vegetali | Parolacce https://www.parolacce.org L'unico blog italiano di studi sul turpiloquio, dal 2006 - The world famous blog on italian swearing, since 2006 - By Vito tartamella Tue, 25 Jun 2024 13:50:42 +0000 it-IT hourly 1 https://www.parolacce.org/wp-content/uploads/2015/06/cropped-logoParolacceLR-32x32.png vegetali | Parolacce https://www.parolacce.org 32 32 Quando l’ortaggio è un oltraggio https://www.parolacce.org/2020/06/01/vegetali-come-insulti/ https://www.parolacce.org/2020/06/01/vegetali-come-insulti/#respond Sun, 31 May 2020 22:12:39 +0000 https://www.parolacce.org/?p=17349 Testa di rapa, citrullo, finocchio, zuccone… Alcuni insulti sembrano usciti dalla bottega di un ortolano. Quali sono queste offese? Esistono anche in altre lingue? E perché si ispirano proprio agli ortaggi? Negli ultimi tempi, uno di questi, la melanzana, sta… Continue Reading

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Pubblicità dello studio Armando Testa: gioca sull’assonanza finocchio/Pinocchio.

Testa di rapa, citrullo, finocchio, zuccone… Alcuni insulti sembrano usciti dalla bottega di un ortolano. Quali sono queste offese? Esistono anche in altre lingue? E perché si ispirano proprio agli ortaggi? Negli ultimi tempi, uno di questi, la melanzana, sta avendo popolarità come emoji: è usato come simbolo fallico. Ma in questo post non parlo di vegetali usati in senso osceno come pisello, patata e molti altri: l’avevo già fatto in precedenti articoli (vedi sotto). Qui parlo invece dei vegetali usati come metafore offensive.
Ne sa qualcosa un politico dello Zambia, Frank Bwalya, che nel 2014 fu condannato a 5 anni di reclusione – come riferisce la Bbc –  per aver paragonato l’allora presidente Michael Sata a una patata. Parlando alla radio, Bwalya aveva definito il presidente a una “chumbu mushololwa”, ovvero una patata dolce che si spezza quando viene piegata: un’espressione usata per descrivere chi non ascolta i consigli. Non era la prima volta che accadeva un fatto simile in Zambia: nel 2002 il direttore di un giornale indipendente, Fred M’membe, fu arrestato per aver definito l’allora presidente Levy Mwanawasa  un “cavolo“. Anche in Italia, del resto, chi offende il presidente della Repubblica… sono cavoli suoi: le pene sono altrettanto pesanti.

Dagli antichi Greci alle favole

Pubblicità di “Campagna amica” giocata sul doppio senso del “cavolo”.

Ma da dove arrivano questi particolari insulti? Come vedremo più sotto, sono diffusi in molte lingue. E hanno una storia molto antica: in un saggio, il linguista Paolo Martino dell’Università Lumsa di Roma ricorda che già gli antichi Greci usavano gli ortaggi come imprecazioni: “Per il cavolo!”. «La popolarità di queste esclamazioni» scrive Martino, «nasceva dal fatto che persino il filosofo stoico Zenone di Cizio, era solito giurare “per il cappero”, imitando in ciò il maestro Socrate, che soleva giurare “per il cane”. Infatti tali esclamazioni si inquadrano nei “Giuramenti di Radamanto”, il mitico giudice dell’Averno, che aveva ordinato che si giurasse non sugli dèi, ma su piante o animali domestici: il cane, il capro, l’oca. Una scelta dettata non tanto da interdizione volta a non nominare invano il nome della divinità, quanto da ironia volta a sdrammatizzare la solennità del gesto».
La precisazione è importante: tirare in ballo i vegetali, come imprecazioni o come insulti, alleggerisce la portata delle offese. A questo si aggiunge, nel caso del “cappero” e del “cavolo”, l’assonanza della prima sillaba con la parola “cazzo”: sono usati infatti come eufemismi (“Capperi!”, “Col cavolo che ti aspetto” eccetera). Ma ci sono anche altre suggestioni nell’uso delle metafore vegetali. Gli ortaggi hanno ispirato diverse storie, miti e favole nella cultura contadina.

[ per approfondire, apri la finestra cliccando sulla striscia blu qui sotto ]

SALE IN ZUCCA E NATI SOTTO I CAVOLI

Il titolo originale “Pudd’nhead Wilson” significa “testa grossa”.

