Wikipedia | Parolacce https://www.parolacce.org L'unico blog italiano di studi sul turpiloquio, dal 2006 - The world famous blog on italian swearing, since 2006 - By Vito tartamella Thu, 04 Jan 2024 11:20:48 +0000 it-IT hourly 1 https://www.parolacce.org/wp-content/uploads/2015/06/cropped-logoParolacceLR-32x32.png Wikipedia | Parolacce https://www.parolacce.org 32 32 Parolacce: la “Top ten” dell’anno 2023 https://www.parolacce.org/2024/01/02/parolacce-anno-2023/ https://www.parolacce.org/2024/01/02/parolacce-anno-2023/#respond Tue, 02 Jan 2024 11:22:53 +0000 https://www.parolacce.org/?p=20176 Quali sono state le parolacce più notevoli del 2023, in Italia e nel mondo? Anche quest’anno ho preparato la classifica dei 10 insulti più emblematici dell’anno appena concluso. Un anno segnato, ancora una volta, da un’inflazione delle parolacce: si usano… Continue Reading

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Quali sono state le parolacce più notevoli del 2023, in Italia e nel mondo? Anche quest’anno ho preparato la classifica dei 10 insulti più emblematici dell’anno appena concluso. Un anno segnato, ancora una volta, da un’inflazione delle parolacce: si usano sempre più spesso, erodendo il loro potere espressivo. 

In Veneto, un bar a Castello di Godego, nel Trevigiano, ha cercato di frenare questa inflazione comminando multe (da 1 a 5 euro) per i clienti che bestemmiano: lo facevano già gli inglesi in età vittoriana, e i risultati si sono visti. Un provvedimento inutile, soprattutto per le imprecazioni che spesso sono una sorta di riflesso neurologico incontrollabile

Ecco perché, in questo scenario, risultano più apprezzabili quanti allargano lo sguardo, utilizzando espressioni meno inflazionate. Un esempio? Vincenzo De Luca. Il governatore della Campania, fra i personaggi pubblici, è fra i pochi che si preoccupano di perseguire una certa originalità e ironia quando devono criticare qualcuno. Ecco, ad esempio, quanto aveva affermato a proposito dell’ultimo festival di Sanremo: «Un festival di infelici, con gli sfessati, gli sciamannati, gli sfrantumati. Pensano di essere moderni. No, questi sono imbecilli. Un Festival di cafoni e volgari». Oppure il suo commento sarcastico su Mauro Corona, migrato dalla Rai a Rete4: «Spiace non poter più vedere quel Neanderthal, quel troglodita vestito come un capraio afgano, un cammelliere yemenita, sto male a immaginare che non avremo più quell’immagine di raffinatezza».  A riprova del fatto che la cultura (De  Luca è professore di storia e filosofia) è l’unico rimedio efficace contro gli insulti beceri e inflazionati. 

 Ecco dunque la mia “Top ten” con i 10 episodi volgari più emblematici e divertenti riportati dalle cronache nazionali e internazionali. Per sorridere e per riflettere. E’ la 16esima edizione: come in passato, ho selezionato gli episodi con 3 criteri: il loro valore simbolico, le loro conseguenze e la loro originalità. Buona lettura. E buon anno! 

La classifica 2023

1) CANTANTI

Gino Paoli: “lo spettacolo è una merda, emergono le cantanti che mostrano il culo”. 

Elodie: “Ci sono artisti che hanno scritto capolavori, ma nella vita sono delle merde”.

15 dicembre 2023

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IL FATTO
 

In occasione dell’uscita del suo libro autobiografico “Cosa farò da grande”, il Corriere della Sera intervista Gino Paoli, 89 anni. L’autore de “Il cielo in una stanza” “Sapore di sale” e “La gatta”, ripercorre diversi retroscena della sua lunga carriera. Il giornalista, Aldo Cazzullo, gli chiede perché, nel libro, scrive che “Lo spettacolo è un mondo di merda?”. Risposta. «è tutto apparenza. Oggi peggio di ieri. Ieri avevamo Mina e la Vanoni. Oggi emergono le cantanti che mostrano il culo».

Nient’altro. Nessun riferimento concreto a una cantante in particolare. Ma nel giro di poche ore  la cantante Elodie Di Patrizi, 33 anni, scrive su Twitter: «Ci sono artisti che hanno scritto capolavori, ma nella vita di tutti i giorni sono delle Merde, è così. Io preferisco essere una bella persona». 

Insomma una reazione spropositata che ha trasformato il pensiero generico di Paoli in un pesante attacco personale. Un caso clamoroso di “coda di paglia”: se Elodie non avesse reagito, nessuno avrebbe collegato a lei la frase di Paoli, che sarebbe passata inosservata come critica generica. Invece, con il suo tweet, ha acceso i riflettori su se stessa, facendo un clamoroso autogol con una reazione sproporzionata e un pesante attacco personale. E i suoi fan hanno ricordato che anche Ornella Vanoni (a suo tempo legata a Paoli) si esibiva in abiti provocanti.

Interpellato per una controreplica, Paoli ha precisato meglio il suo pensiero: «Oggi l’apparenza è più importante della sostanza. Non è importante quanto tu sia brava a cantare, ma che tu sia gradevole. Siamo nell’epoca dell’apparenza, l’importante è impressionare. Con questa mentalità Lucio Dalla non sarebbe mai diventato Dalla».

Giorni dopo, Striscia la notizia ha mandato sotto casa di Elodie un finto Gino Paoli (Ballandini) che le ha dedicato la canzone “Parigi con le gambe aperte” : “Pensiamo invece a lei, Io metterei il suo culo tra i trofei, Un culo bianco e tondo che non finiva mai, Meglio dei paradisi di Versailles.”

2) PAPALE PAPALE

Javier Milei: Bergoglioimbecille”, “comunistaepresenza maligna”

Papa Francesco: “attenti ai clown messianici”

Argentina, autunno 2023

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IL FATTO
 

La campagna elettorale per le ultime presidenziali in Argentina ha registrato un fatto clamoroso: il candidato ultraliberista Javier Milei  ha più volte attaccato duramente il suo connazionale papa Francesco. In diverse occasioni lo ha definito  “imbecille”; “Un gesuita con affinità con i comunisti assassini”, “un rappresentante del Male nella Casa di Dio”, uno che “porta avanti politiche ecclesiali di merda”. 

Mai un capo di Stato aveva attaccato così un leader religioso. Unica eccezione: l’ex presidente delle Filippine, Felipe Duterte, come raccontavo qui

Gli attacchi di Milei non sono passate inosservate: un documento congiunto firmato dal vescovo ausiliare e vicario generale di Buenos Aires, Gustavo Carrara, e da 71 sacerdoti del movimento dei “curas villeros” ha respinto le offese nei confronti di Bergoglio, ribadendo la necessità “di una politica a favore del bene comune, con la persona umana al centro”. Per i “curas villeros”, che si rifanno alla dottrina sociale della Chiesa, un candidato che afferma che “la giustizia sociale è un’aberrazione” rappresenta “un attacco diretto alla radice della fede“.

Papa Francesco si è ben guardato dal replicare. Anche se in un’intervista  all’agenzia di stampa nazionale argentina Telam ha criticato  i “pagliacci del messianismo” e i “pifferai magici”, respingendo  l’accusa di essere comunista. Quando vuole, il papa sa essere tagliente, come raccontavo qui.

Alla fine il 19 novembre Milei ha vinto le elezioni diventando presidente con il 55,69% dei voti. Forse, spenti i riflettori della campagna elettorale, i rapporti con il papa potranno proseguire su binari più rispettosi.

3) CINEMA

Barbie: “Lei sa fare di tutto. Lui sa solo come scopare”.

