “Asino caro” (Bompiani) Roberto Finzi dice che la ragione è socio-economica: il somaro è disprezzato perché simbolo delle persone povere e contadine, che non possono permettersi mezzi di trasporto più prestigiosi (dal cavallo in su).
Tant’è vero che per dire che una persona è scesa nella scala sociale, oltre al detto “dalle stelle alle stalle” c’è anche “ab equis ad asinos”, dai cavalli agli asini. Insomma, alla fine l’asino come insulto è il riflesso del disprezzo sociale per chi è povero e umile.

 

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Gianni Morandi e il segreto per ribattere agli insulti https://www.parolacce.org/2015/07/03/come-reagire-alle-offese/ https://www.parolacce.org/2015/07/03/come-reagire-alle-offese/#comments Fri, 03 Jul 2015 08:00:33 +0000 https://www.parolacce.org/?p=7909 Che cosa può insegnare un cantante melodico di quasi 71 anni in materia di netiquette, ovvero di buona educazione sul Web? Molto, se quell’uomo si chiama Gianni Morandi. Il “Gianni nazionale” ha avuto successo, nelle ultime settimane, proprio per il suo modo di reagire a insulti, bulli… Continue Reading

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morandi2Che cosa può insegnare un cantante melodico di quasi 71 anni in materia di netiquette, ovvero di buona educazione sul Web?
Molto, se quell’uomo si chiama Gianni Morandi. Il “Gianni nazionale” ha avuto successo, nelle ultime settimane, proprio per il suo modo di reagire a insulti, bulli e troll.
Lo scorso aprile, quando sul suo account Facebook aveva paragonato l’esodo dei migranti di oggi alle emigrazioni degli italiani del secolo scorso, Morandi era stato pesantemente attaccato da molti navigatori. Lui non ha perso la calma e ha risposto con grande aplomb a molti di loro.
Per esempio, a una navigatrice che gli aveva scritto provocatoriamente “Si fa presto a parlare col portafoglio pieno, caro Gianni! Accoglili nelle tue ville”, lui  ha risposto “Ho una sola casa. Tutti forse no, ma qualcuno di loro potrei accoglierlo”…

Non era un episodio isolato. Morandi – seguito su Facebook da oltre 1,7 milioni di fan – ha un modo inusuale di reagire agli insulti, tanto da avere ispirato schiere di seguaci, come il sito umoristico “Rispondere agli insulti come farebbe Gianni Morandi“. Un esempio (positivo) da imitare, insomma.
Infatti, a ben guardare, quella di Morandi è ben più di una semplice “buona educazione” per gli utenti dei social network: è uno stile di comportamento, che si manifesta non solo sul Web ma anche nella vita reale.
Ma qual è il suo segreto, la ricetta, la formula ideale per reagire agli insulti? Studiando le risposte di Morandi, possiamo identificare 3 regole pratiche per difenderci da chi ci offende. Scoprendo che, in realtà, la ricetta di Morandi non è affatto “nuova”. Anzi…

MorandiFB1) Non offendersi: badare al contenuto, più che alla forma. Come fa una parolaccia a offendere? E’ soltanto una parola: riesce a far presa sulla nostra autostima solo se le attribuiamo un significato, un potere. Dunque, a differenza di uno schiaffo (ben più difficile da ignorare) una parolaccia ha potere solo se glielo attribuiamo: se la ignoriamo, perde ogni valore. “Raglio d’asino non arriva in cielo”, dice infatti il proverbio. Per far questo, occorre una grande dose non solo di autocontrollo, ma soprattutto di sicurezza e di solidità interiore.
E’ anche vero, però, che ignorare del tutto una persona è una mancanza di rispetto, come raccontavo in questo post sui gesti insultanti. Perciò, a volte, la miglior risposta è esaminare che cosa dice chi ti attacca: spesso, guardandolo con distacco, si scoprono appigli per ribaltare l’insulto su chi lo ha lanciato. Insomma, si può sfruttare la forza dell’avversario per ritorcerla contro di lui, come nel judo.
Avevo già raccontato in quest’altro post, infatti, perché gli insulti garbati risultano spesso più efficaci di quelli volgari.
Facciamo un esempio concreto. Lo scorso maggio, Morandi aveva pubblicato una propria foto su una spiaggia romagnola. Un lettore gli ha scritto questo commento offensivo: “Ciao Gianni, stai attento alle minchie di mare, possono essere molto pericolose soprattutto se ti attaccano da dietro”. Ed ecco la risposta di Morandi: “Grazie di avermi avvertito, non ne conoscevo l’esistenza. Tu quante volte sei stato attaccato? Un abbraccio”. Pungente, ma con eleganza.