Prendiamo ad esempio la zucca. Quella che conosciamo è originaria dell’America, ma in Europa c’era la Lagenaria, una zucca di piccole dimensioni, somigliante a una fiaschetta: svuotata di polpa e semi, nell’antichità era usata come borraccia, come portalampada (come quelle di Halloween) e per contenere il sale (“non avere il sale in zucca” significa essere poveri, oltre che insipidi cioè insipienti). La zucca aveva molti significati: il fatto che avesse molti semi la rese simbolo di fecondità, ma era anche l’emblema della scempiaggine, della stupidità e dell’illusione, perché cresce rapidamente ma altrettanto velocemente casca in terra e si secca. In più, la forma buffa la rende una metafora per indicare la testa sproporzionata e sgraziata di una persona: caratteristica che, per la fisiognomica, equivaleva a ottusità mentale.

Bimbi nati sotto i cavoli (cartolina francese del 1906).

Un detto popolare, poi, afferma che i bambini nascono sotto i cavoli. Perché? Il cavolo era l’unico alimento che durante l’inverno garantiva vitamine e minerali. Ed era simbolo di fecondità e di vita per vari motivi: veniva raccolto dopo 9 mesi dalla semina, ovvero da marzo a settembre, proprio come il tempo di gestazione dei bambini. In più la raccolta dei cavoli era affidata alle donne che venivano chiamate “levatrici”, proprio come quelle che aiutavano la futura mamma durante il parto, perché dovevano recidere il “cordone ombelicale” che legava il cavolo alla terra; da qui la leggenda che i bambini si trovano sotto ai cavoli.

Francobollo tedesco dedicato a Rapunzel.

Quanto alla rapa, è stata resa celebre dalla storia di Raperonzolo, che però in realtà non ha a che fare con questo ortaggio. La storia è nata in Italia, ad opera dello scrittore Giambattista Basile, che nel “Cunto de li cunti” (1634), narra la vicenda di Petrosinella, una donna incinta che voleva mangiare del prezzemolo (da cui deriva, in napoletano, il nome di “Petrosinella”). Ma il prezzemolo era nel giardino di un’orchessa, che poi la cattura e le fa promettere, in cambio della vita, di darle la sua bambina una volta nata. Probabilmente questa storia è un’allusione al decotto di prezzemolo, che da tempi antichissimi veniva usato per uso abortivo: la tradizione popolare vuole che se il decotto viene preso in grandi quantità, si può provocare un’emorragia che facendo contrarre l’utero, fa espellere anche l’ovulo fecondato. Di qui il legame fra il prezzemolo e la strega che fa sparire una bambina.
A questo racconto si sono ispirati nel 1800 i fratelli Grimm con la storia di Raperonzolo: la trama è simile, con la variante che la donna incinta qui desidera mangiare dei raperonzoli che crescevano nel giardino di una potente strega. I raperonzoli sono fiori a campanula (Campanula rapunculus) usati anche come contorno.

Perché si insulta coi vegetali

Infelice titolo del “Corriere del Mezzogiorno” (2007).

Per quale motivo si utilizzano i nomi di vegetali come insulto? Innanzitutto per una sorta di classismo: paragonare una persona (o la sua intelligenza) a un ortaggio, significa degradarla. I vegetali sono al confine fra materia viva e inanimata, e non sono dotati di intelligenza. Quindi, in un’ottica antropocentrica, sono inferiori persino agli animali. Del resto, per dire che qualcuno vive al minimo delle sue facoltà vitali diciamo che è “allo stato vegetativo” o”ridotto a vegetale”.
A questo aspetto generale, se ne aggiungono altri due. Da un lato, la forma di alcuni vegetali: in alcuni casi buffa, sproporzionata, sgraziata (cavolo, broccolo, zucca), in altri fallica (cetriolo), li rendono metafore che si prestano a usi spregiativi. Dall’altro lato, in alcuni casi, la mancanza di sapore. Ricordiamo che “sciocco” deriva dal latino exsuccum, privo di  sugo, insipiente significa “privo di sapore”. Fa eccezione, ovviamente, il pepe: tant’è vero che definire qualcuno “peperino” (vivace, pieno di brio) è quasi un complimento.
Al tempo stesso, comunque, i vegetali sono un modo umoristico e leggero di insultare qualcuno.  Invece di dire “mortacci tua” si può dire… “ortaggi tua!”.

 La lista delle offese vegane

“Broccolare” significa “cuccare” (da www.disciules.it).