Francia, 16 giugno 2023

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IL FATTO
 

E’ uno dei film più visti del 2023: “Barbie”, di Greta Gerwig, ha portato sul grande schermo la celebre bambola bionda della Mattel. Ed è stato un successo al botteghino: è stato il secondo film più visto in Italia, ed è stato il 14° film più visto nella storia del cinema. Il film ha avuto un’intensa campagna promozionale, basata su trailer e poster. In quest’ultimo, lo slogan era (in italiano): “Lei può essere tutto ciò che vuole. Lui è solo Ken”.

La frase è stata tradotta in varie lingue. In francese è stata resa così: “Elle peut tout faire. Lui, c’est juste Ken”. Peccato che in francese “ken” è una parola gergale volgare che significa “scopare”. Lo scivolone è diventato virale sul Web. Alcuni hanno pensato a una svista, ma dato che il termine è così ampiamente conosciuto ai francofoni, è probabile si sia trattato di un doppio senso voluto, per attirare l’attenzione sul film. Un marketing malizioso.

4) ARTE

 Il dito medio fa il giro del mondo

Al Weiwei, 7 aprile 2023

 

 

 

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IL FATTO
 

Dal 1995, l’artista e attivista cinese Al Weiwei ha raccolto in Study of Perspective varie foto in cui mostra il dito medio ai luoghi  del potere, simboli di censura, coercizione, oppressione: da piazza Tiananmen alla Trump Tower di New York, fino al Reichstag di Berlino. 

Quest’anno Al Weiwei ha trasformato il progetto in un’opera collettiva grazie all’intelligenza artificiale: “Middle finger”. Si tratta di una piattaforma web nella quale i navigatori possono selezionare un luogo qualsiasi del mondo su Google Maps, posizionare la foto del dito medio dell’artista davanti all’obiettivo prescelto e scattare virtualmente una foto, per poi salvarla o condividerla sui social network utilizzando l’hashtag #studyofperspective. Le foto sono salvate (in forma anonima) e visionabili sulla piattaforma Middle Finger. Insomma, un vaffa su scala planetaria. «Spesso ci dimentichiamo di avere un dito medio. Penso sia giusto ricordare che questa parte del corpo può essere indirizzata contro qualcosa – un’istituzione o chi detiene un potere – per fargli sapere, e prendere coscienza noi stessi, che esistiamo», spiega Weiwei.

5) LA SENTENZA

P.Q.M. cazzo

Corte di Cassazione, Roma, 13 gennaio 2023

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IL FATTO
 

La sentenza è la n. 35183 del 2022 emessa dalla Suprema Corte di Cassazione, seconda sezione penale. La Corte respinge il ricorso di un imputato per truffa ai danni dello Stato per  la confisca di un’automobile (un’Opel Astra). Dopo aver elencato le considerazioni giuridiche del caso, i giudici hanno introdotto la decisione finale con la formula “P.Q.M.”, ovvero “per questi motivi”. A cui si è aggiunto “cazzo”: com’è possibile?

 AdnKronos, che ha dato per prima la notizia, ipotizza che possa essere stata colpa di un programma di dettatura vocale. Nel frattempo, l’errore è stato corretto nell’archivio della Suprema Corte. Ma da quel momento l’organo giudiziario  ha guadagnato il soprannome ironico “Corte di Cazzazione”.

6) LA PROVOCAZIONE

Vi do un miliardo di dollari se cambiate nome in “Cazzopedia”

Elon Musk, Twitter, 22 ottobre 2023

 

 

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IL FATTO
 

La proposta è arrivata su Twitter/X lo scorso autunno: il sanguigno imprenditore Elon Musk ha offerto 1 miliardo di dollari (circa 946 milioni di euro) a Wikipedia “se cambieranno il loro nome in Dickipedia”, cioè Cazzopedia. Nel post, oltre al proprio messaggio, Musk ha inserito anche una schermata della home page di Wikipedia, sulla quale è possibile vedere il messaggio di richiesta di donazioni del fondatore dell’enciclopedia online, Jimmy Wales.

“Vi siete mai chiesti perché la Wikimedia Foundation vuole così tanti soldi? Certamente non sono necessari per far funzionare Wikipedia – ha poi aggiunto Elon Musk – Potete letteralmente inserire una copia dell’intero testo sul vostro telefono! Quindi, a cosa servono i soldi? Le menti curiose vogliono sapere…”.

La provocazione di Musk è uscita dopo una serie di attacchi da parte di Wales, che contestava la gestione di Twitter/X: “Musk ha rimosso tutte le funzionalità principali che rendevano possibile distinguere i giornalisti veri da quelli falsi”, nel conflitto fra Israele e Palestina. Insomma, l’attacco svilente di Musk aveva tutta l’aria di voler distrarre il pubblico da una questione per lui imbarazzante: l’attendibilità delle informazioni su Twitter.

Nella sua risposta provocatoria, Musk ha anche aggiunto che la sua offerta sarebbe stata valida se Wikipedia avesse mantenuto il nuovo nome anche solo per un anno.
Wikipedia ha replicato che la sola versione inglese occupa 51 gigabytes di spazio, ma aggiungendo tutti i media e le lingue supportate si arriva a 428 Terabytes. “Non siamo finanziati dalla pubblicità, non addebitiamo costi di abbonamento e non vendiamo i tuoi dati.”, a differenza di X/Twitter, hanno risposto piccati.

 

7) INSULTI IN CONCERTO

Brian Molko: “Giorgia Meloni è pezzo di m*, fascista, razzista….vaffanculo!”. Denunciato

 

 

 

Nichelino, 11 luglio 2023

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IL FATTO
 

Nichelino. Allo Stupinigi Sonic Park (Torino), davanti ai cinquemila spettatori Brian Molko, il cantante e chitarrista dei Placebo, gruppo britannico di rock alternativo, ha insultato la premier Giorgia Meloni, parlando in italiano al microfono. Il pubblico ha applaudito. Perché il musicista l’abbia fatto rimane senza risposta.

A fine concerto la band è intervenuta anche a favore dell’accoglienza e della difesa dei figli delle coppie omosessuali. Il video del concerto è diventato virale. Al punto che la  Procura di Torino ha aperto un fascicolo di indagine per vilipendio delle istituzioni. Dopo qualche giorno è circolata la notizia che la premier stessa ha denunciato Molko per diffamazione.

8) STUPIDITA' ARTIFICIALE

Finocchiona? Un insulto. E Facebook censura

2 febbraio 2023

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IL FATTO
 

Il messaggio di censura di Facebook sulla finocchiona.

La finocchiona è un salume tipico della Toscana che si distingue per il suo sapore intenso e aromatico. Questa specialità viene preparata con carne di maiale macinata finemente, insaporita con sale, pepe nero e semi di finocchio selvatico, che le conferiscono il suo caratteristico gusto anice e leggermente dolce. Dopo la macinatura, la carne viene insaccata in budelli naturali e lasciata stagionare per diverse settimane o addirittura mesi.  

Pane e finocchiona è uno dei piatti creati da Interiora Design, il marchio dell’oste toscano Massimo Lanini, che ha deciso di portare a Bari vari panini a base di carne o insaccati. La sua campagna pubblicitaria era stata affidata all’agenzia barese LaboratorioCom, che aveva postato su Facebook una pagina per promuovere il panino alla finocchiona. Quasi subito la campagna è stata bloccata da Meta con un messaggio: “L’annuncio sembra insultare o prendere di mira categorie protette”.

Inutili le proteste: l’algoritmo non ha fatto distinzione fra il salume e l’omofobia, Alla fine Interiora Design ha scritto: “Caro Facebook, vorremo dirti che finocchiona”non è un insulto ma un insaccato tipico toscano! L’offesa sta nel non conoscere questa prelibatezza!”. Nel frattempo la vicenda è finita su tutti i giornali. Ed è stata ricordata in tv da Luciana Littizzetto durante una puntata di “Che tempo che fa”: “E meno male che non era una pubblicità di finocchiona e culatello, gli è andata bene!”