morandi52) Usare l’autoironia: a volte un insulto può essere un modo, per quanto offensivo, di dire una verità. In tal caso, il trucco è accettarla senza farne un dramma. Così, una debolezza ammessa (innanzitutto a se stessi) può diventare un  punto di forza: solo chi crede di non aver difetti è pronto a puntare l’indice su quelli degli altri. Chi invece conosce ed accetta i propri limiti, è più tollerante verso quelli altrui. Come dice il Vangelo: non giudicate. “Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio di tuo fratello” (Luca, 6, 37-42).
Per esempio, molti fan prendono in giro Morandi per le sue mani enormi. Un atteggiamento infantile, a cui il cantante risponde prendendosi in giro per primo: “Ciao Gianni…. un giorno Apple farà un iPhone8 plus per le tue enormi mani”, gli scrive un fan. E lui: “Caro Raffaele, ci vorrebbe almeno il 12 per cominciare a ragionare”. Se un insulto è tale perché mira ad abbassare l’autostima di chi lo riceve, mostrare che la propria autostima non è stata intaccata da un’offesa significa neutralizzare, spuntare le armi di chi ci aggredisce.

morandi3) Restare gentili e affettuosi: questa reazione spiazza i provocatori, che traggono dalla rabbia dei destinatari la benzina di altro rancore. La gentilezza, invece, fa risaltare ancora di più la meschinità di chi attacca per primo, di chi usa un linguaggio offensivo: perché l’insulto squalifica innanzitutto chi lo dice. In questo, Morandi si comporta come un padre affettuoso, con l’effetto di trasformare i suoi denigratori in bambini immaturi e scomposti: all’Io-bambino dei bulli, Morandi contrappone un Io-genitore accogliente (i termini sono tratti dall’analisi transazionale, che inquadra la comunicazione fra persone nelle dinamiche fra un Io-genitore, un Io-adulto o un Io-bambino).
Per esempio dopo aver postato la foto di un piatto di fave, piselli, moscardini e pomodoro, un lettore gli ha scritto provocatoriamente: “Gianni, sempre con le mani tra i piselli stai”. Morandi gli ha risposto: “Caro Oscar, se vuoi puoi venire a darmi una mano tu. Un saluto affettuoso”.
Come Morandi ha spiegato in un’intervista, anche davanti agli attacchi più pesanti lui non dimentica mai la compassione. «Mai rispondere male a chi ti aggredisce, critica o insulta. Quando uno entra cattivo, io lo accarezzo e gli scrivo: “Ma no, come mai? Io non volevo offenderti. Scusa se ti ho disturbato. Se proprio ti do fastidio con un clic puoi cancellarmi”. Qualcuno va via. Poi però vedo che tornano. E non mi insultano più». In altre parole: “don’t feed the trolls”, non gettare benzina sul fuoco. Lascia che ti critichino e passa oltre: come diceva Dante: “Non ragioniam di loro, ma guarda e passa”. Un modo zen di rimanere imperturbabili.
Anche in questo, Morandi segue un ammonimento del Vangelo: “non è ciò che entra in bocca a contaminare l’uomo, ma ciò che vi esce” (Matteo, 15, 17-20). Oppure: “Amate i vostri nemici, benedite coloro che vi maledicono” (Luca, 6, 27-35).
Per Morandi, al di là della fede religiosa, è soprattutto un dono, una questione di carattere, come racconta sua moglie Anna: “Lui non vuole dire cose negative, non perché abbia elaborato una teoria, ma perché non le dice proprio a nessuno”.

Ma allora Morandi si nasce o si diventa? Alcune settimane fa, il calciatore dell’Inter Andrea Ranocchia, dopo alcune partite non esaltanti, ha deciso di seguire lo stile-Morandi  su Facebook, finora con ottimi risultati. Per esempio, a chi gli diceva “Con Miranda e Murillo vedrai tanta, tanta panchina”, il calciatore ha risposto: “L’importante è che sia riscaldata! Un abbraccio”.
Se ce l’ha fatta lui, forse possiamo riuscirci anche noi. Certo, mantenere la lucidità via Internet è molto più facile che di persona: basta trattenere l’impulso di reagire, di rispondere a tono e il gioco è fatto. Ma nella vita reale? Beh, è più dura: è proprio qui che si vede chi è davvero “zen” e chi, invece, si atteggia soltanto.

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Formigoni, il Vangelo e le parolacce https://www.parolacce.org/2015/05/23/formigoni-vangelo-parolacce/ https://www.parolacce.org/2015/05/23/formigoni-vangelo-parolacce/#respond Sat, 23 May 2015 15:22:16 +0000 https://www.parolacce.org/?p=7581 Ieri ho letto una frase del senatore Roberto Formigoni che mi ha fatto sobbalzare sulla sedia. Ha detto: “Dove sta scritto nel Vangelo che non bisogna dire parolacce? No: il Vangelo dice che bisogna trattare gli altri con carità“. L’episodio… Continue Reading

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Oggi (2)

Un articolo che scrissi nel 2012 su “Oggi”: Formigoni disse “pirla” a un consigliere regionale Idv. In homepage: elaboraz. foto Shutterstock.