Scandagliando il nostro dizionario (e i dialetti) ho trovato 16 termini insultanti derivati dai vegetali. Eccoli, con le relative spiegazioni.

♦ BAGGIANO / BAGGIANATA = stupido, babbeo. Era l’appellativo con cui, nei secoli scorsi, i bergamaschi chiamavano i milanesi. Il nome deriva da baggiana, fava da orto con semi molto grossi ma insipidi.

♦ BIETOLONE = “semplicione”,  forse perché la bietola è dolce e poco saporita

♦ BROCCOLO / BROCCOLONE  = “persona goffa”. Probabilmente deriva dalla forma irregolare e sgraziata dell’ortaggio. In Lombardia, “broccolare” significa ‘tentare di corteggiare in modo sfacciato e  maldestro‘: forse perché chi lo fa ha una faccia da broccolo, cioè da stupido.

♦ CARCIOFO / CARCIOFONE = sciocco, minchione, o goffo, inabile, maldestro. Il riferimento è alla forma buffa e fallica

♦ (TORSO, TESTA DI) CAVOLO = persona goffa e sciocca. Sia perché il cavolo è considerato una verdura di scarso valore, e soprattutto perché è un eufemismo per “cazzo”.

♦ CETRIOLO / CITRULLO  (dal napoletano cetrulo) = sciocco, grullo. La motivazione? La forma fallica.

♦ CRAUTO = è a volte usato, insieme a KARTOFFELN (patate) come spregiativo per riferirsi ai tedeschi, che ne fanno largo uso alimentare (è lo stesso motivo per cui noi italiani siamo chiamati “spaghetti” all’estero)

Iniziativa ironica contro l’omofobia.

♦ FINOCCHIO = “omosessuale maschile”. Che collegamento c’è fra l’ortaggio e i gay? E’ presto detto: il seme del finocchio è una spezia aromatica molto profumata, con cui si preparano molti piatti. In alcune bettole di infimo ordine, un tempo i tavernieri disonesti condivano con i semi di finocchio i cibi andati a male, in modo da mascherare il gusto di marcio e imbrogliare così i clienti. Il verbo “infinocchiare” (= truffare) deriva appunto da questa pratica. Dunque, in campo sessuale il riferimento è ai travestiti, che hanno l’abitudine di profumarsi e imbellettarsi come donne, e cambiano aspetto come i piatti aromatizzati col finocchio (in Toscana, la “finocchiona” è invece un salame aromatizzato al seme di finocchio).

♦ MELENSO = persona ebete, inespressiva, sciocca, inconsistente, banale, ritardata, lenta e goffa. Il termine ha un’etimologia incerta: potrebbe derivare da melanzana (per il suo aspetto buffo e fallico), oppure dal miele (allusione a una persona sdolcinata, oppure la lentezza con cui cola) o dal francese malaise (malato, svogliato)

♦ MELLONE = stupido, sciocco, balordo, grossolano d’ingegno. Il termine indicava un frutto diverso dal popone comune, e cioè il melone lungo o serpentino, un frutto dal gusto insipido.

♦ PATATA / PATATA LESSA  = “persona sciocca”, o anche goffa e impacciata. La metafora deriva dallo scarso sapore della patata, ma anche dalla sua forma bitorzoluta (basta vedere come rotola una patata).

Pubblicità di dubbio gusto che gioca sul significato fallico del cetriolo.

♦ PIGNOLO = “pedante”, inutilmente meticoloso anche in aspetti insignificanti. L’immagine trae origine dal paragone fra il pignolo strettamente incastrato nella pigna e la persona che non sa liberarsi da schemi mentali rigidi e minuziosi.

♦ RAPA / TESTA DI RAPA  = persona stupida, di scarso valore intellettivo. Trae origine dal gusto insipido della rapa.

♦ SCALOGNATO = sfortunato, sfigato. Potrebbe derivare dal lat. calŭmnia «calunnia», ma è più probabile derivi dallo scalogno, la cipolla originaria di Ascalona (antica città della Siria da cui è originaria). Dato che le cipolle sono il cibo dei poveri, si ritiene che il solo toccarle possa portare sfortuna in quanto sono simbolo di miseria. Chi è povero mangia cipolla, cioè è “scalognato”.

♦ TE­STA D’AC­CU­LAZ­ZÀ­TU =  persona stolta. Il nome, in siciliano, indica un piccolo cetriolo, Cucumis melo L., dalla forma simile a un piccolo melone. Acculazzatu significa accartocciato: la fine che fa questo cetriolino, che va a male se non viene consumato subito.