9) NOTE STONATE

Morgan: “Avete rotto il cazzo, coglioni! Frocio di merda!”

Selinunte, 27 agosto 2023

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IL FATTO
 

Selinunte. Morgan esegue concerto-lezione “Segnali di vita e di arte” dedicato a Franco Battiato, con cui aveva avuto un legame d’amicizia. A un certo punto, però, l’artista si allontana dalla scaletta e improvvisa un lungo brano al pianoforte, ispirato dalla suggestione del parco archeologico, mescolando Ravel e Luigi Tenco. Ma parte del pubblico non apprezza e gli chiede di eseguire invece brani di Battiato come da programma.

«Avete avuto abbastanza voi adesso – ha detto rivolgendosi al pubblico – Avete avuto troppo, perle ai porci si chiama questo, se non se ne vanno quei dementi io non canto». E rivolgendosi a chi lo aveva invitato a suonare, ha replicato: «Vai a casa tua, non te lo meriti lo spettacolo, sei molesto, sei venuto a rompere i coglioni». Aggiungendo: «Siete stupidi, la società è una merda», mentre dal pubblico si sono levate voci che lo invitavano a cantare. «Io sono un personaggio, andate a vedere Marracash, Fedez… frocio di merda, coglione!», ha continuato tra i “buu” che gli arrivavano dal pubblico.

Il giorno dopo, quando il caso è stato rilanciato dai giornali, Morgan ha detto: «Chiamatemi maleducato ma non sono omofobo. La mia reazione di ieri sera è stata ingiustificabile, una pessima caduta di cui mi scuso sinceramente», ha aggiunto l’artista. Che spiega la sua reazione: «E’ stata provocata dall’essermi sentito ferito nell’anima perché avevo appena dato tutto me stesso in una canzone improvvisata in quel luogo meraviglioso e commovente. L’avermi chiesto una cover di Battiato come fossi un jukebox, dopo una delle più ispirate performance della mia vita, mi ha letteralmente ucciso».

 E’ stato infatti l’epiteto “frocio” quello che ha fatto più scalpore. Morgan, dal canale di Red Ronnie, ha spiegato in un lungo video di aver usato quell’insulto perché è stato il primo che gli è venuto in mente, senza intenzioni omofobe. L’insulto comunque gli è costato caro: a settembre ha annunciato di aver devoluto metà del suo cachet di X Factor (100-150 mila euro) a favore di Casa Arcobaleno, un’associazione che si occupa di accoglienza nei confronti di giovani che, a causa del loro orientamento sessuale, sono stati allontanati e rifiutati dalle proprie famiglie. Insomma, Morgan è un artista di talento, soprattutto nel farsi male da solo.

10) AL MUSEO COME ALL'OSTERIA

Sgarbi: “storie di figa”, “conosciamo un solo organo, il cazzo”. 

Museo Maxxi Roma, 21 giugno 2023

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IL FATTO
 

La serata doveva essere un faccia a faccia tra Morgan e Sgarbi sui rispettivi gusti e passioni, un confronto aperto tra parole e note suonate al pianoforte. Ma poi, stuzzicato dalle domande di Morgan, Sgarbi ha cominciato a parlare della sua vita sessuale, con stime numeriche sul numero di donne avute. E da quel momento in poi la situazione è degenerata: «Lo scrittore Houellebecq dice che c’è un momento della vita in cui noi conosciamo un solo organo: il cazzo», ha detto tra l’altro Sgarbi. «Il cazzo è un organo di conoscenza, cioè di penetrazione, serve a capire».  Ma poi «arrivi a 60 anni devi fare i conti con questa troia, puttana di merda, la prostata». Poi, ricordando Berlusconi, ha parlato del suo amico Apicella «condannato per questioni di figa. Non si capisce poi perché, uno che suona viene condannato, non si capisce perché. Ma i magistrati vanno così: Apicella suona, suonava, è stato condannato perché l’ha pagato. Cazzo, sarò pagato non perché sto con la figa». 

I video dell’intervento sono diventati virali. Inizialmente Sgarbi si è difeso dicendo che «Scandalizzarsi delle provocazioni significa rinnegare l’arte contemporanea». Ma è davvero arduo definire “arte” le sue battute.

Infatti il caso non si è affatto chiuso Giorni dopo l’incontro, Repubblica ha pubblicato una lettera indirizzata al direttore del Maxxi Alessandro Giuli e firmata da 43 dipendenti sui 49 totali del museo, in gran parte donne. Nella lettera si chiedeva di tutelare la dignità del museo e venivano criticati gli interventi di Sgarbi e Morgan, con la spiegazione che «in nessun modo collimano con i valori che da sempre hanno contraddistinto il nostro lavoro all’interno di questa istituzione». 

Sulla vicenda è intervenuto anche il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, che in una lettera aperta a Giuli ha preso le distanze dalle «manifestazioni sessiste e dal turpiloquio» dell’incontro con Sgarbi, definendo quanto accaduto «inaccettabile: quella non è cultura». Alla fine lo stesso Giuli si è scusato: «Mi sento di sottoscrivere completamente e convintamente le osservazioni del ministro Sangiuliano, e cioè che il turpiloquio e il sessismo non possono avere diritto di cittadinanza nel discorso pubblico e in particolare nei luoghi della cultura. Non ho alcuna difficoltà a dirmi rammaricato e a chiedere scusa anche alle dipendenti e ai dipendenti del Maxxi con le quali fin dall’inizio ho condiviso questo disagio […] e a tutte le persone che si sono legittimamente sentite offese da una serata che sui presupposti doveva andare su un altro binario», ha aggiunto Giuli.
L’episodio dimostra che le parolacce non possono essere pronunciate in qualunque contesto: chi trasgredisce questa regola non fa una semplice trasgressione, ma va a infrangere gli assi portanti del rispetto e della convivenza civile.

La mia “Top ten” è stata rilanciata da AdnKronos , La Gazzetta del Mezzogiorno, Libero, La svolta, La ragione, Sicilia reportCorriere della Sardegna, Quotidiano di Bari, Affari italianiMagazine ItaliaOggi Treviso, Informazione.it, Centro studi americaniCrema oggi, Sanremo news, Sbircia la notizia, Vetrina tv, Occhioche.it, L’identità, ViverePesaro, Trash italianoBasilicata veraVivere Senigallia, Vivi centro, Cronache di Milano , La città di Roma, Tf news, Olbia notizie, OglioPo news, Italy24 press spanish , Il dubbio , identità.it, I like Puglia , Giornale dell’Umbria, il Millimetro , Tvsette , Radio Colonna

Se volete leggere le classifiche degli ultimi 15 anni, potete cliccare sui link qui di seguito: 2022, 2021, 2020, 2019,  2018, 2017, 2016, 2015, 2014, 2013, 2012, 2011, 2010,  2009 e 2008.

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Le parolacce di De Andrè: un poeta ribelle https://www.parolacce.org/2019/02/18/studio-parolacce-canzoni-de-andre/ https://www.parolacce.org/2019/02/18/studio-parolacce-canzoni-de-andre/#respond Mon, 18 Feb 2019 10:41:34 +0000 https://www.parolacce.org/?p=15275 È stato uno dei più grandi poeti italiani del ‘900, e le sue canzoni sono state studiate in ogni aspetto. Tranne uno: le parolacce. Ma non sono state marginali nella sua opera: anzi, sono state così rilevanti da aver contribuito… Continue Reading

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Fabrizio De Andrè (1940-1999, foto Wikipedia).