Ieri ho letto una frase del senatore Roberto Formigoni che mi ha fatto sobbalzare sulla sedia. Ha detto: “Dove sta scritto nel Vangelo che non bisogna dire parolacce? No: il Vangelo dice che bisogna trattare gli altri con carità“.
L’episodio a cui il politico si riferiva è il cosiddetto “sbroccogate“, lo scandalo dello sbrocco: giorni fa aveva insultato gli addetti aeroportuali di Alitalia in aeroporto a Roma Fiumicino, perché non l’avevano fatto imbarcare sul volo per Milano. Secondo quanto egli stesso ha riferito, gli avevano detto di recarsi a un gate sbagliato, e aveva perso tempo, arrivando al gate corretto quando ormai  le porte erano chiuse. Furibondo per aver perso il volo, Formigoni ha apostrofato gli addetti urlando loro: “Banda di coglioni, figli di puttana, vada a fare in culo, massa di coglioni, teste di cazzo!”. Prima di andarsene, per la rabbia ha scagliato il telefono del banco Alitalia contro una parete.
L’episodio è balzato sulle cronache perché una viaggiatrice presente in aeroporto ha registrato l’episodio con un cellulare, pubblicando il filmato in Rete. Eccolo:

Il fatto ha avuto grande rilevanza sui giornali perché Formigoni è noto per la sua religiosità: è un esponente di spicco del movimento ecclesiale cattolico Comunione e Liberazione (Cl), oltre a risultare membro della comunità laicale dei Memores Domini, che vivono in povertà, castità e obbedienza. Alla luce di queste appartenenze, gli insulti che ha lanciato fanno notizia perché risultano stridenti. Insomma, è nato un caso.
Ecco perché Formigoni è stato invitato da “La zanzara“, trasmissione di Radio24 celebre per il turpiloquio del suo conduttore Giuseppe Cruciani. Ai microfoni, Formigoni ha fatto una serie di affermazioni sorprendenti (le trovate nel video qui sotto dal minuto 9:40 al 16:14; il clou poco dopo il minuto 13): “Pentito? I cristiani le parolacce le dicono, se hanno i muscoli…. Ho ben altri peccati da confessare… Il turpiloquio oggi è diventato così comune… Io non ho fatto del turpiloquio la mia politica. …. Mi sono comportato come un qualunque cittadino a cui, davanti a un sopruso, ghe giren i ball (gli girano le balle)… Dove che sta scritto nel Vangelo che non bisogna dire parolacce? C’è scritto che bisogna trattare con carità. Io ho trattato i dipendenti Alitalia con carità“.

A dire il vero, gli insulti e i toni che ha usato non mi sono sembrati caritatevoli. Anche se poi, alla radio, ha cercato di correggere il tiro dicendo che erano rivolti “alla società Alitalia” (ma le società sono fatte di persone!).
Trascuriamo, poi, l’affermazione che la sua politica sia esente da turpiloquio: nel 2012 scrissi su “Oggi” un commento al fatto che aveva dato del “pirla” a un consigliere comunale d’opposizione. All’epoca, Formigoni aveva minimizzato l’episodio, sostenendo che “pirla” non è un insulto (affermazione su cui non ero e non sono d’accordo).

Stavolta, con lo sbroccogate, la prima cosa che mi ha fatto sobbalzare è che Formigoni abbia affermato che un cristiano “virile” possa dire parolacce. Non più di 2 settimane fa, papa Francesco aveva detto l’esatto contrario: aveva denunciato che “stiamo diventando una società delle cattive maniere, dove si dicono tante parolacce, anche in pubblico”; e aveva invitato i fedeli a comportarsi con un’autentica (e non ipocrita) buona educazione. Mi pare quindi che il papa abbia una visione diversa dall’onorevole Formigoni.
Ma mi ha sorpreso ancor più l’affermazione secondo cui il Vangelo non vieterebbe le parolacce. Forse non sono religioso quanto Formigoni, ma quando scrissi il mio libro mi ero documentato, accertando che non è così. Riporto i 3 brani più significativi, tratti da Matteo:
1) «Ciò che esce dalla bocca proviene dal cuore. Questo rende immondo l’uomo. Dal cuore, infatti, provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adultèri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie» [Matteo, 15:17-20].
2) «Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna» [Matteo, 5:21-24].
3) «Benedite quelli che vi maledicono» [Matteo, 5:43-44].

Facile immaginare il divieto di bestemmiare. Ma Gesù va ben oltre: dice chiaro e tondo che la rabbia contro le altre persone è grave quanto un omicidio! E peggio ancora se questa rabbia è espressa attraverso gli insulti: un corollario del divieto di giudicare gli altri, dato che gli insulti sono giudizi sintetici e svilenti.
Infine, Gesù arriva addirittura a invitare i fedeli a reagire agli insulti altrui benedicendoli. Io non ce la faccio, Formigoni nemmeno: e se davvero avesse subìto un sopruso, ha la nostra solidarietà. Ma sull’etica degli insulti, forse gli converrebbe dare una rispolverata al Vangelo.

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