♦ ZUCCA, ZUCCONE  = testa grossa, ma anche persona cocciuta, caparbia. Trae ispirazione dalla forma tondeggiante e sgraziata della zucca.

GLI INSULTI ORTICOLI NELLE ALTRE LINGUE

Film del 1966, diretto da Giancarlo Zagni.

In inglese, i termini turnip (rapa), potato (patata) e cabbage (cavolo) possono essere usati come insulti se riferiti alle persone. In francese, «patate!», «espèce de patate!» (specie di patata) o «tu joues comme une patate» (giochi come una patata) significa stupido, goffo, maldestro.
In portoghese, “nabo” (rapa) significa stupido o maldestro. In tedesco, una parola regionale per cavolo (“Kappes” in contrapposizione allo standard tedesco “Kohl“) può significare “stronzate”: “Das ist totaler Kappes!” si traduce come “Sono cazzate totali”.
Nei Paesi dell’est Europa, quelli dell’ex blocco sovietico, essere etichettato come “ravanello” era molto offensivo, perché i ravanelli sono “rossi all’esterno e bianchi all’interno”, e quindi controrivoluzionari. (Lo stesso avviene quando una persona di colore dà della “noce di cocco” a un’altra: vuol dire “nero fuori, ma bianco dentro”, cioè di pelle nera ma con mentalità da bianco).
In cinese, è comune insultare qualcuno chiamandolo “stupido melone” (“sha gua”).
In giapponese, quando un attore di teatro è noioso, è probabile che il pubblico gli urli “Daikon“, (ravanello) dato che sono piuttosto insipidi. “Nasu” (melanzana) è sinonimo di stupido. “Moyashi” (germoglio di fagiolo) indica un bambino smidollato. In hindi, “kaddu” (zucca) può essere usato come da noi nel senso di zuccone.

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Pisello, patata, marroni e meloni: il lato vegano del sesso https://www.parolacce.org/2016/10/16/metafore-vegetali-erotismo/ https://www.parolacce.org/2016/10/16/metafore-vegetali-erotismo/#respond Sat, 15 Oct 2016 22:10:00 +0000 https://www.parolacce.org/?p=10995 Pisello, patata, fava, marroni, pere, cocomeri, meloni… Non è un innocente elenco della spesa dall’ortolano: è la maliziosa lista delle metafore vegetali sul sesso. In italiano sono oltre 100 i termini (103 per l’esattezza) che usano frutta e verdura per… Continue Reading

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vegetaliPisello, patata, fava, marroni, pere, cocomeri, meloni… Non è un innocente elenco della spesa dall’ortolano: è la maliziosa lista delle metafore vegetali sul sesso.
In italiano sono oltre 100 i termini (103 per l’esattezza) che usano frutta e verdura per alludere ai genitali maschili e femminili, al seno o ai gluteiUna schiera notevole, anche se rappresenta una piccola minoranza di tutte le metafore sul sesso: le parolacce vegane sono solo il 3% del totale (come raccontavo qui). Per i nomi del sesso, infatti, le metafore più numerose sono quelle ispirate agli oggetti: mazza, manico, piffero, chitarra, scodella, patacca etc.
Tuttavia i vegetali non sono una minoranza silenziosa. Molte di queste immagini, infatti, sono fra i nomi più usati per riferirsi al sesso: pisello, fava e cappella per il pene; marroni per i testicoli; pere e meloni per il seno; patata e fica (per quanto tabù) per la vulva. E’ singolare che i piaceri della carne siano espressi da immagini vegane
Come nell’immagine qui sopra, usata per la campagna pubblicitaria  della “Guide Restos Voir 2014”, una guida gastronomica canadese.

Da Caravaggio agli emoji

lapatatattira_rutacanotta-rossa

Maria Teresa Ruta nella pubblicità maliziosa delle patate.

L’argomento merita di essere approfondito anche per altre ragioni. I vegetali, pur essendo “nature morte”, hanno avuto un importante ruolo simbolico nella letteratura e nell’arte perché sono carichi di significati nel nostro immaginario: persino un genio come Caravaggio ha nascosto messaggi erotici sotto le spoglie di zucche, fichi, melograni e pesche, come racconto più sotto.
E questo avviene non solo in Italia (che è stata antesignana in questo campo), ma in quasi tutte le culture.
E oggi i vegetali sexy tornano in auge negli emoji, dove pesca e melanzana svolgono i ruoli di sesso femminile e maschile nelle chat e nei social network (Whatsapp, Twitter, Facebook, etc). Anche su questo tornerò più avanti.