È stato uno dei più grandi poeti italiani del ‘900, e le sue canzoni sono state studiate in ogni aspetto. Tranne uno: le parolacce. Ma non sono state marginali nella sua opera: anzi, sono state così rilevanti da aver contribuito al suo successo. Come ricorda Ivano Fossati, «Al liceo ascoltavamo i dischi di Fabrizio De Andrè. Quello che ci piaceva delle sue canzoni è che c’erano le parolacce».
Eppure, le volgarità di De Andrè non sono mai state studiate in dettaglio. Come se fossero un incidente, o un aspetto trascurabile rispetto al lessico, indubbiamente raffinato, dei suoi testi. Ma la scelta di usare il linguaggio basso non è stata un caso. Perché De Andrè metteva una cura maniacale nella scelta di ogni singolo termine, come ricorda Fossati: «Lui sa benissimo che dietro ogni parola c’è una responsabilità, bisogna dire le cose che si condividono realmente. E allora la scelta di un termine, di un sostantivo, di un aggettivo, poteva prendere anche tre giorni». Dunque, se il cantautore genovese ha inserito termini volgari nei suoi testi, l’ha fatto con una scelta mirata e meditata.
D’altra parte, per una persona che amava senza snobismo la cultura popolare, la schiettezza e il realismo, le parolacce hanno rappresentato uno strumento molto efficace, persino in testi raffinati e complessi come i suoi. Insomma, è uno dei pochi artisti che è riuscito a fare poesia alta anche usando il linguaggio basso. Del resto, come egli stesso diceva, “dal letame nascono i fior“.

Per questi motivi ho deciso di fare la prima analisi lessicale sul turpiloquio di De Andrè, studiando tutte le 125 canzoni scritte nella sua carriera. Il risultato è stato sorprendente: ho scoperto che De Andrè ha usato più di 30 diversi termini scurrili, che sono presenti in una canzone su 4. Dunque, le parolacce arricchiscono in modo straordinario la sua tavolozza espressiva, tanto che molte di queste strofe “a tinte forti” sono passate alla storia, come ricorderò più sotto. E rivelano in modo efficace la sua personalità e il suo mondo artistico.
Ho pensato, quindi, che questo studio lessicale fosse un buon modo per ricordare De Andrè, un musicista che ho amato immensamente, nel  20° anniversario della sua scomparsa.

Per questa ricerca ho consultato 3 fonti principali: la voce di Wikipedia su Fabrizio De Andrè, e gli ottimi libri “Falegname di parole” di Luigi Viva (Feltrinelli, 2018) e Fabrizio De Andrè: il libro del mondo” di Walter Pistarini (Giunti, 2018).

Un ribelle che parlava sporco

De Andrè con Paolo Villaggio (a destra, Wikipedia)

Le parolacce non sono entrate per caso nei dischi di De Andrè. Da giovane, infatti,  aveva un linguaggio sboccato, come ha raccontato egli stesso. Ecco come ricorda il suo primo incontro, nel 1948, con Paolo Villaggio (altro mago delle parolacce, come racconto qui): «L’ho incontrato per la prima volta a Pocol, sopra Cortina; io ero un ragazzino incazzato che parlava sporco; gli piacevo perché ero tormentato, inquieto e lui lo era altrettanto, solo che era più controllato, forse perché era più grande di me e allora subito si investì della parte del fratello maggiore e mi diceva: “Guarda, tu le parolacce non le devi dire, tu dici le parolacce per essere al centro dell’attenzione, sei uno stronzo”».
Dunque, De Andrè si definisce «un ragazzo incazzato, che parla sporco e tormentato». E fin da giovane, scriveva canzoni: «Sono sempre stato un inguaribile romantico e insieme un gran polemico, ce l’ho sempre avuta con le ingiustizie della società, con l’ipocrisia; e siccome avevo bisogno di sfogarmi, scrivevo delle storielle che poi mettevo in musica e accompagnavo con la chitarra, togliendomi la gran soddisfazione di dire ciò che pensavo veramente». Per De Andrè, insomma, le canzoni erano un modo di far polemica, di contestare le ingiustizie della società (non a caso, studiò legge all’università). E le parolacce sono proprio il linguaggio della protesta e della polemica, come ci ha mostrato la politica degli ultimi 30 anni in Italia, come raccontavo qui.
Un altro indizio importante è che De Andrè odiava l’ipocrisia: e, da sempre, il turpiloquio è il linguaggio della spontaneità, un modo – rude – di chiamare le cose per quello che sono (come ricordavo qui).

Le statistiche: volgare una canzone su 4

Le parolacce nella discografia di De Andrè (clic per ingrandire).

Dunque, nella vita De Andrè parlava sporco. Come si è concretizzato questo aspetto nelle canzoni? Ho fatto un’analisi lessicale della sua produzione: 125 canzoni in 14 album (più 2 singoli. “Una storia sbagliata” e “Titti”) che ha pubblicato in 41 anni di attività. Ho censito solo gli inediti, escludendo i “live”, le raccolte e “I viaggi di Gulliver” (perché i testi non sono suoi). Il risultato è sorprendente: ho censito 33 diversi lemmi volgari, presenti in 62 strofe. Un dizionario ben nutrito, di cui parlerò più avanti. Queste espressioni sono presenti in 29 delle 125 canzoni: il 23,2%, quasi una canzone su 4 contiene volgarità.
E c’è stata un’evoluzione storica: negli anni ‘60 ne ha usate solo 11, che sono salite a 15 negli anni ‘70, ma i picchi si sono registrati nell’ultima parte della sua carriera: 16 parolacce negli anni ‘80, tutte concentrate nell’album in genovese “Crueza de ma”, e 19 negli anni ‘90 in due album.
Per ogni decennio, una media di 15 parolacce, ma con concentrazioni ben diverse: negli anni ‘60 e ‘70 viaggiava a 2-3 parolacce ad album, ma nel ventennio successivo è salito a 8-9,5 parolacce ad album.

Le statistiche principali delle scurrilità di De Andrè (clic per ingrandire).

Da questa analisi emergono altre curiosità: l’album con più canzoni volgari è del 1971, “Non al denaro non all’amore né al cielo” (5). E la canzone più densa di espressioni scurrili è “A DUMENEGA” (10), in genovese.
I lemmi volgari (di cui più in basso trovate l’elenco completo, strofa per strofa) sono 33 in 62 strofe. E’ una tavolozza molto varia: solo 8 hanno una frequenza di 3 volte o superiore. Sono questi: belìn (cazzo), (culo): 6; idiota: 4, bagascia (puttana), carogna, cornuto, porco, puttana: 3. Approfondirò più avanti il significato di questi usi prevalenti.
Ma il dato più interessante di tutti è il tipo di parolacce: la maggior parte (55%) sono insulti, seguiti da termini sessuali (34%). Hanno invece un ruolo marginale i modi di dire (6%), i termini escrementizi (3%) e le maledizioni (2%: il vaffa, per intenderci).

LE PAROLACCE PIÙ FAMOSE

Via del Campo a Genova, con una targa dedicata a De Andrè.

Una delle scurrilità più famose risale ai primi dischi di De Andrè, e si trova nel brano “VIA DEL CAMPO”, del 1967. Il testo descrive uno dei vicoli più malfamati nella Genova degli anni Sessanta, perché rifugio di prostitute, travestiti e gente povera, ossia quegli “ultimi” ai quali il cantautore genovese ha sempre prestato particolare attenzione nei suoi brani. Dopo un inizio molto poetico (“Via del Campo c’è una graziosa, gli occhi grandi color di foglia”), la terza strofa è come un pugno nello stomaco:  Via del Campo c’è una puttana, gli occhi grandi color di foglia, se di amarla ti vien la voglia, basta prenderla per la mano”. Il cambio di registro è sottolineato, musicalmente, da un cambio di tonalità: si sale di un tono e mezzo, passando dal la minore al do minore. In questo modo, la parolaccia raddoppia la sua efficacia, aggiungendo un crudo realismo a una descrizione che rimane garbata. Un risultato non facile da ottenere.

Un’altra strofa a tinte forti che è passata alla storia si trova in “UN GIUDICE” (1971). Il brano racconta di un giudice che si compiace del potere di essere “arbitro in terra del bene e del male” come forma di vendetta per l’emarginazione e il dileggio che ha subìto a causa della sua bassa statura. Il testo a un certo punto dice: “La maldicenza insiste, batte la lingua sul tamburo, Fino a dire che un nano è una carogna di sicuro, Perché ha il cuore troppo, troppo vicino al buco del culo”. Anche in questo caso, la parolaccia, inserita al termine di una strofa con uno stacco musicale, ha una grandissima efficacia anche sonora, perché è un improvviso cambio di registro che non passa inosservato.
La canzone, com’è noto, è ispirata all’Antologia di Spoon River (1915) di Edgar Lee Masters,che in Italia fu tradotta da Fernanda Pivano. A lei che gli domanda, nelle note di copertina, come mai abbia usato parole di un linguaggio contemporaneo quasi brutale, De Andrè ha risposto così: «Anche il vocabolario al giorno d’oggi è un po’ cambiato, e io ero spinto soprattutto dallo sforzo di spiegare il vero significato di queste cose. Quanto alla definizione del giudice, questo è un personaggio che diventa una carogna perché la gente carogna lo fa diventare carogna: è un parto della carogneria generale. Questa definizione è una specie di emblema della cattiveria della gente».

Arriviamo poi nel 1984 per ascoltare il brano di De Andrè che ha il numero più alto di parolacce (10) presenti, seppur mitigate dall’uso del genovese: “Ä DUMÉNEGA”. Il brano parla della passeggiata domenicale delle prostitute genovesi, che fino al 1800 erano emarginate, anche se grazie alle loro tasse il Comune riusciva a pagare i lavori del porto. Così la domenica il popolino esce “a guardare le figlie del diavolo, che cazzo di lavoro che cazzo di lavoro”. E le insulta, elencando le loro specialità a seconda delle zone: “a Pianderlino succhia cazzi, alla Foce cosce da schiaccianoci, in Carignano fighe di terza mano, e a Ponticello gli mostrano l’uccello”. Fra quanti le offendono, c’è anche il direttore del porto, il direttore del porto “che ci vede l’oro in quelle chiappe a riposo dal lavoro. Per non fare vedere che è contento, che il molo nuovo ha il finanziamento, si confonde nella confusione con l’occhio pieno di indignazione, e gli grida gli grida dietro: “bagasce siete e ci restate”. Ma a svelare la sua ipocrisia e a rimetterlo al suo posto ci pensa lo stesso De Andrè: “brutto stronzo di un portatore di Cristo, non sei l’unico che se ne è accorto che in mezzo a quelle creature che si guadagnano il pane da nude c’è c’è c’è c’è c’è anche tua moglie”.

Copertina di “Le nuvole” (1990).

Si stacca, invece, dagli altri brani a sfondo erotico, un’altra canzone storica: “LA DOMENICA DELLE SALME” (1990). E’ un brano politico, onirico e denso di immagini, è una descrizione allusiva del clima dell’Italia di quegli anni. Come racconta il coautore Mauro Pagani: “è la descrizione lucida e appassionata del silenzioso, doloroso e patetico colpo di Stato avvenuto intorno a noi senza che ci accorgessimo di nulla, della vittoria silenziosa e definitiva della stupidità e della mancanza di morale sopra ogni altra cosa. Della sconfitta della ragione e della speranza”. La canzone è sostanzialmente un’invettiva, un urlo di dolore indignato sulla società e la politica. E come Dante Alighieri usò il lessico basso per esprimere un analogo urlo nel “Purgatorio” (“Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!”) anche De Andrè non si risparmia. Dice dei polacchi che “rifacevano il trucco alle troie di regime”: un riferimento, spiegò, “alla nostra bella società capitalistica; ex comunisti pronti a convertirsi il prima possibile per dimenticare un passato troppo ingombrante (ed esserne così dispensati l’anno dopo)”. Più avanti parla del “ministro dei temporali, in un tripudio di tromboni, auspicava democrazia con la tovaglia sulle mani e le mani sui coglioni”. Durante il colpo di Stato strisciante, i politici che lo hanno in qualche modo appoggiato se non organizzato auspicano, ovviamente, una “loro” democrazia. Per timore che questa venga davvero, fanno il gesto scaramantico di toccarsi i testicoli: un modo per descrivere la volgarità dei loro pensieri, prima ancora che dei loro gesti.
Poi De Andrè canta della “scimmia del quarto Reich che ballava la polka sopra il muro”, un riferimento ai rigurgiti neonazisti in Germania. Aggiungendo che “mentre si arrampicava, le abbiamo visto tutti il culo”, ovvero la sua repellente fragilità. C’è anche un riferimento ai cantanti, che invece di denunciare le storture di questa epoca si sono venduti ai vari potenti di turno, dai comunisti ai leghisti (longobardi): per questo sono stati abbandonati in malo modo dal pubblico (ci guardarono cantare per una mezz’oretta, poi ci mandarono a cagare”). Le loro “voci potenti”, aggiunge con amara autoironia, sarebbero state “adatte per il vaffanculo”. Una specie di profezia del movimento 5 stelle, che ha esordito proprio con un “Vaffa day”.

La copertina di “Anime salve” (1996)

L’ultimo, celebre brano scurrile è “PRINÇESA(1996). E’ la storia di un transessuale realmente esistito, Fernandinho Farias de Albuquerque detto “Prinçesa” perché, nel ristorante dove lavorava, sapeva cucinare il filetto alla parmigiana in modo sublime. De Andrè racconta il suo dramma con termini realisticamente crudi, fin dalla prima strofa: “Sono la pecora sono la vacca, Che agli animali si vuol giocare, Sono la femmina camicia aperta, piccole tette da succhiare”. Quando deve descrivere i suoi rapporti sessuali, tuttavia, De Andrè preferisce prendere le distanze con un linguaggio alto: “Dove tra ingorghi di desideri, alle mie natiche un maschio s’appende, nella mia carne tra le mie labbra, un uomo scivola, l’altro si arrende”. Ma poi torna a descrivere, senza giri di parole, il sogno di Fernandinho di diventare donna: “davanti allo specchio grande Mi paro gli occhi con le dita a immaginarmi tra le gambe una minuscola fica”. Anche in questo caso, la parolaccia, fortissima, giunge inaspettata alla fine della strofa, seguita da un breve intermezzo strumentale come a lasciarla sedimentare (o addolcire) nell’ascoltatore.

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DE ANDRÈ, TUTTE LE PAROLACCE STROFA PER STROFA

Ecco l’elenco di tutte le parolacce di De Andrè, strofa per strofa.