Per raccontare la loro lunga storia, conviene innanzitutto partire dall’elenco completo di queste metafore, sia in italiano (la mia fonte è il “Dizionario storico del lessico erotico” di Valter Boggione e Giovanni Casalegno) che in altre lingue (se me ne sono sfuggite, vi chiedo aiuto: potete segnalarle nei commenti). Ho escluso da questi elenchi i nomi di alberi, piante e fiori, perché pur appartenendo al regno vegetale non sono in genere commestibili.
Per ogni zona erogena ho inserito un link un articolo dedicato, per chi vuole approfondire.

Pene (58)

italiano altre lingue
agresto, baccello, banana, brugnolo, cappella, cappero, cardo, cardone, carciofo, carota, cece, cetriolo, cicerchia, civaia, cucuzzola, ciliegia, cipolla, corniola,fagiolo, fava, favagello, fungo, fico, ghianda, glande, grano, grappolo, lupino, macerone, mandorla, martignone, melone, oliva, nespola, pannocchia, pastinaca, pesca, pigna, pisello, porro, pinocchio, popone, picio, pinca, pinco, radicchio, radice, ramolaccio, rapano, ravano, rapa, ravanello, scaffo, sorbo, tartufo, torsolo, tubero, veccia Portoghese: banana, mandioca  (manioca), nabo (rapa)

Testicoli (10)

italiano altre lingue
fagioli, ghiande, granelli, granelli, limoni, mandorle, marroni, prugne, pannocchie, verones (castagne cotte), zucche Inglese: cherries (ciliegie), grapes (uva), kiwi, nuts (nocciole)

Vulva (13)

italiano altre lingue
baccello, castagna, fica, fragola, frutto, mandorla, noce, oliva, pomo, prugna, primizia, riccio, zucca Francese: abricot (albicocca) prune (prugna), figue (fico)

Per il clitoride: cerise (ciliegia), framboise (fragola)
Portoghese: maçã (mela)

Seno (10)

italiano altre lingue
cocomero, fragola, frutto,mele, meloni, meloncini, more, pere, pomi, rapuccio  –

Sedere (12)

italiano altre lingue
anguria, cocomero, finocchio, grisomele, mela, melone, melangola, melarancio, meleto, melone, pesca, pomo  –

Letteratura e modi di dire

omdagen

Campagna svedese per promuovere il consumo quotidiano di vegetali.

Molte di queste metafore, dicevo, hanno avuto una notevole fortuna non solo nella lingua parlata ma anche in letteratura. In particolare 4 frutti:

1) il fico: è simbolo di abbondanza, e di fecondità perché contiene un latteOltre ad aver ispirato il termine fica, ha dato origine a un gestaccio “fare le fiche”: mimare l’atto sessuale infilando il pollice (fallo) fra indice e medio (la fica). Un gesto di disprezzo e di sopraffazione.

2) le pesche: per molto tempo, soprattutto fra 1500 e 1600, sono state una metafora molto usata per alludere al sedere. E proprio in questa prospettiva va interpretata un’ode satirica dello scrittore toscano, Francesco Berni, che nel 1521 scrisse “In lode delle pesche”, dove la pesca è metafora dei glutei. “O frutto sopra gli altri benedetto, buono inanzi, nel mezzo e dietro pasto; ma inanzi buono e di dietro perfetto!”. Avete capito bene: Berni allude proprio alla sodomia attiva e passiva, tanto che scrive pure: “io ho sempre avuto fantasia (…) che sopra gli altri avventurato [fortunato] sia, colui che può le pèsche dare [farsi sodomizzare] e tòrre [sodomizzare].
E Berni non manca di sottolineare quanto i preti dell’epoca fossero ghiotti di… quel frutto: Le pesche eran già cibo da prelati, ma, perché ad ogniun piace i buon bocconi, voglion oggi le pesche insino a i frati,  che fanno l’astinenzie e l’orazioni;

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Il doppio senso dei meloni nella campagna del canale Fx.

3) la mela: è simbolo di frutto desiderato, di premio, e anche del peccato. Anche se, bisogna ricordarlo, l’episodio biblico di Adamo ed Eva nella Bibbia non parla di mela, bensì genericamente di “frutto”; il melo è stato inserito nei commenti sacri secoli dopo, per la sua assonanza col male (malum).