PAROLACCIA E STROFA CANZONE ALBUM
bagascia (puttana)
bagasce sëi e ghe restè (bagasce siete e ci restate) A dumenega Crêuza de mä
sultan-a de e bagasce (sultana delle troie) Jamin-a Crêuza de mä
e ‘nte l’àtra stànsia è bagàsce a dà ou menù (e nell’altra stanza le bagasce a dare il menù) Megu megùn Le nuvole
becchino
i becchini ne raccolgono spesso fra la gente che si lascia piovere addosso. Canzone del padre Storia di un impiegato
signor becchino mi ascolti un poco Il testamento Volume III
belìn (cazzo)
o belin che festa o belin che festa (cazzo che festa cazzo che festa) A dumenega Crêuza de mä
che belin de lou che belin de lou (che cazzo di lavoro, che cazzo di lavoro) A dumenega Crêuza de mä
a Ciamberlinú sûssa belin (a Pianderlino succhia cazzi) A dumenega Crêuza de mä
a sfurtûn-a a l’è ‘n belin ch’ù xeua ‘ngiu au cû ciû vixín  (la sfortuna è un cazzo che vola intorno al sedere più vicino) Sinàn capudàn pascià Crêuza de mä
Uh che belin de ‘n nolu che ti me faièsci fa (Uh che cazzo di contratto mi faresti fare) Megu megùn Le nuvole
a sfurtûn-a a l’è ‘n grifun ch’u gia ‘ngiu ä testa du belinun (la sfortuna è un avvoltoio
che gira intorno alla testa dell’imbecille)
Sinàn capudàn pascià Crêuza de mä
bordello
E Maggie uccisa in un bordello dalle carezze di un animale La collina Non al denaro non all’amore né al cielo
cagare
poi ci mandarono a cagare La domenica delle salme Le nuvole
calaba (casino)
nu l’è l’aaegua de ‘na rammâ ,n calaba ‘n calaba (Non è l’acqua di un colpo di pioggia
(ma) un gran casino, un gran casino)
Dolcenera Anime Salve
carogna
Tanto più che la carogna è già abbastanza attenta Morire per delle idee Canzoni
fino a dire che un nano e’ una carogna di sicuro, Un giudice Non al denaro non all’amore né al cielo
conoscemmo anzitempo la carogna che ad ogni ambito sogno mette fine Recitativo (corale) Tutti morimmo a stento
casin (casino)
veuggiu anâ a casín veuggiu anâ a casín (voglio andare a casino voglio andare a casino) A dumenega Crêuza de mä
cialtrone
ciò detto agì da gran cialtrone Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers Volume I
coglioni
auspicava democrazia con la tovaglia sulle mani e le mani sui coglioni La domenica delle salme Le nuvole
però bisogna farne altrettanta per diventare così coglioni Nella mia ora di libertà Storia di un impiegato
cornuto
e rivolgendosi alle cornute, le apostrofò con parole argute Bocca di rosa Volume I
briganti, papponi, cornuti e lacchè Don Raffaè Le nuvole
con tanti auguri per chi c’è caduto di conservarsi felice e cornuto Il testamento Volume III
cretino
sian furbi o siano cretini li fulminerà. Girotondo Tutti morimmo a stento
cù (culo)
a sfurtûn-a a l’è ‘n belin ch’ù xeua ‘ngiu au cû ciû vixín  (la sfortuna è un cazzo che vola intorno al sedere più vicino) Sinàn capudàn pascià Crêuza de mä
se ti gii ‘a tèsta ti te vèddi ou cù (se giri la testa ti vedi il culo) Megu megùn Le nuvole
e mentre si arrampicava le abbiamo visto tutti il culo La domenica delle salme Le nuvole
perché ha il cuore troppo troppo vicino al buco del culo. Un giudice Non al denaro non all’amore né al cielo
e a un dio fatti il culo non credere mai. Coda di lupo Rimini
e pa lu stantu ponimi la faccia in culu. (e nel frattempo mettimi la faccia in culo.) Zirichiltaggia Rimini
fica
tra le gambe una minuscola fica Prinçesa Anime Salve
galûsciu (stronzo)
bruttu galûsciu de ‘n purtòu de Cristu (brutto stronzo d’un portatore di Cristo) A dumenega Crêuza de mä
idiota
Quando scadrà l’affitto di questo corpo idiota Cantico dei drogati Tutti morimmo a stento
Con l’idiota in giardino ad isolare le tue rose migliori Canzone per l’estate Volume 8
Son morto in un esperimento sbagliato, proprio come gli idioti che muoion d’amore. Un chimico Non al denaro non all’amore né al cielo
Intellettuali d’oggi, idioti di domani Il bombarolo Storia di un impiegato
infame
Tutto il giorno con quattro infamoni, Don Raffaè Le nuvole
loèugu (cesso)
loèugu de ‘n spesià (cesso d’un farmacista) Megu megùn Le nuvole
mussa (fica)
fatt’ammiâ Jamin-a roggiu de mussa pin-a (fatti guardare Jamina, getto di fica sazia) Jamin-a Crêuza de mä
in Caignàn musse de tersa man (in Carignano fiche di terza mano) A dumenega Crêuza de mä
nèsciu (scemo)
Na carèga dùa nèsciu de ‘ n turtà (Una sedia dura, scemo di un tortaio) Megu megùn Le nuvole
öxellu (uccello)
e in Puntexellu ghe mustran l’öxellu (e a Ponticello gli mostrano l’uccello) A dumenega Crêuza de mä
pappone
briganti, papponi, cornuti e lacchè Don Raffaè Le nuvole
piscia
in quel pozzo di piscio e cemento Khorakhanè Anime Salve
porco
cianciare ancora delle porcate mangiate in strada nelle ore sbagliate La collina Non al denaro non all’amore né al cielo
“E’ mai possibile, porco d’un cane,
che le avventure in codesto reame
Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers Volume I
ti me perdunié se nu riûsciò a ésse porcu cumme i teu pensë (mi perdonerai se non riuscirò a essere porco come i tuoi pensieri Jamin-a Crêuza de mä
puttana
Via del Campo c’è una puttana Via del campo Volume I
ad ogni fine di settimana sopra la rendita di una puttana Il testamento Volume III
che le avventure in codesto reame debban risolversi tutte con grandi puttane. Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers Volume I
scciappe (chiappe)
nte quelle scciappe a reposu da a lou (in quelle chiappe a riposo dal lavoro) A dumenega Crêuza de mä
scemo
Lo costrinse a viaggiare una vita da scemo Un blasfemo Non al denaro non all’amore né al cielo
si divide la piazza tra un villaggio che ride e te, lo scemo, che passa, Un matto (dietro ogni scemo c’è un villaggio) Non al denaro non all’amore né al cielo
sputtanare
è una storia un po’ sputtanata o è una storia sbagliata Una storia sbagliata Fabrizio De Andrè
tette
sono la femmina camicia aperta, piccole tette da succhiare Prinçesa Anime Salve
e a stu luciâ de cheusce e de tettín (e a questo dondolare di cosce e di tette) A dumenega Crêuza de mä
troia
Vostro Onore, sei un figlio di troia, Canzone del padre Storia di un impiegato
rifacevano il trucco alle troie di regime La domenica delle salme Le nuvole
vacca
Sono la pecora sono la vacca Prinçesa Anime Salve
vaffanculo
voi avevate voci potenti adatte per il vaffanculo La domenica delle salme Le nuvole
xàtta (pappone)
tùtti sùssa rèsca da ou xàtta in zù (tutti succhiatori di lische dal pappone in giù) Megu megùn Le nuvole

Gli argomenti: insulti e sesso

Ecco la statistica dettagliata dei termini volgari, suddivisi per tipologia:

insulti: 18 termini, 34 ricorrenze idiota: 4 volte

bagascia (puttana), carogna, cornuto, porco, puttana: 3 volte

becchino, scemo, troia: 2 volte

cialtrone, cretino, galûsciu (stronzo), infame, nèsciu (scemo), loèugu (cesso), pappone, vacca, xàtta (pappone): 1 volta

sesso: 8 termini, 21 ricorrenze belìn (cazzo), (culo) : 6 volte

coglioni, mussa (fica), tette: 2 volte

fica, öxellu (uccello), scciappe (chiappe): 1 volta

enfasi, modi di dire: 4 termini, 4 ricorrenze bordello, calaba (casino), casin (casino), sputtanare: 1 volta
maledizioni: 1 termine, 1 ricorrenza vaffanculo: 1 volta