4) il melograno: avendo molti semi è simbolo di fecondità, di discendenza numerosa; e ha un succo ricco e gustoso.

In generale, infatti, frutta e verdura hanno un’intima attinenza col sesso innanzitutto per la loro forma, che in molti casi ricorda quella degli organi sessuali. In realtà è una pareidolia, ovvero una sorta di illusione ottica: siamo noi a vedere forme sessuali in oggetti che di sessuale non hanno nulla. La malizia sta nell’occhio di chi guarda.
Pisello, fica, cetriolo, banana, patata evocano proprio le fattezze anatomiche dei genitali. Tanto che un proverbio non troppo allusivo dice: “Gira e rigira, il cetriolo va in culo all’ortolano” (chi vuol fare del bene finisce per essere danneggiato).

Simboli universali

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La pubblicità sexy del ketchup piccante Heinz.

Ed è per questo che i vegetali sono simboli universali di erotismo: non hanno bisogno di essere codificati (tradotti) in altre lingue, perché evocano direttamente il sesso, sotto le innocenti spoglie di vegetali. Ma non è solo questo il loro legame con l’erotismo: frutta e verdura sono simbolo di abbondanza, di fecondità, e anche simbolo di progenitura perché contengono i semi.
In più sono cibi, e il cibo è intimamente legato al sesso e all’oralità (il piacere di succhiare)… tanto che scopare in spagnolo si dice anche comer e in portoghese papar. Non a caso, diversi cibi hanno nomi ispirati al sesso, come raccontavo in questo post. In più, frutta e verdura erano i cibi dei poveri (nell’antichità la carne era lo status symbol di ricchezza) e anche questo spiega la loro diffusione nel linguaggio popolare.

NELL’ARTE

Con tutta questa ricchezza, era inevitabile che i vegetali entrassero nell’arte: nelle immagini, così come nel discorso parlato, possono contrabbandare temi scabrosi sotto le innocenti fattezze della natura. Prima ancora che Giuseppe Arcimboldo facesse le “teste composte”, ovvero i ritratti umani ottenuti combinando cibi, nel 1517 Giovanni Da Udine, aveva inserito – in una cornice degli affreschi di Raffaello su Cupido e Psiche – una zucca fallica, con due melanzane come testicoli, che penetra un fico (v. gallery qui sotto).
Un gioco che nel 1585
Niccolò Frangipane continuò in modo ben più diretto nella “Allegoria dell’autunno”: qui un satiro infila il dito della mano sinistra in un melone, mentre con la destra stringe una fallica salsiccia vicino ad alcune ciliegie. In pratica, il satiro rivela allo spettatore che cosa sta sognando il giovanetto al suo fianco. (v. gallery qui sotto).
Il terzo esempio è un quadro di Caravaggio (1601): “Natura morta con frutta”. Fichi, zucche e melograni aperti sono un’allusione a una femminilità abbondante e disponibile, su cui campeggia una zucca che sembra un pene eretto. E non mancano le pesche, che alludono invece ai glutei (v. gallery qui sotto).
Insomma, la natura morta a sfondo erotico è un’invenzione del Rinascimento italiano, come ha scritto in un interessante saggio lo  storico dell’arte statunitense John Varriano.

vaginaNon stupisce, con questi precedenti, che anche la pubblicità abbia usato questi stratagemmi per alludere al sesso in diverse campagne pubblicitarie, come potete vedere nelle foto di questo articolo.
Ma oggi c’è un nuovo modo di usare i vegetali per alludere al sesso: la “computer mediated communication”, ovvero lo stile di comunicazione che usiamo nell’informatica. In parole povere, gli emoji, le icone che usiamo sulle chat e i social network (ne ho parlato anche qui).
Quando sono state introdotte nel 2010, anche se c’era l’icona della banana, ha preso piede come simbolo sexy la melanzana. Perché? Perché negli Usa, Paese puritano, era un’icona ancora neutra, che poteva contrabbandare intenzioni maliziose senza destare sospetti, insieme alla pesca (per alludere alla vulva o al sedere: vedi immagine). Insomma, siamo ancora alla frutta…

Dedico questo post a Dario Fo, il primo giullare-Nobel ad aver pubblicato un libro sulle parolacce.