Copertina di “In direzione ostinata e contraria” (2005, antologia)

La maggior parte delle parolacce, quindi sono insulti. E questo non stupisce: nelle sue canzoni, De Andrè prende posizione apertamente, e gli insulti non sono altro che giudizi sommari di condanna verso una persona nella sua totalità. Ma che genere di insulti preferiva De Andrè? Quelli che disprezzano la mancanza di intelligenza (5): idiota, scemo, cialtrone, cretino, nèsciu. Ma ha altrettanto peso il disprezzo per chi si comporta in modo scorretto (4): cialtrone, carogna, galûsciu, infame. Sono tutti insulti che squalificano personaggi tronfi, disonesti, ignoranti.
E poi c’è una serie di insulti sulla morale sessuale: 4 sulle prostitute (puttana, bagascia, vacca, troia), e i corrispettivi maschili che designano i sessuomani (porco) e gli sfruttatori delle prostitute (pappone, xàtta).
Ma attenzione: come molti sanno, De Andrè frequentava le prostitute, e almeno con una si fidanzò («Prima di incontrare mia moglie ho conosciuto e amato, molto amato, una donna di strada. Però sono stato vigliacco e ipocrita: ecco, qui sono rimasto borghese. No, non l’avrei mai sposata»). Quindi di certo non le disprezzava: anzi, di loro diceva che «Sono semplici, spontanee, hanno le loro grandi crisi ma si spaccano come meloni, sono aperte e non piangono mai». Il termine spregiativo “puttana”, in realtà, è usato per incarnare la morale comune (la “morale borghese”, come la chiamava). Ed è anche un modo crudo di descrivere un mestiere crudo.

Ma quale peso hanno, in media, le volgarità scelte da De Andrè? Sappiamo che le parolacce non sono tutte uguali: alcune hanno un impatto più forte di altre, come ho mostrato col volgarometro. Difficile però valutare le scelte lessicali di De Andrè: se si escludono “coglioni”, “vaffanculo”, “puttana” e “idiota”, i termini volgari in genovese – nella sua percezione personale – li considerava meno pesanti. «A Genova, chiunque dica mussa o belìn non provoca alcuno scandalo, ma se lo dici in italiano casca il mondo». Dunque, nella sua ottica, ha usato per lo più scurrilità di intensità media.

DENUNCE E CENSURE

Copertina di “Carlo Martello torna dalla battaglia di Poitiers” (1962).

Inserire parolacce nelle canzoni non è indolore. Soprattutto in passato, quando la sensibilità verso le parole forti era molto più alta rispetto a oggi. E così De Andrè ha avuto qualche grattacapo legale: una delle sue prime canzoni, “CARLO MARTELLO RITORNA DALLA BATTAGLIA DI POITIERS” (1962) è un brano goliardico, che racconta, sotto l’apparente veste di una ballata celebrativa, il ritorno vittorioso dalle gloriose gesta belliche contro i Mori. Ma il re dei franchi quando vede una pastorella, la vuole concupire, scoprendo poi che è una prostituta. Al che Martello sbotta in un «È mai possibile, o porco di un cane, che le avventure in codesto reame debban risolversi tutte con grandi puttane». Il verso fu denunciato per oscenità, ma nel 1968 De Andrè fu assolto  “perché il fatto non sussiste”. Il commento di De Andrè è illuminante sul suo uso delle parolacce come forma di sincerità: “Definire pornografica una pagina come Carlo Martello è inammissibile. A meno che per pornografia non si intenda chiamare le cose col loro vero nome, rifiutando l’ipocrisia dei doppi sensi e delle metafore. Con questa canzone ho voluto demitizzare quel certo alone che siamo abituati a porre intorno ai personaggi storici. Tendiamo a divinizzarli, dimenticando che furono uomini come noi, con voglie e difetti umani. La mia, dunque, non è oscenità ma lotta alla retorica”. La testimonianza svela in modo inequivocabile il rapporto di De Andrè con le parolacce: servono a chiamare le cose col loro nome. In quella stessa canzone, tra l’altro, il testo originale aveva anche un altro verso volgare, che però fu corretto prima di incidere il disco: il verso «frustando il cavallo come un mulo, quella gran faccia da culo» fu trasformato in: «frustando il cavallo come un ciuco, tra il glicine e il sambuco».

In “BOCCA DI ROSA” (1967), dedicata a una donna controcorrente, a cui piaceva il sesso e non lo nascondeva, era previsto un verso che diceva: “spesso gli sbirri e i Carabinieri al proprio dovere vengono meno, ma non quando sono in alta uniforme e l’accompagnarono al primo treno”. Ma lo spregiativo “sbirri” non piacque all’Arma, che chiese a De Andrè di correggere il testo. Che diventò: “Il cuore tenero non è una dote di cui sian colmi i Carabinieri, ma quella volta a prendere il treno l’accompagnarono malvolentieri”.

Il singolo della “Canzone di Marinella”.

Anche “LA CANZONE DI MARINELLA” (1968) – dedicata a una prostituta di 33 anni, Maria Boccuzzi, trovata uccisa in un fiume alla periferia di Milano – era nata in origine come canzone “quasi pornografica, molto spinta”, raccontò De Andrè. “Poi una persona che allora mi era particolarmente vicina mi ha fatto capire che quella canzone poteva diventare un grosso successo, e ne è venuta fuori una canzone a cui ci si poteva avvicinare tranquillamente, senza il pericolo di offendere la morale o il buon costume”.

Nella “CITTÀ VECCHIA” (1974), una canzone dedicata ai bassifondi di Genova, popolati da donnacce, ladri e ubriachi, c’era in origine un verso pesante: “quella che di giorno chiami con disprezzo specie di troia”. Fu corretto in “quella che di giorno chiami con disprezzo pubblica moglie”. E in un verso c’è la versione addolcita di un volgare modo di dire: “per dimenticare d’esser stati presi per il sedere” (invece che “per il culo”). 

Sesso allusivo e sesso esplicito

Molti brani di De Andrè parlano di sesso. Descrivono le onde della passione, i rapporti amorosi, e a volte persino gli amplessi. Ma lo fanno, in genere, puntando su termini allusivi ed evocativi: “ANDREA” (1978) parla di un amore omosessuale, ma senza alcuna indulgenza (“Andrea aveva un amore, riccioli neri”). Nel “GORILLA” (1968) canta “con poco senso del pudore, le comari di quel rione, contemplavano lo scimmione, non dico dove non dico come” (gli guardavano il sesso). Nel “GIUDICE” (1971) allude alla diceria secondo cui le persone basse siano superdotate: “la curiosità di una ragazza irriverente, che li avvicina solo per un suo dubbio impertinente. Vuole scoprir se è vero quanto si dice intorno ai nani: che siano i più forniti della virtù meno apparente, fra tutte le virtù la più indecente”.

Per quanto riguarda strettamente gli atti sessuali, nelle sue canzoni sono presenti diversi rimandi allusivi ma molto efficaci. In “AMICO FRAGILE” (1975) descrive l’eccitazione senza termini osceni: “Potevo stuzzicare i pantaloni della sconosciuta fino a vederle spalancarsi la bocca”. E così in “DOLCENERA” (1996) “il lenzuolo si gonfia sul cavo dell’onda, e la lotta si fa scivolosa e profonda”.

La copertina di ” Crêuza de mä ” (1984)

Ma la canzone più emblematica è “JAMIN-A” (1984), un brano fortemente erotico: parla dell’amplesso con una donna algerina dalla sensualità senza freni. De Andrè ha parlato di questa canzone in termini crudi e provocatori: «In Jamin-a descrivo una scopata che mi sono fatto. C’è qualcosa di erotico a un livello un po’ più alto che non “Ti spacco il culo brutta troiaccia”». La canzone, infatti, inizia con una descrizione allusiva (che qui traduco dal genovese): “Lingua infuocata Jamin-a, lupa di pelle scura, con la bocca spalancata, morso di carne soda, stella nera che brilla, mi voglio divertire, nell’umido dolce del miele del tuo alveare”. Poi il testo diventa decisamente diretto, contraddicendo – almeno in apparenza – il proposito dell’autore di “volare alto”: “Fatti guardare Jamina, getto di fica sazia, e la faccia nel sudore, sugo di sale di cosce, dove c’è pelo c’è amore, sultana delle troie” (Fatt’ammiâ Jamin-a, Roggiu de mussa pin-a. E u muru ‘ntu sûù, Sûgu de sä de cheusce, Duve gh’è pei gh’è amù, Sultan-a de e bagasce”).
Ecco come De Andrè spiega questa apparente contraddizione: «Mi sono nascosto dietro il dialetto genovese perché certe parole, che in italiano hanno un significato fortemente volgare, in genovese perdono questa connotazione. A Genova belìn, che individua l’organo genitale maschile, è un lubrificante del linguaggio, del tutto privo di valenza negativa. La stessa cosa per mussa, che invece indica l’organo genitale femminile e, per traslato, vuol dire balla».

Di questo post hanno parlato AdnKronos, l’Unione Sarda, il Corriere quotidiano.

Dedico questa ricerca alla memoria del mio amato zio Enzo Tartamella,
che al telefono, dalla Sicilia, ha guidato con frasi brevi e fulminanti
i miei primi passi nel giornalismo.
Mi mancheranno le nostre chiacchierate su tutto.
E le canzoni di De André da cantare insieme d’estate.
Mi sento molto più solo senza di te. RIP

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L’origine della “spagnola” (e non parlo di influenza) https://www.parolacce.org/2014/12/01/spagnola-nome-sesso/ https://www.parolacce.org/2014/12/01/spagnola-nome-sesso/#comments Mon, 01 Dec 2014 15:09:50 +0000 https://www.parolacce.org/?p=6784 Quando si parla di pratiche sessuali, si trovano molti termini fantasiosi e divertenti: smorza-candela, 69, posizione del missionario… Ma ce n’è uno che ha un’origine misteriosa: la spagnola, ovvero la pratica erotica che consiste nel sollecitare il pene facendolo scorrere… Continue Reading

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Quando si parla di pratiche sessuali, si trovano molti termini fantasiosi e divertenti: smorza-candela, 69, posizione del missionario… Ma ce n’è uno che ha un’origine misteriosa: la spagnola, ovvero la pratica erotica che consiste nel sollecitare il pene facendolo scorrere tra i seni.
Un lettore di questo blog, Tristan, mi chiede da dove arriva questo termine. In effetti, cosa c’entra questa pratica con la Spagna? Ho deciso di indagare, anche perché gran parte dei dizionari (Zingarelli, Sabatini-Coletti, Garzanti) non la cita: eppure è un’espressione diffusa nel gergo sessuale.
Una forma di censura? Direi di no: i dizionari citano parole ben più pesanti. Forse è un’ignoranza di questo uso lessicale, o una forma di snobismo verso le parole gergali.

Eppure la spagnola – intesa come pratica – esiste da millenni. E’ citata infatti nel testo erotico per eccellenza della letteratura mondiale, il “Kama sutra”. Nell’India del VI secolo, l’autore, Vatsyayana, cita, nel capitolo dedicato agli abbracci, la viddhaka (o viddbaka), la trafittura: “il ragazzo le tocca ripetutamente i seni, serrandoli con forza finché lei non prova un certo piacere, allora infila la verga tra i seni di lei, trafiggendoli” (cap. 2, “Gli abbracci”, 9). Forse dall’India questa pratica si è poi diffusa in occidente? Un indizio c’è: nel Regno Unito questa pratica è chiamata “Bombay roll“, ovvero “rotolo di Bombay”. L’India, ricordiamolo, era una colonia britannica. Ma – vedremo più avanti – in realtà la storia della spagnola è più complicata: perché non si chiama l’indiana, allora?

In Italia il primo testo che la descrive risale al 1500, un secolo aureo per le parolacce e per l’erotismo, come raccontavo già nel mio libro. Lo studioso di lessico Giovanni Casalegno ne ha trovata un’efficace descrizione in un’opera attribuita a Pietro Aretino, “Il piacevol Ragionamento de l’Aretino. Dialogi di Giulia e di Maddalena”: qui una cortigiana esperta racconta i “trucchi del mestiere” a una novizia. A quell’epoca, infatti, le prostitute divennero parte della vita cittadina, e gli uomini di cultura se ne interessarono descrivendo la loro vita, le loro pratiche e la loro mentalità. Ecco che cosa dice la cortigiana: “‘io, vedendo a grandissima voglia che esso ne aveva per grandissima compassione mi contentati che lo tenesse fra le mie mammelle, ed egli premendo l’una e l’altra con le mani e tenendole strette attorno la faccenda sua, quella menando in su e in giù, mi sentii tutta bagnata il collo…”.

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Album di una rock band milanese, i Malesuada

Dunque, la pratica è descritta ma non ha un nome specifico. Bisogna attendere altri 4 secoli prima che lo riceva: la prima traccia che la spagnola lascia nella nostra letteratura risale infatti al 1980, con il libro “Altri libertini” di Pier Vittorio Tondelli. Per capire perché, bisogna allargare l’orizzonte geografico. La spagnola è chiamata così  non solo in Italia, ma anche in Francia (branlette espagnole, cioè “masturbazione spagnola), Germania e Austria (Spanisch), Portogallo (Espanhola), Grecia (Ισπανικό), come spiega Wikipedia.
Perché questa pratica è stata associata alla Spagna invece che all’India? Ho trovato 4 ipotesi per spiegare questo nome. Nella Parigi di inizio ‘900, le famiglie altolocate avevano domestiche spagnole, e i ricchi dell’epoca si facevano masturbare da loro in questo modo per non rischiare di metterle incinta, come racconta il film francese Sitcom (1998) di François Ozon. Un’altra ipotesi è che questa pratica fosse usata invece dagli spagnoli con le prostitute, sempre per evitare gravidanze indesiderate o malattie sessuali. O, infine, che fosse un’abitudine dei Mori (i musulmani berberi che popolarono la Spagna) con le prosperose donne spagnole. Una quarta possibile spiegazione, infine, fa risalire questa pratica a Napoli, dove nei quartieri spagnoli – nel XVI secolo si diffuse la sifilide: le prostitute di quei quartieri (dove erano di stanza varie truppe dei soldati francesi) adottarono quella pratica per evitare il contagio della sifilide.
Personalmente, però, propendo per la prima ipotesi: il termine, anche fuori d’Italia, è entrato di recente nei vocabolari.

Ma come si spiega, allora, che la spagnola cambi nazionalità a seconda dei Paesi? In Spagna, infatti, non si chiama spagnola ma cubanain Messico, in Venezuela e nei Paesi Bassi diventa la russa, in Argentina la turca, nel Regno Unito e negli Usa la scopata olandese (ma anche russa o francese)… Forse la spiegazione è un’altra: che questa pratica accenda la fantasie erotiche se associata a una donna esotica, disponibile, procace. Basti ricordare una canzone maliziosa del 1906, “La spagnola” di Vincenzo di Chiara: “stretti stretti nell’estasi d’amor / la spagnola sa amar così…” (clicca sul video sotto).
Alla fine, le donne più sexy sono le straniere: non solo perché “l’erba del vicino è sempre più verde”, ma soprattutto perché è più rassicurante che siano disinibite le donne di altri Paesi. Zoccola è sempre la moglie degli altri, mai la nostra.


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