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La fenomenologia della banana https://www.parolacce.org/2014/08/06/la-banana-come-simbolo/ https://www.parolacce.org/2014/08/06/la-banana-come-simbolo/#respond Wed, 06 Aug 2014 09:00:56 +0000 https://www.parolacce.org/?p=5929 Manifestazioni di piazza e negli stadi. Attacchi sui giornali. Insulti politici e sportivi. E scandali: per aver tirato in ballo le banane, Carlo Tavecchio ha rischiato di non diventare presidente della Figc ed è stato condannato a 6 mesi di… Continue Reading

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esibizionistManifestazioni di piazza e negli stadi. Attacchi sui giornali. Insulti politici e sportivi. E scandali: per aver tirato in ballo le banane, Carlo Tavecchio ha rischiato di non diventare presidente della Figc ed è stato condannato a 6 mesi di squalifica dalla Uefa. Ma perché negli ultimi anni la banana è diventata un simbolo così potente?

La storia (culturale) della banana è piuttosto interessante, e riserva molte sorprese.

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La copertina di Warhol per i Velvet Underground.

L’uso della banana come simbolo fallico ha una lunga storia. Uno dei primi esempi fu, nel 1967, la copertina disegnata da Andy Warhol per “The Velvet underground & Nico”, un album rock. Sulla copertina del disco c’era una banana: non compariva né il nome del gruppo né quello della casa discografica, ma solo la firma dell’artista. Le prime copie del disco invitavano chi la guardava a “sbucciare lentamente e vedere” ; togliendo un adesivo si poteva vedere una banana rosa shocking, a ricordare un membro maschile. L’album, però, non fece scandalo perché la realizzazione di quella copertina risultò troppo dispendiosa e ne rallentò la produzione.

Nel 2000 fece successo una canzone degli anni ’60, “La banana”: un brano fortemente allusivo ma allegro, cantato dal cubano Michael Chacon: “el unico fruto del amor, la banana, la banana de mi amor”. Fu usato in uno spot della Peugeot e diventò un tormentone.

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La campagna anti-bullismo di Oliviero Toscani.

Un altro esempio creativo è una campagna di Oliviero Toscani contro il bullismo, commissionata nel 2009 dalla Provincia di Bolzano. Nel manifesto, l’uomo è rappresentato da una virile banana, e il bullo da un infantile pisello. Come dire che il vero macho non è il bullo. Due vegetali usati come simboli sessuali, e non sono gli unici: avevo già scritto qui che su 744 termini usati in italiano per descrivere l’organo sessuale maschile, il 13% sono vegetali (piante, frutti, verdure: ci sono anche la carota, il cetriolo, la fava, la pannocchia…).

Negli ultimi anni, però, la banana è diventata anche un simbolo di razzismo: l’idea è nata tra i tifosi di calcio inglesi, che nel 1987 tirarono una banana in campo a John Barnes, calciatore giamaicano che all’epoca giocava nel Liverpool. Un gesto di disprezzo, come dire: “sei una scimmia, mangiati questa banana”. Quando si vuole insultare un’altra persona, infatti, basta paragonarla a un animale (porco, somaro, cane, bestia, balena, troia, vacca, verme, pidocchio, vipera, oca, conigli, mollusco…), nella credenza – tutta da dimostrare – che gli animali siano inferiori a noi. Oltre al fatto che gli animali servono spesso a descrivere determinati tratti caratteriali umani: l’ostinazione, l’ottusità, la promiscuità, la codardia…

Da allora, gettare banane negli stadi (o esporre palloncini a forma di banana sugli spalti) è diventata un’abitudine virale: l’hanno fatto i tifosi dello Zenit di San Pietroburgo nei confronti dei giocatori africani dell’Olympique Marsiglia nel 2008, e poi la moda si è diffusa in tutto il mondo. Eppure, la banana non è affatto di origine africana: è nata in Asia, e in particolare in Nuova Guinea dove è stata domesticata, per poi diffondersi in Africa e in Europa frazie ai mercanti arabi. Arrivò nelle Americhe grazie ai colonizzatori portoghesi.

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“Furba come una scimmia: Taubira ritrova la banana”. Copertina di “Minute”, giornale francese di destra.

Ma tant’è: lanci sprezzanti di banane sono stati fatti nei confronti dell‘ex ministro Cecile Kyenge e del ministro della Giustizia francese Christiane Taubiria, sollevando forte indignazione.
Ma quest’anno c’è stato un calciatore che è riuscito a disinnescare questo meccanismo con l’ironia: il calciatore brasiliano Dani Alves (Barcellona), durante una partita contro il Villareal, ha raccolto dal campo di gioco una banana che gli era stata lanciata. E l’ha mangiata, continuando a giocare.

«Il razzismo è un problema. Ma bisogna prendere le cose con una dose di umorismo perché non è facile cambiare le cose, Se non diamo importanza a queste persone, non raggiungeranno il loro obiettivo». Un gesto semplice ma efficace, che ha spinto molti personaggi famosi – compreso il premier Matteo Renzi e l’ex ct Cesare Prandelli – a farsi fotografare mentre mangiavano una banana.

Dani Alves raccoglie la banana e la mangia. Alla faccia dei razzisti.

Dani Alves raccoglie la banana e la mangia. Alla faccia dei razzisti.

Ma ci sono altri usi simbolici della banana: negli anni del cinema muto, la persona che scivolava sulla buccia di banana era uno dei meccanismi comici più utilizzati.
E proprio su una “buccia di banana” è scivolato Tavecchio, che durante un’assemblea della Lega Dilettanti, parlando della facilità con cui i calciatori extracomunitari militano nelle squadre italiane, ha detto: «Le questioni di accoglienza sono un conto, quelle del gioco un’altra. L’Inghilterra individua dei soggetti che entrano, se hanno professionalità per farli giocare, noi invece diciamo che Optì Pobà (nome inventato, ndr) è venuto qua, che prima mangiava le banane, adesso gioca titolare nella Lazio e va bene così. In Inghilterra deve dimostrare il suo curriculum e il suo pedigree…».

La frase ha sollevato uno scandalo internazionale: persino la Fifa e l’Unione europea hanno stigmatizzato l’affermazione. Che aggiunge un ulteriore elemento di razzismo, secondo il quale chi mangia le banane è da disprezzare in quanto povero e non gastronomicamente evoluto. Un meccanismo di disprezzo che conosciamo bene: molti stereotipi razzisti si basano sullo stesso concetto: basti pensare a polentone (mangia polenta), spaghetti, maccarone, e ai tanti nomignoli con cui gli immigrati italiani sono stati dileggiati all’estero. Come tutti gli stereotipi, ingrandisce un dettaglio (in questo caso un’abitudine alimentare) per distorcere l’insieme.

Ma non finisce qui l’uso simbolico della banana: un uso spregiativo è nell’espressione “Repubblica delle banane”. Questo modo di dire ha una paternità precisa: il romanziere americano O. Henry (Williams Sydney Porter) che nel 1904 pubblicò “Re e cavoli”, una serie di racconti brevi. Uno di questi, “L’ammiraglio”, era ambientato nella repubblica di Anchuria, un paese immaginario la cui economia era completamente basata sulle esportazioni di banane. La situazione attira alcune grandi società statunitensi, che riescono a ottenere il monopolio delle banane corrompendo la classe politica. Il libro descrive l’Honduras, e molti altri Stati la cui economia era basata su una monocultura (caffè, banane, canna da zucchero): la produzione era nelle mani di una ristretta élite, che con l’aiuto dei militari gode dei profitti mentre il resto della popolazione rimane povera.

71ildittatoreIl termine è entrato nel vocabolario per indicare un regime dittatoriale e instabile, in cui le consultazioni elettorali sono pilotate, la corruzione è diffusa così come una forte influenza straniera (politica o economica).
Per estensione, il termine è usato per definire governi in cui un leader forte concede vantaggi ad amici senza grande considerazione delle leggi e mettendo alla porta coloro che non l’hanno appoggiato in senso economico o politico. La repubblica delle banane ha avuto molta fortuna: è stato usato da Pablo Neruda nel “Canto general”, da Gabriel García Márquez in “Cent’anni di solitudine”, e dal film di Woody Allen “Il dittatore dello Stato libero di Bananas” (1971). Senza contare “Banana republic”, disco dal vivo di Lucio Dalla e Francesco De Gregori (1979), e  il disegnatore Francesco Tullio Altan, che nelle sue vignette satiriche ritrae Silvio Berlusconi come “il Cavalier Banana”. Ecco com’è nato il personaggio: «Prima delle elezioni del 2001, Gianni Agnelli disse che non eravamo una Repubblica delle Banane. È vero, scrivevo io, non siamo una Repubblica delle Banane, ma del Cavalier Banana. La banana diventò così un segnale, un termometro».

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